Attila | Ildebrando D'Arcangelo |
Odabella | Liudmila Monastyrska |
Foresto | Stefano La Colla |
Ezio | George Petean |
Uldino | Stefan Sbonnik |
Leone | Gabriel Rollinson |
Direttore | Ivan Repušić |
Münchner Rundfunkorchester |
Chor des Bayerischen Rundfunks |
Dopo Luisa Miller e I due Foscari, il direttore croato Ivan Repušić, alla guida dell’apprezzabile Orchestra della Radio di Monaco, prosegue nella lettura delle opere del primo Verdi, proponendo questa esecuzione di Attila: registrazione in studio dello spettacolo svoltosi in forma di concerto al Prinzregententheater lo scorso ottobre, e lanciata sul mercato dalla casa discografica BR Klassik.
Operazione apprezzabile, in quanto volta a rinnovare la discografia non sterminata di un’opera che pure rivela tutti i tratti del genio verdiano; operazione, al contempo, terribilmente rischiosa, proprio perché la non particolare vastità della discografia rende inevitabile il confronto/scontro con i mostri sacri del melodramma che hanno esaltato, nel corso degli anni, l’universo del figlio di Wotan. Un confronto/scontro dal quale l’esecuzione di Repušić, pur interessante all’ascolto (anche grazie all’ottima qualità del suono), non esce integralmente vincitrice, a causa tanto dei tempi lenti scelti dallo stesso direttore (utili ad esaltare la grandiosità di certi passaggi – vedi il “Quai voci?” che precede l’aria di Foresto -, ma certo non ideali per esaltare la prova dei cantanti), quanto delle incertezze a tratti palesate da alcuni dei celebratissimi componenti del cast.
Riprendendo le parole di Riccardo Muti, la figura di Attila rappresenta un monumento della partitura verdiana, capace di cancellare con un colpo di fulmine lo stereotipo del barbaro bruto e brutale per stagliarsi sugli altri protagonisti per la sua nobiltà, per il suo senso dell’onore, per la dignità che ostenta nel suo essere Re che si prostra dinanzi all’incedere del nume: un monumento cesellato ora dall’autorevolezza di Ghiaurov (splendido nel live fiorentino del 1972), ora dalle profonde introspezioni di Christoff, ora dall’umanità di Raimondi, ora dalla nobiltà del Ramey scaligero. Nel raccogliere una tanto maestosa tradizione, Ildebrando D’Arcangelo – ottimo interprete del ruolo nella rappresentazione bolognese del 2016 – sembra, in questa incisione, soffrire il peso del personaggio: una traccia di vibrato condiziona la scena di ingresso (l’ “Eroi levatevi!” suona più stentoreo che imperioso), mentre la buona resa nella grande aria e nel concertato che conclude il primo atto contribuiscono a tratteggiare un condottiero più schiantato dal bieco fantasma della fine incombente che pervaso dalla ubris del conquistatore chiamato a flagellare il Mondo.
Alterno anche il giudizio sulla Odabella di Liudmila Monastyrska: in difficoltà nei passaggi più acuti della cavatina e della successiva cabaletta (anch’esse inficiate da qualche oscillazione di troppo), il soprano ucraino regala un’ottima esecuzione dell’aria del murmure, sfoggiando accenti melanconici e pianissimi cantati a filo di labbra. Il risultato è un personaggio più lirico che eroico, destinato a sposarsi bene con il convincente Foresto di Stefano La Colla, in grado di risolvere in maniera apprezzabile entrambe le arie (da applausi l’esecuzione del “Cara Patria”) e di affrontare con sicurezza i passaggi più acuti del “Oh t’inebria nell’amplesso”.
La parte del leone, in definitiva, spetta al baritono George Petean, il quale replica, nei panni di Ezio, l’ottima prova offerta nella serata di Sant’Ambrogio del 2018. Molto ben cantato il duetto con Attila (la frase: “l’Orbe intero Ezio in tua man vuol dar!” gronda ambizione e sogni di gloria), “Dagli immortali culmini” è uno splendido esempio di enfasi ed accenti verdiani, mentre “E’ gettata la mia sorte” – eseguita con tanto di poderosa puntatura di tradizione – rappresenta forse il passaggio più interessante del disco.
Stefan Sbonnik (Uldino) e Gabriel Rollinsom (Leone) completano il cast di questo Attila: interessante all’ascolto, ma destinato a non vincere il confronto con l’ombra gigante dei mostri sacri della discografia.
Carlo Dore jr.