A poco più di un mese dall'inaugurazione del Festival Donizetti Opera 2020 abbiamo incontrato il M° Riccardo Frizza, direttore musicale della rassegna operistica bergamasca.
Sono trascorsi più di tre anni dalla nostra precedente intervista: mancavano pochi giorni alle recite di Aida che avresti diretto allo Sferisterio di Macerata. Molti e stimolanti erano gli impegni che ti attendevano per l’autunno di quel 2017. L’anno successivo saresti tornato alla Scala per dirigere Il Pirata e di seguito la tua agenda prevedeva impegni presso la San Francisco Opera, La Fenice, Liceu di Barcellona, Opernhaus di Zurigo, Teatro Donizetti di Bergamo. Impegni che nel 2019 ti hanno portato a Parigi, Dallas, Roma, Bilbao, Chicago oltre ovviamente a Bergamo. Una meraviglia…
Beh, si, sono contento di ciò che ho fatto. Inoltre, che si sia instaurato un rapporto di continuità con i teatri con cui collaboro è per me motivo di orgoglio e fonte di grande soddisfazione perché significa che il lavoro svolto è stato apprezzato.
Poi, dai primi mesi di questo a dir poco difficile 2020, sono iniziati gli annullamenti causa Covid-19 e l’orizzonte professionale si è fatto per tutti nebbioso. Come hai vissuto questo stravolgimento di vita e cosa provi nel guardare verso un futuro che è inevitabilmente incerto?
Premetto che sono una persona tendenzialmente ottimista. Quindi, quando a febbraio sono tornato da Budapest - dove avevo diretto dei concerti al Müpa - diretto al Municipale di Piacenza per la ripresa della Lucrezia Borgia che avevamo portato in scena a Bergamo e che in realtà fu la prima cancellazione – se non erro il 24 febbraio - d’istinto pensai si trattasse di un problema di breve durata. Poi i primi di marzo mi sono ammalato di covid e quindi ho avuto mio malgrado il tempo per riflettere seriamente sulla questione: ho iniziato a perdere amici, conoscenti pertanto mi sono trovao in una situazione non semplice. La primavera è trascorsa attraversando parecchi momenti difficili. Professionalmente arrivavano una cancellazione via l’altra e l’unica cosa che potevo fare, come tutti del resto, era attendere e sperare in tempi migliori. Poi l’estate, dopo il Requiem diretto a Bergamo, si è accesa una luce e si è ravvivata una speranza. Anche perché la ripartenza della musica giungeva da uno dei luoghi in cui la pandemia si era sviluppata con gli esiti più drammatici. Da quel Requiem abbiamo inziato a pensare che in estate saremmo riusciti a fare qualcosa all’aperto.
Non sapevo ti fossi ammalato di covid. Ricordo le divertenti dirette facebook con Francesco Micheli: eri già guarito in quelle circostanze oppure ti sei ammalato successivamente?
Lì ero già in fase di recupero. Avevo ancora quei sintomi che mi son rimasti per qualche mese: principalmente mancanza di gusto e olfatto. Ma io sono stato fortunato perché ho sviluppato la malattia in forma leggera potendo curarmi a casa per qualche linea di febbre e un po’ di spossatezza. Rispetto ad altre persone che hanno veramente sofferto sono stato fortunato. Diciamo però che infettarsi ai primi di marzo, quando ogni giorno c’erano centinaia di decessi e la malattia era ancora avvolta da tanta incertezza, un po’ di ansia veniva.
A parte le dirette sui social che ti hanno visto impegnato, come hai vissuto il lungo periodo del lockdown? L’hai passato alle Canarie dove ci hai detto essere residente?
No, siamo rimasti bloccati in Italia perché io ero qui per andare a Piacenza e mia moglie tornava da Los Angeles, quindi ci siamo incontrati in Italia e siamo rimasti qui. Ma è andata bene così perché in quel periodo ho potuto stare vicino alla mia famiglia, i miei genitori. I primi mesi non è stato semplice perché non avevo voglia di fare nulla e la situazione era veramente tragica. Poi, pian piano, verso la fine della primavera e gli inizi dell’estate mi sono ripreso, mi è tornata la voglia di studiar e la musica mi ha tenuto impegnato. Però all’inizio è stata dura perché non c’era nulla che mi desse conforto e stimoli.
Un settore, quello dei teatri d’opera, già fortemente in crisi prima del lockdown, che ora con le restrizioni imposte rischia il colpo del KO definitivo da cui potrebbe essere davvero molto difficile rialzarsi. Non pensi che, proprio in considerazione dello stato di salute già delicato, il settore teatrale necessiterebbe di maggiori attenzioni?
Si, questo è un deficit che in Italia stiamo pagando da anni. Diciamo che forse la trasformazione di alcuni teatri in Fondazioni, col senno di poi, non è stata una cosa molto positiva. Probabilmente all’epoca era un progetto interessante che dava una speranza però, alla luce dei fatti, le difficoltà che stanno vivendo le nostre Fondazioni liriche ci portano a concludere che non sia stata una scelta felice. A parte alcune fra cui certamente la Scala, le altre fanno fatica, ed alcune molta fatica. Certamente un po’ più di supporto sotto questo punto di vista sarebbe auspicabile, soprattutto alla luce del fatto che questa pandemia ci ha fatto veramente capire quanto la musica e la cultura siano elementi importanti. Tutti l’hanno ben compreso durante gli scorsi mesi di chiusura. Provate ad immaginare cosa avremmo fatto chiusi in casa senza la musica o un libro di poesie. Quindi le persone che fanno arte sono importanti anche nella vita e nella quotidianità dell’umanità. Ma di questo ci si è resi conto veramente solo nel momento del bisogno.
Ma forse ci si dimentica troppo velocemente delle cose…
Eh si, troppo velocemente. É come il medico di base. Non ci si va quasi mai. Personalmente ci sarò andato due volte in tutta la mia vita, quando ne ho avuto veramente bisogno: circostanze in cui ci si rende conto dell’importanza del medico di base. Alla stessa stregua di come ci si dimentica di quel che hanno fatto e quel che fanno per noi i medici e gli operatori sanitari.
Tra l’altro è di questi giorni l’esito di uno studio effettuato dall’AGIS da cui risulta che dal 15 giugno ad oggi, sulla base di 2782 spettacoli monitorati tra lirica, prosa, danza e concerti, che hanno visto una partecipazione di 347.262 spettatori, si registra un solo caso di Covid-19. É la dimostrazione che i teatri non sono i luoghi di perdizione e di contagio che qualcuno, anche molto in alto, vorrebbe far creder, ma al contrario sono posti sicuri.
Beh, credo che questa sia la prova provata. In questo documento che ovviamente ho letto anch’io, si dà dimostrazione che i teatri sono luoghi sicuri. Le ragioni sono molteplici: ci si va con la mascherina, quando si entra ci si disinfetta le mani, viene misurata la temperatura, si mantengono le distanze, non ci si abbraccia, non si urla, si sta a distanza. Poi la persona che va a teatro dispone di una certa familiarità con l’ambiente e quindi utilizza un comportamento consono. I teatri, per evitare gli assembramenti, hanno chiuso i bar e hanno ridotto la durata degli intervalli. Sono state seguite tutte le disposizioni emanate dal governo e l’esito è stato molto buono, come si legge nello studio dell’AGIS.
I teatri si sono comportati molto bene e questo dovrebbe essere tenuto in debito conto dal governo perché se dovessimo chiudere un’altra volta sarebbe un disastro; credo che più della metà degli artisti smetterebbe di fare questo lavoro. Perchè un conto è avere uno stipendio fisso in quanto assunto da un Ente e poter contare sugli ammortizzatori sociali previsti per questa categoria di lavoratori, decisamente un’altra storia è l’essere freelance.
Tu lavori tanto anche all’estero: che feedback ti giungono dai teatri con cui sei in contatto?
Negli Stati Uniti la situazione è veramente complicata in quanto, non avendo sussidi pubblici ma lavorando esclusivamente sul privato – tra biglietteria e sponsorizzazioni – ai teatri è venuta a mancare una parte importante del loro budget. La chiusura del Metropolitan sino alla stagione 2021-2022 credo sia l’emblema delle difficoltà che stanno avendo i teatri oltre-oceano. Invece in Francia, in Spagna, in Germania e in Austria si sta lavorando, sempre con le precauzioni ed il contingentamento ma senza sosta. A luglio il Teatro Real di Madrid ha rappresentato 27 recite di Traviata ed è stato un po’ l’apripista dei teatri al chiuso. Noi abbiamo avuto la fortuna in Italia di poter fare tante cose all’aperto ed il clima ci ha aiutato però anche a Madrid, senza avere uno spazio all’aperto, hanno gestito bene la situazione e hanno sempre lavorato. Quindi si può, volendo si può.
Hai una tua ricetta che ritieni possa essere utile per migliorare la situazione teatrale?
Vorrei che venisse garantito il dialogo fra le persone che sono preposte a decidere della vita dei teatri e chi i teatri li gestisce e ci lavora. Sarebbe auspicabile che il Comitato Tecnico Scientifico si confrontasse con i sovrintendenti che sono quelli che hanno il polso della situazione. Sarebbe sufficiente un dialogo e forse certe cose diventerebbero meno complesse e si potrebbe trovare una via di mediazione. Servirebbe a far capire che, con l’applicazione delle opportune regole di sicurezza, i teatri possono continuare a lavorare perché sono un luogo sicuro. Come ha del resto dimostrato lo studio di AGIS. Una nuova chiusura equivarrebbe a dare il colpo di grazia.
Ma veniamo alle cose belle che ti aspettano a breve: i lavori di restauro del Teatro Donizetti sono pressochè completati (siamo stati in visita al cantiere un paio di settimane fa), tu ne sei il direttore musicale e tra poche settimane salirai nuovamente sul podio per l’inaugurazione del teatro rinnovato e del Festival Donizetti Opera 2020. Sei un po’ emozionato?
La settimana scorsa ho visto il teatro e confermo che è stato fatto un lavoro davvero importante. I risultati sono enormi e di altissimo livello. Siamo tutti contenti di rientrare al Donizetti, io in particolar modo dato che da quando sono Direttore musicale del festival ho diretto solo al Sociale e quindi c’è anche un po’ di emozione per questa prima volta. Siamo pronti. Tra circa dieci giorni inizieremo a provare in teatro, anzi, fra due o tre giorni cominceremo il montaggio delle apparecchiature tecniche e scenografiche. Stiamo veramente entrando nel clima
Ci parleresti dei due titoli clou del prossimo Festival Donizetti? Mi riferisco al Belisario inaugurale e al successivo Marino Faliero, titoli che ti vedranno sul podio.
Per via della pandemia abbiamo dovuto rimodulare il festival. Il Direttore artistico Francesco Micheli ha fatto un ottimo lavoro perché è riuscito a salvare tre titoli su quattro, quindi non sposta molto la programmazione rispetto allo scorso anno. La volontà era quella di fare un titolo in più invece realizzeremo sette titoli come la passata stagione. Io sarò impegnato nel Belisario e nel Marino Faliero. La prima opera in forma di concerto costituirà il primo passaggio in teatro, successivamente rappresenteremo il Marino Faliero in forma scenica. Dobbiamo considerare che un teatro nuovo ha bisogno di un po’ di rodaggio e quindi preferiamo iniziare con un evento in forma di concerto anche perché poi il Marino Faliero, sulla falsariga de L'ange de Nisida, avrà lo spazio scenico in platea.
E per entrambi i titoli sono previsti dei cast di grande richiamo addirittura Placido Domingo nel ruolo di Belisario e Michele Pertusi in quello di Marino Faliero, senza dimenticare Javier Camarena, Celso Albelo, Davinia Rodriguex, Annalisa Stroppa, Simo Lim e gli altri artisti che completano le locandine.
Per noi riuscire ad avere Domingo è un po’ come ricevere un attestato di credibilità del Festival a livello internazionale. Quindi un po’ certifica il lavoro che è stato fatto in questi anni. Un lavoro duro, perché non potevamo disporre di una legge speciale come altri festival italiani dedicati ai compositori d’opera, bensì era tutto sulle forze del Comune, degli sponsor. Un festival tradizionalmente piccolo che, nonostante tutto, è riuscito a produrre cose notevoli
Il livello è indubbiamente alto...
Ci tendo a sottolineare che da sempre proponiamo anche voci giovani, qualche figura nuova. Però ecco, avere degli artisti considerati numero uno nel repertorio donizettiano è un grosso traguardo
E dopo questi impegni a Bergamo quali saranno le tue successive mete?
Avrò due concerti, uno a Berlino e uno a Barcellona. A Berlino alla Deutsche Oper dirigerò un gala Verdi-Wagner e a Barcellona un concerto dedicato alle tre regine donizettiane con Sondra Radvanovsky e lo stesso programma che avevamo fatto a Chicago lo scorso anno.
Questi saranno i miei impegni sino alla fine dell’anno.
Nessuno possiede la sfera di cristallo ma ognuno di noi, nel proprio immaginario, si dà una raffigurazione del futuro per lo più legata al proprio essere ottimista o pessimista. Puoi dirci se lo sfondo del futuro per come lo vedi tu è luminoso e tinto a colori sgargianti oppure è plumbeo?
Diciamo che in questo periodo vedere un futuro a colori sgargianti mi viene molto difficile nonostante l’ottimismo che mi contraddistingue. Penso che dovremo superare la prossima primavera e poi, come abbiamo visto quest’anno, l’estate ci darà una mano e poi questo problema sarà, non dico definitivamente risolto, ma mi auguro non sarà più così serio.
Aspettiamo il vaccino e aspettiamo l’immunità di gregge. Io penso di essere già immune (ride).
Danilo Boaretto