Carmen | Ebe Stignani |
Don Josè | Beniamino Gigli |
Micaela | Rina Gigli |
Escamillo | Gino Bechi |
Zuniga | Giulio Tomei |
Morales | Guido Mazzini |
Frasquita | Anna Marcangeli |
Mercedes | Fernanda Cadoni |
Il Dancairo | Arturo La Porta |
Il Remendado | Salvatore De Tommaso |
Orchestra e Coro |
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Del |
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Teatro Dell'opera di Roma |
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Direttore D'orchestra | Vincenzo Bellezza |
Edizione | Emi 3-53 1182555 M (3 Mc) |
Anno di Registrazione 1948 |
Introduco subito con la motivazione che mi ha spinto a stendere questa recensione: essa vuole essere un mio personale contributo di affetto per una cantante - Ebe STIGNANI, appunto - che ho sempre ammirato e di cui si celebra il centenario della nascita. Inoltre questa mia presentazione credo farà discutere in quanto esprimo idee piuttosto personali forse non da tutti condivisibili. Premesso questo dirò subito che la più famosa opera di Bizet ha conosciuto non poca fortuna nella versione italiana di A. De Lauzières e sin dagli esordi della discografia tale versione è entrata accanto alle edizioni fonografiche in lingua francese. Questa edizione che presentiamo segue almeno altre due altre in italiano che si collocano a breve distanza l'una dall'altra: la prima del 1931 diretta da Sabajno (ripubblicata dalla MYTO) con la grande G. Besanzoni quale protagonista e la seconda di due anni posteriore (della EMI e diretta da Molajoli) che vede il Josè di Pertile (ma anche l'interessante Escamillo di B. Franci, unica testimonianza di opera completa lasciataci dal baritono di Pienza). Appare chiaro che la lingua italiana stende sulla vicenda della sigaraia sivigliana una patina piuttosto veristicheggiante e questo, unito ai moduli del tempo, fa perdere a queste edizioni - nel loro insieme - il fascino linguistico e musicale (in quest'opera determinante) dei nostri cugini latini d'oltralpe. Se poi ci aggiungiamo direttori che non andavano certo per il sottile in quanto a sbrigatività e tagli, invano potremo trovare finezze esecutive. Tuttavia, come che sia, questa edizione si lascia ascoltare per alcuni spunti notevoli e, al contempo, cade in momenti di involontaria comicità. L'edizione presenta dei tagli che riguardano alcuni recitativi di raccordo (ad esempio, le domande che Escamillo rivolge a Carmen dopo il suo Toreador) o segmenti di arie (ad esempio, la canzone zingaresca che apre il II atto nella quale manca tutta la seconda strofa che inizia con le parole "Perle, anella, scintillar": non c'è da meravigliarsi più di tanto se si tiene conto che nell'edizione diretta da Molatoli, B. Franci canta solo la metà del suo Toreador). La direzione di Bellezza rientra in una concezione abbastanza teatrale, ma non mi pare accurata ed inoltre in certi punti abbastanza caotica (l'inizio del IV atto). Inoltre manca a Bellezza la capacità di creare atmosfere e ciò specie nel III atto. Il cast presenta le voci più in voga del tempo e, con esse, anche determinati stili interpretativi dell'epoca. Tuttavia questa è la Carmen della Stignani, la quale resta il motivo vero di interesse di questa edizione. In clima di centenario credo che un ricordo sia doveroso. Sappiamo di quale voce questa cantante era munita e qui la impiega come sapeva fare offrendoci dei suoni corposi in centro ed in basso e squillanti nel settore superiore (nel finale II abbiamo un bel do), ma interpretativamente è molto alterna: in alcuni punti si fa valere specie per alcune espressioni drammaticamente efficaci, ma sempre sorvegliate (il "Vien lassù sulla montagna" è molto bello). In altri momenti dove si richiederebbe un temperamento più passionale ed un impeto, se vogliamo, orgiastico la temperatura si … raffredda (l'avvio della canzone nell'osteria di Lillas Pastia ci mostra dei toni da soliloquio interiore, ma nemmeno successivamente l'aria si riscalda granché). Che cosa manca a questa Carmen ? A mio avviso quella gioia di vivere e quella dose di mistero che avvolge questa figura complessa ed affascinante (le premonizioni al suo fato che Carmen proferisce nel III atto scivolano via…). Consentitemi un inciso: Carmen non è Eboli oppure Amneris, ma non è neppure Dalila, tutte figure dove la sensualità si sposa con la regalità (che la Stignani poteva e sapeva esprimere in termini di puro suono). La voce di questa Carmen resta perciò una meraviglia di suoni e di correttezza di emissione davvero eccezionale, forse in modo eccessivo rispetto al personaggio che mai o quasi mai si lascia andare (come, invece, si suppone debba fare una donna simile…). Ne scaturiscono moduli vocali ed interpretativi differenti da quelli degli altri cantanti: nel senso che se la Stignani pecca per "castigatezza", negli altri 3 cointerpreti abbiamo l'eccesso in misura variabile. Anzitutto Gigli che ci offre un Josè sul versante lirico e provvisto della voce che madre natura gli aveva elargito. Però è zuccheroso in alcuni punti e mi pare poco incisivo nei momenti di scatto drammatico. A me - confesso - ha destato non poca ilarità lo scambio di battute con Carmen che precedono la romanza del fiore (ma anche certe frasi del finale dell'opera). Quando il Josè di Gigli digrigna i denti (cito 2 esempi: il duetto di sfida con Escamillo del III atto - dove la terribilità dei "colpi di coltello" annunciati da questo Josè è piuttosto posticcia - e il duetto finale con Carmen in cui l'enfasi, i piagnucolii nonché gli arbitrii testuali abbondano) non mi pare credibile come quando invece duetta nel I atto con Micaela, oppure come quando, nel II, ricorda la mamma (e basterebbe sentire il miele profuso nella descrizione della "buona e vecchia creatura che lo crede onest'uomo"). Ecco, potremmo definire Gigli un "Josè tutto mamma e onesta coscienza", non sanguigno e vibrante (o se si prova a farlo non è autentico). Micaela è R. Gigli che ci mostra un'emissione piuttosto aperta in centro ed in basso ed una voce che non brilla certo per morbidezza. Ma poi è difficile scacciare dalla mente l'improbabilità di un duetto di amore tra babbo e figlia (come accade nel I atto) con una figlioletta di modi piuttosto paesanotti (anche sul piano vocale) ed un babbo tutto zucchero e miele. Si sa com'è l'opera, ma si sa che gli affetti sono diversa cosa e non credo che una sala di registrazione possa annullarli (tanto più in un Gigli già sentimentale di suo ed appartenente all'Italia del tempo "tutta mammà" ). Tornando a Micaela - fanciullina paurosa ed impaurita arrivata, nel III atto, sui monti dei contrabbandieri - nella sua aria la Gigli ci ripresenta i suoi limiti esecutivi (nel registro acuto - peraltro ostentato a dispetto di tempi e ritmi, quasi fosse una Toti Dal Monte - non all'altezza delle arcate e delle legature di quest'aria, per non parlare dell'attacco della ripresa alla frase "Io non son paurosa", il tutto unito all'imprecisione di fondo del registro grave) ed interpretativi che scadono nella monotonia. L'Escamillo di Bechi svela una voce piuttosto nasale, ma i modi interpretativi sono centrati. La sua aria lo vede abbastanza spigliato, ma anche propenso ad inserire dei folkloristici 'olé' che il testo non prevede. Il tutto per far colore…. Gli altri cantanti sono abbastanza efficienti, ma non brillano per particolarità canore o espressive. Da segnalare tuttavia all'attivo nella scena delle carte l'apporto della Cadoni e della Marcangeli che la iniziano con voci e timbri davvero freschi e giovanili contrapponendosi all'opulenza vocale sfoggiata dalla Stignani. Il coro lascia a desiderare. Insomma un documento che pone in rilievo luci ed ombre di un periodo in cui accanto a tanto materiale vocale aureo si accompagnavano - spesso, ma non sempre - forti dosi di superficialità. Da condannare allora quel mondo ? No, da conoscere per avere un quadro sempre più esauriente della tradizione e della prassi esecutiva del teatro musicale. E questo è insieme cultura e divertimento.
Luca Di Girolamo