Una serata, piacevole e tranquilla. La casa accogliente di comuni amici e le stesse radici, tra il cielo e il mare della Versilia, fanno sì che l’intervista al maestro Luisotti si trasformi presto in una chiacchierata confidenziale, piena di allegria e punteggiata da risate nel ricordare personaggi e aneddoti della nostra città. E man mano che parliamo il maestro recupera la cadenza gentile che contraddistingue coloro che sono nati nei paesi sulle colline alle spalle di Viareggio; paesini ricchi di storia e in cui è facile imbattersi in chiese e pievi romaniche severe, nascoste tra gli ulivi e i cipressi. A Corsanico, in una di queste pievi, c’è un organo monumentale; qua il maestro Luisotti è “Nicola” per tutti, qua vive ed è l’eccezionale collaboratore artistico di una piccola, ma raffinata, stagione organistica.
… e allora, come hai iniziato?
Abitavo a Bargecchia, andavo in chiesa e volevo sempre suonare l’armonium … ero un bimbetto … il prete, mi inseguiva perché aveva paura che lo rompessi. Però fu lui a pensare che “forse a me piaceva la musica“… poi ho conosciuto una ragazza di Corsanico, il paese vicino, l’ho sposata e qua son rimasto - e sorride a Rita, la moglie, una ragazza spontanea e serena -
Ma avevi qualcuno in famiglia che amava la musica?
Mia mamma da ragazzina cantava, mio padre suonava il clarinetto nella banda di Bargecchia e fu lui a darmi i primi rudimenti musicali, i primi elementi del solfeggio sino alla sincope: mi ricordo sempre il solfeggio 54 ! – e, allegro, ce lo canta tutto – Ma prima di lui c’è stato il prete che mi portava all’armonium e mi insegnava le note sulla tastiera… ricordo che mi indicava la nota Fa, sai con le dita grassocce, un po’ da prete – ridendo allarga le mani –… e diceva: “questa è la nota Fa e con questa ci si può fare un accordo!” …io lo ascoltavo attento e non lo volevo deludere perché lui era quello che aveva capito che “forse a me piaceva la musica“.
Ricordo la prima volta che mi mise le mani sulla tastiera e mi insegnò il Fa maggiore: “Guarda come faccio io – mi disse – e vedrai che noi canteremo Gloria a Te!”… e io lo rifeci. Era martedì e la domenica suonavo in chiesa, avevo dieci anni e così è cominciata l’avventura… non sapevo la musica ma suonavo in chiesa.
Poi ho studiato, da bambino, in una scuola di Musica presso il seminario di Lucca: sono l’ultimo di cinque figli e non c’era da sperperare; mio padre seppe che c’era una scuola liturgica dove davano lezioni quasi gratis per diventare organista, volevo proprio diventare organista e volevo andare a Santa Cecilia, ma sarei dovuto andare a vivere in collegio a Roma e non ce lo potevamo permettere…sai: anche il fatto di vivere in un paesino così piccolo era limitativo, le opportunità ridotte.
Io ero bambino, ero confuso, sentivo che il grande amore per la musica era sempre insoddisfatto – e si appassiona tanto nel ricordare – mentre avrei voluto che la mia vita fosse piena di musica. Allora mio padre, uomo concreto, mi suggerì che se volevo studiare dovevo lavorare. E ho lavorato, ho fatto tanti lavori: il fabbro, il pollaiolo… e intanto studiavo privatamente, ma poi per un periodo lungo ho interrotto gli studi veri e propri: la musica è come un grande amore e se sai che non puoi averlo come desideri finisci per prendere altre strade … e ancora guarda Rita … poi a 20 anni ho avuto la fortuna di incontrare Rita e assieme abbiamo provato a costruire il nostro futuro, con lei mi sono completato e lei mi ha aiutato a ritrovare quella strada che credevo di avere perso irrimediabilmente
qua serve un piccolo inciso: poco prima avevamo visto un filmato in cui Nicola, dirigendo a Tokyo e un po’ per celia, si esibiva come cantante e con bella voce baritonale, nel “Farfallone amoroso” , e quindi passare alla domanda sui suoi studi in canto è spontaneo
A 21 anni ho ricominciato a studiare pianoforte, dopo una parentesi in cui avevo suonato in un gruppo rock e fatto del piano bar …sai, non avevo più fatto degli studi “seri”, quindi mi sono iscritto al Boccherini [ il conservatorio di Lucca ] dopo il 5° anno di pianoforte che avevo preparato con il Maestro Maraviglia. Ma ero fuori età e l’insegnante di canto, la signora Pini, mi disse “Forse hai la voce per cantare e possiamo fare così: nella classe di canto non ci sono limiti di età, tu ci entri e poi, da interno e per meriti speciali, passi a quella di pianoforte”
E così feci!… Ah! Sai che venne anche il momento in cui avevo velleità da compositore? Pensa che quando ero giovane dicevo a Rita “Io voglio fare il compositore, ma proprio come lo faceva Puccini!”
Mi colpisce il tono appassionato che ha nel parlare delle cose che ama. Fa caldo e si sventola, rilassato e disponibile, con il foglio delle mie domande. Ma non servono domande preconfezionate, si parla a ruota libera, quasi da vecchi amici, e gli dico che una delle domande che mi ero proposta di fargli era: se ti avessero chiesto di comporre un’opera, come l’avresti fatta?
Ma sai quante volte ho pensato a scrivere musica! Tante volte, tante… a volte, ancora oggi, mi dico “Sì!... devo cercare un libretto!” – e sottolinea con forza le parole dette – si, tante volte e poi, in qualche modo, questa idea si allontana. Con l’esecuzione musicale, con il pianoforte, con la direzione d’orchestra, non mi è mai successo di avere dei parossismi e poi di lasciarli perdere. No, diciamo che con la musica, con l’esecuzione, sono sempre in continuo parossismo.
Ma ti sarebbe piaciuto cantare?
No! Mi piace cantare quando faccio le prove, quando si scherza, quando non ho l’obbligo di cantare: se sapessi che mi pagano per cantare…oh mamma! Io credo che sia il mestiere più difficile del mondo, pensa : tutte le sere… ehmmm, ehmmm – fingendo di tossire – e te devi cantare proprio quella sera li, non è che puoi farlo, che so, domani sera… no, proprio quella sera lì; no, non fa per me!
Ma se tu dovessi interpretare un ruolo, quale ti piacerebbe?
Mah! Ce ne sono tanti… Don Giovanni sicuramente, e poi tanto, anzi tantissimo, il Conte nelle Nozze di Figaro: è divertente e ironico, mi piacerebbe più di Figaro …e poi Scarpia e Jack Rance anche se so che non avrei la voce adatta, ma tutti questi personaggi mi intrigano.
Il fatto che tu abbia studiato canto ti aiuta a capire i cantanti, e le loro esigenze?
Sì! Sai, avere un’idea del canto, del fiato, dell’appoggio, di sapere che cosa succede nella gola degli artisti fa star bene me perché, in una certa misura, comprendo la loro fatica e la loro difficoltà, e fa star bene loro perché sanno che li comprendo, ma non per questo giustifico ogni cosa anzi, cerco assieme a loro di far rispettare le volontà del compositore, ma in generale cerco anche di non cadere nell’errore di andare contro una linea vocale, so che loro devono respirare, so che devono appoggiare, devono trovare il suono giusto, insomma c’è da trovare il compromesso
Allora sei un mediatore; diverso da un certo cliché per cui la figura del direttore è quella di un despota ( ironizzando), un padrone
Ma no! Io credo che la figura del despota, del padrone sia finita: per me la parola “padrone” e quella “direttore d’orchestra” non vanno d’accordo , il direttore è un collega degli altri musicisti, un collega dei cantanti, fa un lavoro d’insieme… è il coordinatore insomma… a volte è l’ispiratore, a volte è quello che mette energia e –ridendo – a volte quello che la leva… si, è un collega.
E non serve nemmeno il polso, serve il carisma, ho visto persone arrabbiarsi tanto e non ottenere niente e ho visto persone che senza quasi dire niente hanno ottenuto tutto: Giulini era un grandissimo direttore e non s’arrabbiava mai.
Come sei giunto, poi, all’idea della direzione ?
Da ragazzino, suonando in chiesa , dirigevo il coro e poi ho fatto anche il direttore del coro a Venezia, a Catania… a Corsanico – e ancora ride, sempre allegro –… l’idea di dirigere l’ho sempre avuta, ho sempre avuto naturalezza nel farlo. Sono stato assistente di vari direttori, ho visto gli altri farlo
Ma il rapporto tra il dirigere e l’eseguire la musica com’è? Ti poni allo stesso modo di fronte allo spartito?
No, quando suoni – a meno che tu non sia Barenboim o Pollini, dei geni insomma – hai un mezzo di fronte che ti ostacola, che ostacola la tua idea musicale. Se sei un “grande esecutore”, se lo strumento è qualcosa che è dentro di te, è parte di te, allora puoi realizzare la tua idea musicale così come il direttore realizza la sua… sennò dirigere, ma tra virgolette [ e sottolinea le parole con forza] è più facile che suonare. Onestamente diventare un vero direttore d’orchestra è estremamente difficile, è una delle cose più complicate da realizzare, ma alla fine, dirigere è un po’più semplice che suonare.
…e se tu fossi un professore d’orchestra vorresti essere diretto da Nicola Luisotti?
Oh mamma, sempre!
Ma cosa deve saper fare un direttore d’orchestra per essere un buon direttore d’opera?
Innanzi tutto deve amare l’opera che va a dirigere…
E tu ami l’opera?
In modo incredibile! Ci sono arrivato con il passare del tempo, ma la amo tantissimo! Con l’opera si segue un percorso diverso: devi amare la musica, la storia, il libretto, la composizione teatrale. L’opera non è solo composizione musicale, l’opera prevede della parole, c’è un testo. Il compositore prende un testo, si innamora di quel testo, lo idealizza, lo smonta e lo rimonta e poi ci scrive la musica e scrive la musica proprio per “quel” testo; non potrà mai avere il testo di Bohème e scrivere le note di Tosca; per esempio il testo di Bohème ti porterà a scrivere quel tipo di colori, di note… il compositore deve cercare di ricreare sul palco quello che accade all’interno del libretto, le emozioni del libretto, ne è condizionato. Il direttore d’orchestra – per me – deve esserne condizionato allo stesso modo, non deve partire dall’idea musicale e poi andare verso la parola, ma deve fare lo stesso percorso che ha fatto il compositore. Quindi prima mi leggo il libretto, mi appassiono della storia e poi cerco di capire perché il compositore ha messo lì un accento, e perchè proprio quel tipo di accento, perché ha previsto quella serie armonica, perché quel contrappunto… mai niente è casuale in una composizione, il compositore senz’altro vuole portare sul palcoscenico una musica che serva alla scena, per svilupparsi nella storiae il direttore è il tramite del compositore, è “la mano”…
Sì, deve cercare di fondere storia e musica assieme, non la storia e poi la musica, ma queste due cose unite, indissolubili
Tu preferisci dirigere la sinfonica o la lirica?
Tutte le cose belle del mondo! Mi piace dirigere qualsiasi cosa bella, che mi provochi un’emozione, quello che non mi piace mi diventa ostico, si vede lontano miglia che non mi piace.
Ti ho sentito dirigere molto Verdi e un po’ meno Puccini
Io adoro Verdi! Sai, Toscanini diceva una frase meravigliosa: “ Io di Verdi sono feticista!”
E io capisco quello che intendeva: in ogni pagina, in ogni nota, in ogni colore – e la voce gli si fa appassionata – in ogni frase, quando sei a contatto con Verdi, ti ci puoi perdere… Anche Mozart però mi da questo tipo di sensazioni! E ogni volta che io apro le partitura di un’opera di Verdi o di Mozart, anche se l’ho diretta molte e molte volte, è sempre un’emozione e ci trovo sempre nuovi spunti.
Ma per te c’è un tempo per Verdi e uno per Puccini nella vita? Verdi il fuoco della giovinezza, Puccini più pacato, forse profondo, per la maturità… naturalmente, le mie sono ipotesi…
Ma guarda, quando io ero giovane mi piaceva tutta la musica che facesse “confusione”, per esempio Rachmaninoff …oddio!! … mi sembrava una cosa stupenda! Ero appassionato di Listz, degli studi trascendentali. Amavo le cose strabilianti, quelle che facevano effetto. Poi andando avanti nel tempo Rachmaninoff mi è piaciuto sempre meno, Listz pure e sono cominciati e venire fuori Mozart, Beethoven, Haydn, Bach – che detestavo da studente – piano piano i compositori più riflessivi hanno preso spazio nella mia mente e credo che per la lirica ci sia stato, in me, un processo inverso: da giovane amavo Puccini, ora e mano mano che vado avanti, Verdi sta prendendo sempre più spazio e Mozart anche…oh, non che io non ami Puccini, lo adoro sia chiaro, ma Verdi avanza e chissà nel futuro! Una volta non capivo Prokofiev e ora lo vorrei dirigere sempre, non so perché sia così, come accadano certi processi. Prendo questo percorso così come viene e lo accetto come tale. Anche Brahms mi appartiene in questo periodo della vita, mi piacciono le sue cose riflessive come certi tempi delle sinfonie o il Deutsche Requiem che da ragazzo non capivo e di cui ora sono innamorato: per me è un brano scritto per i vivi e non per i morti, nessun compositore scrive un Requiem per i morti; l’ho scoperto piano piano: scrivono tutti per i vivi – e sussurra – “Attenzione che la vita è breve” ci dicono i compositori… Verdi, Dvorak, Cherubini, Mozart, Brahms. Mozart disse: “Lo scrivo per me” ma in realtà è un monito per i vivi “Onorate la vita che è breve!”
Torniamo all’opera, su! Tu come lo vedi il futuro dell’opera?
Mah! Ultimamente ho visto che c’è una grande ripresa
Ma ti riferisci all’ Italia o, visto che ormai hai un respiro internazionale, al mondo?
Beh, diciamo che nel mondo mi accorgo che si sta riscoprendo l’opera. Sai che ci sono molti progetti multimediali? Anche il MET li farà. Per esempio quando a Marzo/Aprile dirigerò Bohème a New York l’opera verrà data in contemporanea, in diretta, in molti cinema di New York …e a San Francisco, dove sarò direttore musicale dal 2009, già vengono fatti progetti per dare in contemporanea l’opera nella piazze, ci saranno molte telecamere piazzate in teatro, l’opera verrà data in diretta e questo inciderà molto nella divulgazione. A Madrid, dove ho fatto da poco Trovatore, con un’ora e mezza di differita l’opera è stata proiettata in piazza – e si emoziona, si accalora nel racconto, nel ricordo – e la piazza era gremita da 3000, 4000 persone davanti al Teatro Real… Bellissimo!
Ma tu ritieni giusto portare le grandi masse all’opera – o l’opera alle grandi masse – con produzioni fatte apposta per le piazze… a Roma fecero un’opera in Piazza del Popolo e la gente stava in piazza come se fosse a un concerto rock…però c’era!
Ma vedi, la musica in piazza, con l’orchestra che suona in piazza, è secondo me inadeguata ….devi microfonare e anche se fai una cosa fatta bene, con grandi tecnici – e io ho avuto una simile esperienza – il risultato non è mai eccellente, ma l’idea di registrarla all’interno del teatro e riproporla su grandi schermi all’esterno, credo sia la cosa migliore.
Queste cose, di cui mi parli, verranno fatte all’estero… e in Italia?
Ma sai – e sorride ironico – io in Italia dirigo poco…
E perché?
Mah?! Credo che sia perché quando venivo proposto, agli inizi della carriera, mi volevano in pochi – e ride allegro – poi ho “fatto fortuna “ all’estero dove le programmazioni vengono fatte con una più lunga scadenza, ho progetti fino al 2014 e posso dedicare poco tempo all’Italia, ma posso già annunciare qualche progetto futuro al Maggio Musicale Fiorentino, al Comunale di Bologna e alla Scala di Milano oltre a Santa Cecilia a Roma.
Ma come viene visto il mondo operistico italiano fuori dai confini?
Mi riservo la risposta! – .e sorride, scherzoso – Ma no, parliamo seriamente… dai!
Va bene, e allora: che rapporto hai con i registi d’opera? Credi che molti registi propongano delle produzioni che distolgono l’occhio dalla realizzazione musicale di un lavoro? Che siano incongruenti? Che facciano i divi?
Guarda: io credo che il gusto dell’ascoltatore contemporaneo sia ancora ancorato agli schemi dell’800 e del ‘900, noi andiamo a sentire opere di repertorio e siamo entusiasti, andiamo a sentire un’opera moderna senza farlo con lo stesso entusiasmo…
ma Antigone di Fedele, a Firenze è stata bellissima e affollata, per esempio…
Sì, ma cerca di capirmi: Verdi e i musicisti a lui contemporanei, Puccini e suoi contemporanei, scrivevano in un linguaggio chiarissimo per tutti… sì, c’era chi scriveva in modo bellissimo, chi straordinario, chi banale: però il linguaggio era accettato da tutti. Oggi il linguaggio della musica contemporanea per lo più non è accettato… e questo non è mancanza di “cultura” da parte del compositore di oggi, ci sono bravi compositori che scrivono oggi come si scriveva nell’800, ma il linguaggio non si sposa più, nella maggior parte dei casi, con i gusti dello spettatore e questo porta i registi di oggi, non avendo materiale nuovo, musica nuova su cui lavorare, a manipolare il materiale vecchio, dicendo: “Via! Il Trovatore s’è fatto un milione di volte e allora sai che si fa? Si fa Manrico in motocicletta, Azucena punk e il bimbo è morto carbonizzato con la marmitta della moto…”
Ma una produzione valida, di un moderno, come per esempio è stata l’ Antigone fiorentina, quanta vita avrà? Camminerà con le sue gambe?
Mah? Io non lo so, gli auguro però di camminare per sempre
Pensi che il Musical sia una forma di spettacolo che possa avvicinare all’opera?
Una decina di anni fa pensavo che il musical potesse essere un “percorso” verso l’opera , ma sentendo molti musical, – mi piacciono tanto e specie a New York vado spesso a vederli – mi sono accorto che sono spettacoli di intrattenimento. Qualche musical è di livello più alto, e lo dico perché ho preso le partiture in mano, ma in genere e seppur rispettabilissime, sono “canzoncine”… cosine… scrivevano musica più importante i Pink Floyd, gli Emerson Lake and Palmer o anche il nostro Banco del Mutuo Soccorso, i Jethro Tull; per esempio alcune cose dei Genesis hanno una struttura musicale importante, come si intendeva alla fine dell’800… il musical diciamo che è “l’operetta americana”, è più light, bello, si, ma è uno spettacolo di intrattenimento e non va confuso con la “musica seria”… per me.
Visto che siamo in argomento, quali sono i tuoi rapporti con la musica moderna, con il Rock?
Ma sai che ho avuto un trascorso da rockettaro? Suonavo con un gruppo “Il punto morto superiore” suonavo le tastiere, naturalmente, avevo i capelli lunghi.
E per un istante rivedo il ragazzo che è stato, mentre mima il suonare una tastiera a tempo di rock
Che progetti hai per il futuro? L’America?
America, San Francisco, direttore musicale 2009-2014. Sono felicissimo: è la città più bella del mondo! Nella conferenza stampa a San Francisco mi hanno chiesto dove vivrò e io ho detto “Avrò una casa a San Francisco e una in Toscana” e uno di loro ha detto “Not bad!” , beh, riconosco che non è male.
Come vedi il pubblico americano?
Il pubblico americano si diverte tanto a teatro, vive l’opera come uno spettacolo di intrattenimento …dopo la romanza applaude, si diverte… in Italia, dopo la romanza, il più delle volte diciamo: ma come la cantava Del Monaco, ma come la cantava Di Stefano! Però oggi queste voci non ci sono più, quindi: o si chiudono i teatri o bisogna applaudire quelli che ci sono adesso; e quelli che ci sono adesso: più li applaudi più migliorano; più li critichiamo e più si stufano e poi vanno a cantare all’estero e dopo dieci anni scopriamo quanto fossero bravi, vediamo che fanno carriere straordinarie, magari in America e allora diciamo: ma canta sempre in America?!… e per forza! Per una volta che ha cantato qua alla gente gli è venuto un muso lungo metri! Abbiamo sempre la testa e le orecchie rivolte al passato, e il passato è la morte del presente, il passato deve insegnare ma non deve essere “presente”, non a caso si chiama “passato”: o no?
E allora gli racconto della nostra realtà, di Operaclick e del nostro forum che ci permette di conoscerci e incontrarci, di andare a teatro e di vivere l’opera come un momento di aggregazione
Bravi! E’ così che deve essere! Vivere il presente! Pensate che molti degli artisti bravi del passato li abbiamo ascoltati solo tramite una documentazione discografica e il disco non dice la verità! … il disco dice parte della verità, un disco eccellente può essere fatto in molte e molte riprese prendendo solo il meglio. Il teatro è la verità, è vivo! Sì, stiamo attenti all’ascolto in disco ma andiamo soprattutto a teatro… è vero che in teatro possiamo ascoltare il meglio e il peggio: ma il teatro è vivo! Certo che se si va a teatro con gli orecchi pronti a sentire la frase come la faceva Di Stefano, è meglio andare al cinema!
Ci siamo detti altre cose, la conversazione è scivolata su argomenti spiccioli e le nostre chiacchiere rafforzano l’impressione iniziale che mi sono fatta di Nicola Luisotti: quella di un uomo positivo e schietto.
E mi piace finire il racconto di questo incontro con l’invito, scherzoso ma non tanto, a vivere il teatro presente e ad amarlo senza rimpiangere troppo il passato, altrimenti:
"meglio andare al cinema!"
Good luck, Nicola!
Marilisa Lazzari