Monica Zanettin è un validissimo soprano trevigiano che nell’ultimo decennio ha saputo ritagliarsi uno spazio di rilievo nel panorama lirico nazionale ed internazionale. Da pochi giorni è tornata da Tenerife dove nello stupendo Auditorium locale ha interpretato la parte di Amelia nell'allestimento di Un ballo in maschera coprodotto con il Teatro Regio di Parma.
Buongiorno Monica, ci ritroviamo a chiacchierare con piacere a parecchi anni di distanza da quella piccola intervista che ti facemmo in occasione della finale del Concorso Voci Verdiane di Busseto nel 2012. Da allora hai fatto parecchia strada e hai raccolto importanti successi in molti prestigiosi teatri. Tra l’altro ci siamo resi conto che in occasione del concorso appena citato, avevi già debuttato in ruoli importanti e OperaClick ti aveva recensito, per altro sempre con toni lusinghieri, in più di un’occasione. Ciò significa che hai iniziato a cantare veramente da giovanissima. Che ne dici di raccontarci un po’ di te partendo dall’inizio? Cosa ti ha portato ad avvicinarti al canto?
Buongiorno Danilo e buongiorno ai lettori di OperaClick. Grazie dell’attenzione che mi avete riservato in questi anni.
Da bambina volevo diventare una pittrice, mentre mia sorella una cantante lirica: pare assurdo ma è successo il contrario. Per gioco cantavamo entrambe con sottofondo musicale ed il primo ruolo che “imparai” per così dire fu il Conte d’Almaviva (Monica sorride) nel Barbiere di Siviglia, in quanto mia sorella faceva Rosina. Il vicinato deve aver patito parecchio e ancora oggi quando intono la cantata di Tosca da dietro palco e capita che Scarpia vada alla finestra degli appartamenti con Cavaradossi e dica “la sua voce…” immediatamente rivivo quelle memorie condominiali, quando i vicini correvano alla finestra a chiudere i doppi vetri per non sentire.
Non è molto usuale che due bimbe in casa giochino cantando il Barbiere di Siviglia. Come mai questa particolarità?
A casa mia c'era tanta musica da ascoltare e giravano parecchi personaggi dalla vena artistica ed originale. Non ci si annoiava.
Ricordi i tuoi esordi? Con quali ruoli hai mosso i primi passi?
Ho fatto moltissima gavetta in contesti amatoriali con centinaia di esibizioni da Vivaldi a Mozart, Verdi e qualche cosa di Puccini. Il tutto sempre lavorando.
Ci spiegheresti meglio cosa intendi dire con “sempre lavorando”?
Ho svolto altre professioni: dalla bibliotecaria all'archivista, la press officer, la collaboratrice di gallerie d'arte con cui mi sono finanziata quando ancora il canto da solo non mi avrebbe permesso l'indipendenza economica. È stata una fase rocambolesca e sofferta, ma assai istruttiva.
Tra i primi ruoli affrontati vi è anche Violetta. Considerando la complessità del ruolo viene da pensare che hai acquisito piuttosto presto la necessaria sicurezza tecnica; questo in virtù di una tua particolare predisposizione, oppure sei stata fortunata nel trovare gli insegnanti giusti che ti hanno aiutato nel completare ciò che la natura ti aveva dato?
Violetta è un ruolo monumentale e all’epoca l’ho eseguito con una voce dotata di natura, ma soprattutto ho messo me stessa nell’interpretarla. È stata un’esperienza molto rilevante, che mi ha fatto comprendere cosa significhi una performance oltre che vocale soprattutto mentale. Senza Violetta non avrei potuto affrontare altri ritratti operistici come Butterfly o la stessa Aida. Lo studio tecnico, poi, è stato curato con molti maestri da cui ho imparato sicuramente, ma nessuno è stato importante e decisivo come Maria Cristina Orsolato.
Come scegli i ruoli da inserire in repertorio?
Come mi pare dicesse Mirella Freni occorre inseguire la voce; quindi, li scelgo in base a come riesco a renderli con la vocalità. Non sempre ho accettato i ruoli proposti, perchè ho preferito assecondare uno strumento di cui ho rispettato e rispetto la maturazione.
Qual è il metodo che utilizzi per preparare i nuovi ruoli?
La preparazione di un ruolo è un processo molto articolato e impegnativo sotto il profilo tecnico, musicale e interpretativo. Mi immergo in quanta più musica possibile composta dall’autore che sto preparando, perché trovo importante anche solo tale ascolto. Tramite l’intuizione (non saprei come altro avvenga) si può percepire un quid come il colore tipico e l’idea di suono che aveva un autore e di conseguenza mettersi al servizio del suo personalissimo mondo sonoro.
Cosa rappresenta per te l’opera lirica?
Non mi definirei una melomane o una studiosa della storia dell’opera. Sono solo una cantante che rimane aggrappata al senso di meraviglia per la voce. Personalmente trovo sia limitativo definirla strumento; mi piace pensarla come qualcosa di più, mi si permetta di osare chiamarla persona, in quanto la voce è portatrice di parola e spirito che per definizione sono attinenti all’essere e non agli strumenti. Indubbiamente la voce ha una volto “materiale” con estensione, portanza, colore e le caratteristiche che di continuo si discutono, ma penso che la società sia eccessivamente presa dal culto della tecnica (in senso lato) e che la voce - pur sorretta da solidità tecnica - debba farsi oggi a maggior ragione veicolo di spiritualità.
Sei soddisfatta di quest’ultima esperienza a Tenerife? Eri debuttante nel ruolo di Amelia?
In Amelia debuttai nel 2015 presso il Teatro La Monnaie di Bruxelles e l’ho ripresa in altre produzioni in Italia e all’estero. Quella di Tenerife è stata un’esperienza positiva con una bellissima compagnia e un intenso lavoro filologico effettuato sul piano scenico e musicale.
Nei mesi scorsi hai interpretato con successo il ruolo di Butterfly alla Fenice. Si è trattato di un impegno dal sapore un po’ particolare per te che sei nata a Treviso e hai studiato a Venezia?
Il debutto in Butterfly doveva avvenire nel 2017, ma avevo perso mio padre da pochissimi giorni e non era il momento. Questa è la vita. Butterfly sarà sempre legata a lui, volente o nolente. È stato un gran successo, l’attesa è valsa e le emozioni si sono sovrapposte abbastanza vorticosamente in quei momenti sul palco.
Hai un ruolo che al momento vedi come un ideale punto d’arrivo per la tua carriera? Una sorta di sogno nel cassetto…
Desidererei cantare Elisabetta del Don Carlo, opera che ammiro moltissimo.
Hai qualche soprano del passato che ti ispira particolarmente?
Amo molto Claudia Muzio, di cui possiedo l’intero archivio personale. Il senso dell’ineffabile, l’uso della voce così teatrale e la tensione quasi parossistica del suo chiaroscuro, l’hanno resa in grado di raggiungere esiti incredibili con un canto immaginifico e astratto.
Che rapporto hai con la regia?
È uno degli aspetti che amo di più del mio lavoro. Mi piacciono tutte quelle regie che hanno una mediazione interpretativa chiara che non necessità di essere spiegata fornendo manuali d’istruzione. C’è da dire però che, come accade per l’arte contemporanea, nel caso di regie moderne, al pubblico è richiesto maggiore sforzo interpretativo e culturale per comprenderle.
Sono già passati sedici anni da quando ti ascoltammo e recensimmo per la prima volta; hai fatto cose importanti ottenendo sempre riscontri positivi dando tuttavia quasi l’impressione di non fare nulla per apparire dal punto di vista mediatico. Ti senti di condividere la nostra impressione?
Sì, è vero. Diciamo che mi piace andare un po’ controcorrente…
Come vivi questa tua professione che, sappiamo, richiede molti sacrifici soprattutto per il tempo che ti tiene lontana da casa?
In fondo mi piace stare per i fatti miei e il periodo che passo lontano da tutto e tutti non mi pesa. Al contempo sono molto fortunata che i miei affetti più cari possano venire a trovarmi.
Quando hai del tempo libero come ami trascorrerlo?
Mi piacciono la scrittura e il disegno, in particolare la grafica a carboncino o a tecnica mista, i viaggi e non solo quelli di lavoro.
Ci descriveresti la tua giornata tipo?
Giornata tipo? Ricorre lo studio, ma sono una persona spontanea e non amo programmare.
Grazie per la chiacchierata e in bocca al lupo per i tuoi impegni futuri.
Grazie a voi e un saluto a tutti i lettori di OperaClick.
Danilo Boaretto