Piano City Milano è un festival unico e suggestivo - nato nel 2011 - che porta la musica del pianoforte in tutta la città: dagli auditorium e musei fino ai cortili privati e ai luoghi più inaspettati. L’evento celebra il pianoforte in tutte le sue sfumature, offrendo concerti gratuiti e coinvolgendo artisti di ogni provenienza e stile.
Tra venerdì 23 maggio e domenica 25 maggio, ho avuto la fortuna di assistere a cinque splendidi concerti, di cui due particolarmente speciali.
Venerdì, alla Fondazione Prada, è stata eseguita Gay Guerrilla di Julius Eastman nella sua rara versione per quattro pianoforti.
L’idea è nata da Luca Ciammarughi e la direttrice artistica Ricciarda Belgiojoso l’ha subito accolta e sostenuta; infine Ciammarughi l’ha squadernata e portata a compimento.
L’esecuzione, accanto allo stesso Ciammarughi, ha visto la partecipazione dei talentuosi Costanza Principe (dal fulgore discreto e irresistibile), Francesco Libetta e Alessandro Stella: tutti interpreti raffinati e intensi. Il pubblico era numeroso e l’esecuzione ha riscosso un grande successo.
Lo Studio LCA ha ospitato, nel chiostro di via della Moscova, alcuni giovani pianisti. Io ho avuto modo di ascoltare Guido Orso Coppin e Wakana Marlene Tanaka.
Coppin ha eseguito la Sonata n. 30 di Beethoven e la Sonata n. 3 di Chopin: sicuro e spigliato, ha saputo farsi apprezzare anche per la presentazione dei brani.
Tanaka, giovane pianista giapponese, ha proposto un programma raffinato e vario:
Il programma, seppur non impervio, ha messo in luce l’intensità della pianista e la sua delicatezza interpretativa.
Allo Studio Volvo è stata la volta di Tamako Murakami con un programma elegante e denso di poesia:
Ho trovato particolarmente toccante la Pavane, forse anche per il periodo struggente in cui ci troviamo.
Infine, domenica 25 maggio alle ore 5 del mattino, si è tenuto il concerto all’alba con Elena Chiavegato che ha interpretato pagine di Mel Bonis. La pianista italo-giapponese è una vera paladina delle compositrici e sta portando avanti un percorso molto interessante su Mel Bonis, la compositrice francese nata nel 1858, allieva di Fauré e compagna di conservatorio di Debussy.
Purtroppo la vita della Bonis fu segnata da un matrimonio imposto dalla famiglia e quindi infelice e senza amore; la sua musica è stata a lungo dimenticata fino agli anni ’90, quando finalmente ha iniziato a ricevere l’attenzione che merita.
Il concerto si è svolto alla Darsena: il pianoforte era sistemato su una zattera con due galleggianti tipo catamarano, trasportata da vogatori lungo il corso d’acqua. La zattera non è mai stata ferma, si muoveva perpendicolarmente rispetto al pubblico di modo che, a turno, tutti potessero vedere la pianista ed il piano.
La musica, amplificata con buona qualità, ha permesso a tutti gli spettatori di godere appieno dell’esperienza.
La Chiavegato era completamente immersa nel suo “liquido amniotico”: un programma che conosce bene e che esegue con amore.
Personalmente, quando ho visto la zattera partire e fluttuare sull’acqua, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto fosse una sfida estrema: suonare alle 5 del mattino con lo sciabordio dell’acqua e la temperatura non certo mite. Sfida superata brillantemente, con un grande successo testimoniato dai cinque bis.
Dopo due preludi di Mel Bonis mi piace ricordare sempre della Bonis Phœbé, Viviane, Omphale, Salomé, Desdémona, Mélisande, Ophélie.
Mendelssohn/Moszkowski: Notturno da Sogno di una notte di mezza estate e Alba di Marie Jaëll.
La pianista indossava con grande stile un meraviglioso abito romantico di Emilio Bonadio, evocativo dell’epoca di Mel Bonis. Dettaglio che ha aggiunto un tocco di bellezza ed eleganza al tutto, completando la magnifica atmosfera tra la musica, la magia dell’alba e il frinire delle rondini.
Michele Beretta