Mihnea Ignat è uno dei principali direttori rumeni della sua generazione. In Italia si mise in evidenza nel 2010 vincendo il Premio Speciale della Filarmonica Toscanini al Concorso di direzione "A.Toscanini" che si tiene a Parma. Dopodichè la sua carriera ha preso strade che l'hanno portato a dirigere moltissimo in Romania ma anche in svariati paesi europei e soprattutto in Spagna, paese a cui è particolarmente affezionato. Infatti lo incontriamo a Elche - cittadina della provincia di Alicante - dove è direttore musicale della locale Orchestra Sinfonica.
Maestro Ignat, quali sono le ragioni che l’hanno portata a legarsi così fortemente alla Spagna e in particolar modo a Elche?
Vivo in Spagna dal 2005, da quando venni qui per lavorare con l’Orchestra Filarmonica dell’Università di Alicante con la quale ho collaborato sino al 2017, mentre dal 2016 ho preso l’impegno con l’Orchestra Sinfonica città di Elche. Praticamente la mia vita, dal 2005 fino al 2020, data tristemente segnata dall’inizio della pandemia, si è svolta qui in Spagna. Fortunatamente ho diretto anche in tanti altri paesi, fra cui ovviamente la Romania; in Italia ho diretto perla prima volta quando partecipai al Concorso Arturo Toscanini ed in seguito tornai con l’Orchestra Filarmonica dell’Università di Alicante. Ho diretto anche a Londra nel 2008, in occasione del Concorso Donatella Flick però si, è giusto sottolinearlo, la mia vita professionale si è sviluppata soprattutto in Spagna.
Quindi è giunto in Spagna ancor prima del Concorso Toscanini; all’epoca era già in Spagna da 5 anni. Risiede in Spagna per ragioni prettamente professionali o perché ama vivere in questa stupenda terra?
Per ragioni professionali ma anche perché la vita qui, pur essendo molto difficile, è davvero meravigliosa. Il Mediterraneo mi piace molto: amo il carattere della gente, la gastronomia, il mare; la luce che c’è qui “m’encanta”. Ma devo dire che dal maggio 2020 la mia vita è divisa fra Alicante e Timisoara, dove sono direttore principale dell’ Opera Nazionale Rumena.
Ci descriverebbe l’Orchestra di Elche? Quali sono le particolarità che la rendono interessante?
Principalmente va detto che è l’orchestra più antica della provincia di Alicante. Quest’anno festeggiamo il 35° anniversario ed è giusto dire che anche prima del mio arrivo questa orchestra fece molte cose interessanti. È un’orchestra privata ed associazione culturale il cui budget è formato al 100% da contributi del Comune e della Provincia. Abbiamo anche qualche sponsor privato però dopo la pandemia è diventato piuttosto difficile mantenere il loro supporto. Nonostante in questi 35 anni i contributi del Comune e della Provincia non sono mai venuti a mancare, non sono stati sempre della stessa entità. Tuttavia, siamo sempre riusciti a fare delle belle stagioni.
La sede dell’Orchestra è il Gran Teatro de Elche che ha compiuto lo scorso marzo 100 anni. È un teatro dove viene rappresentato di tutto: prosa, balletto, musical, danza contemporanea. Non essendoci delle maestranze ed una compagnia stabili, gli spettacoli non possono essere tutte nostre produzioni. Il teatro dispone di una buca per l’orchestra e quindi si possono rappresentare anche opere liriche; il problema è che questo tipo di spettacolo richiede costi molto alti. Nel 2013 abbiamo portato in scena L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti ma dal punto di vista budgetario non andò molto bene. Il problema dei soldi è fondamentale.
Quindi il repertorio di questa Orchestra è soprattutto sinfonico.
Si. Abbiamo eseguito anche delle opere ma per lo più in forma di concerto: due o tre anni fa abbiamo rappresentato La serva padrona di Giovanni Battista Pergolesi ed era stata inserita nel programma in abbonamento.
Domani sera si terrà il concerto per il 35° anniversario della Fondazione dell’OSCE. In base a cosa ha scelto il programma? Il concerto per Violino di Chaikovsky e Brahms.
Volevo fare un programma un po’ speciale con Gjorgi Dimchevski, un meraviglioso violinista macedone che vive da molti anni in Spagna ed è il violino di spalla dell’Orchestra del Palau de les Arts de Valencia. È stato lui a proporre per questo suo primo incontro con l’Orchestra di Elche, il concerto per violino e orchestra op.35 di Ciajkovskij.
Partendo da questo cardine ho pensato ad un ideale incontro di Ciaikovsky con Brahms: due mondi distinti ma appartenenti alla stessa epoca; entrambi romantici ma con stili compositivi ben diversi. Ciajkovskij scriveva musica in una maniera molto personale, intima, particolarmente sentita. Anche in Brahms si possono trovare queste caratteristiche sebbene lui sia molto “tedesco” e la sua musica risulti, dal mio punto di vista, un po’ più intellettuale. Detto ciò, ho scelto la seconda sinfonia di Brahms in quanto la sento più intima e pastorale; probabilmente fra le sinfonie di Brahms è al momento quella più vicina al mio cuore.
Quali sono state le tappe fondamentali della sua carriera sino ad oggi, quelle che per lei sono state più significative, quelle che le hanno dato di più?
Ritengo che l’incontro con il Maestro Dmitrij Kitaenko nel 2009 al Concorso Malko di Copenhagen, dove egli faceva parte della giuria, sia stato il più importante per la mia vita professionale. Partecipai al concorso e raggiunsi la semifinale. Al termine della competizione parlammo e mi diede l’opportunità di collaborare come suo assistente per tre anni. Per me fu un’autentica rivelazione. Lui è una persona molto speciale, di poche parole ed il suo stile, il suo modo di fare musica, di esprimersi con la musica, con il gesto, con tutto il corpo ed anche con lo sguardo, sono cose che porterò sempre con me. Anche il suo dare fiducia all’orchestra è qualcosa di unico.
La seconda tappa importante fu quando nel 2018 cominciai a lavorare con il teatro d’opera, un mondo totalmente nuovo e completamente diverso da quello che sino a quel momento avevo frequentato.
Deve essere stata un’esperienza forte dopo tanti anni di sinfonica questo cambiamento.
Si, lo è stato. Però avevo avuto in passato un’esperienza che si è rivelata molto utile in tal senso. Dal 2014 al 2016 lavorai per tre anni a Perugia con l’Orchestra Filarmonica dell’Università di Alicante, al servizio di una masterclass dove accompagnavamo trenta solisti al giorno, con tutti i concerti di Mozart di piano, di violino, di Chopin per piano, di Rachmaninov per piano e tantissimo repertorio. Sebbene al momento non me ne rendessi conto, fu un’esperienza che mi tornò utile quando dovetti approcciarmi all’opera lirica.
Devo confessare che all’inizio l’opera non mi piaceva soprattutto perché trovavo poco convincenti alcuni libretti. La scintilla è scoccata quando sono entrato in contatto con opere come Otello e Falstaff di Giuseppe Verdi, che si basano sul teatro di Shakespeare ed hanno beneficiato di un librettista geniale come Arrigo Boito. Fu la chiave di volta: mi innamorai e adesso non riesco a vivere senza l’opera. Tuttavia, dopo periodi trascorsi a dirigere molta lirica, sento il bisogno di tornare un po’ al repertorio sinfonico. Per esempio, questa settimana con le prove di questo concerto a Elche, è come tornare agli elementi di base della musica: musica che è senza parole e bisogna farla capire alla gente senza l’aiuto della parola.
La musica sinfonica ti dà maggiori possibilità di esprimere te stesso?
Da un certo punto di vista sì, anche se la musica sinfonica rappresenta una componente di uguale valore della musica lirica; ritrae una parte di questo ingranaggio complesso, offrendo il supporto necessario alla parola. La musica sinfonica invece deve esprimere senza parole gli aspetti più intimi dell’animo umano ed è molto difficile. Penso che alcune cose si perdano con le parole ma altre si guadagnino.
Come ti sei avvicinato alla musica? Hai sempre pensato di diventare un direttore d’orchestra o sei partito magari con un’idea diversa?
Ho iniziato a studiare musica a 7 anni a Craiova, la città dove sono nato. Dai 15 ai 18 anni ho studiato pianoforte, ma 15 anni ho avuto anche l’occasione di dirigere un coro e mi piacque molto: cantavo nel coro ed il direttore mi chiese se volessi provare a dirigerlo. In seguito, all’Università Nazionale di Musica di Bucarest, studiai composizione e direzione d’orchestra.
Che ricordo hai della tua esperienza italiana?
Con la Filarmonica Toscanini al Concorso fu un’esperienza meravigliosa. La Toscanini è un’orchestra stupenda ed il concorso andò molto bene, tanto è vero che ricevetti il premio speciale dell’orchestra. Dopo il concorso sono stato invitato a dirigere un concerto a Parma ed abbiamo suonato il Triplo Concerto di Beethoven con i meravigliosi solisti della stessa orchestra e la sinfonía “Linzer” di Mozart. Ne serbo un ricordo molto bello.
Quali sono le difficoltà maggiori che deve affrontare un direttore d’orchestra per riuscire a formarsi?
Penso che la cosa più difficile sia avere a disposizione l’orchestra, ossia lo strumento con cui esercitarsi. Per me dirigere è una questione di talento ma soprattutto di esperienza. L’orchestra è uno strumento umano. Lavori con le persone, la psicologia è molto importante ed è come lavorare con tanti solisti diversi molto bravi. In un’orchestra molto grande sei come un allenatore di una grande squadra di calcio ed è molto importante conoscere bene la musica e avere una propria visione della stessa. Devi riuscire ad esprimere la tua visione della musica con una tal convinzione che gli orchestrali la facciano loro e la metabolizzino.
Un direttore senza orchestra non è nulla, non esiste. Bisogna pensare che l’orchestra non la si ha a disposizione sempre, come un qualsiasi strumento: gli studenti del conservatorio hanno a disposizione l’orchestra una volta all’anno, per dirigere un brano di dieci minuti o una parte di sinfonia. Non avendola sempre a portata di mano, i direttori hanno spesso lo strumento nella loro testa: studiamo e poi ci immaginiamo cose che però non sempre funzionano nella pratica. Una cosa che può andare bene per un’orchestra potrebbe non andare bene per un’altra e il tempo di adattamento deve essere sempre molto rapido.
Raccontaci un po’ anche dei tuoi impegni in Romania dove sappiamo che esistono molti teatri d’opera di buon livello.
Ho diretto all’opera Nazionale di Bucarest, prima della pandemia e poi sono stato impegnato con l’opera Nazionale di Timisoara. A Bucarest ho diretto Nabucco, Il Trovatore, Le Nozze di Figaro, L’elisir d’amore, Cavalleria Rusticana, Pagliacci e poi anche una nuova produzione di Otello con la regia Giancarlo Del Monaco: uno spettacolo che ha avuto un buon esito. Il regista ha fatto sua anche una mia idea sul finale di Otello, sulla sua morte e alla fine ci siamo trovati d’accordo. A Timisoara ho fatto tante cose: Carmen, Traviata, Aida, Simon Boccanegra, Il Trovatore, una nuova produzione della Serva padrona con la regia di Silviu Purcărete, sempre dopo la pandemia, una produzione davvero deliziosa e brillante: un piccolo gioiello.Recentemente abbiamo fatto Ball im Savoydi Paul Abraham, una produzione stupenda che porteremo a Bucarest.
Qual è il tuo repertorio preferito, quali sono i tuoi autori del cuore?
Fra i compositori d’opera amo tantissimo Verdi. Sto anche lavorando ad un dottorato a Bucarest su William Shakespeare, Giuseppe Verdi e Arrigo Boito: tutti i loro collegamenti con un’attenzione particolare su Otello, titolo che riprenderemo a Timisoara il prossimo novembre. Nel mondo sinfonico mi piacciono tanto Mozart, Chaikosvsky, Brahms, Beethoven, Schubert che per me è un autore fantastico. Ma devo dire che con queste preferenze vado un po’ a periodi. (sorride)
Hai avuto occasione di dirigere opere del belcanto italiano?
Si, ho diretto un Elisir e anche diversi brani di Lucia di Lammermoor, Don Pasquale, Il Pirata, La Sonnambula, Norma, ecc.Ci sono tante opere stupende di quel periodo così fecondo. Tutto parte dalla scuola napoletana, dal belcanto. Il Trovatore di Verdi è l’esempio perfetto di belcanto romantico. Ho diretto anche il Barbiere di Rossini che però è un autore che non amo come Donizetti e Bellini. A volte lo trovo un po’ superficiale. Forse la musica più bella di quel periodo è quella di Bellini per le sue melodie affascinanti che per me sono comparabili a quelle di Schubert. La sua musica è trasparente e io sono d’accordo con il Maestro Muti che dice che nell’accompagnamento dell’orchestra ci sono sempre elementi che danno sostegno alla parola. Per questo è molto importante per un direttore d’orchestra che dirige opera conoscere bene anche la musica sinfonica. Perchè il rischio dello zumpappà può nascondersi dietro l’angolo e si deve cercare di renderlo meno meccanico e più “sinfonico”, più a contatto con la parola e con l’azione del palcoscenico. In questo modo si arricchisce molto la recita e il racconto musicale. Nell’opera, sul palcoscenico la cosa più importante è la voce però se quella voce non ha un supporto sinfonico adeguato, non in termini di potenza ma in termini di sostanza, può correre dei rischi.
Fra i direttori d’orchestra del passato hai qualche punto di riferimento?
Del passato si: Carlos Kleiber. E mi piace molto la scuola di Toscanini, Antonino Votto e poi Riccardo Muti con la continuità dell’opera italiana che è sempre rigoroso e fedele allo spartito; fedele al testo musicale ed alla drammaturgia. I grandi maestri come Verdi, Rossini, Puccini, scrivevano sullo spartito quello che volevano esprimere; erano uomini di teatro oltre che compositori, perciò non c’è nulla da inventare.
Fra i direttori ancora in attività ce n’è qualcuno che stimi maggiormente?
Nel mondo dell’opera italiana mi piace molto il Maestro Muti e poi ammiro molto Petrenko dei Berliner Philharmoniker. Ammiro anche Chailly che in certe cose, tipo Mahler, è davvero molto bravo. Recentemente ho scoperto un Requiem di Verdi diretto da Fabio Luisi che mi ha fatto innamorare, se questo si può dire per un requiem.
Svelaci il tuo sogno nel cassetto.
Il mio sogno è soltanto riuscire a fare bella musica. Riuscire ad arrivare a quel punto di comprensione musicale fino al punto di raggiungere un tale affiatamento che non c’è bisogno nemmeno di guardarsi.
È molto facile dire mi piacerebbe dirigere i Berliner Philharmoniker, l’Orchestra della Scala o quella del Metropolitan però io penso che nella vita la cosa più importante sia tentare di fare sempre il meglio nel posto dove ti trovi. Per esempio sabato qui a Elche, mercoledì a Timisoara: bella e buona musica in qualsiasi teatro del mondo.
Il mondo teatrale in Italia come in altri paesi del mondo sta attraversando anni difficili soprattutto a causa del cambio generazionale del pubblico, anche a causa della pandemia. Qual è la situazione in Spagna e in Romania le due realtà che tu conosci meglio?
Anche in Spagna e in Romania ci sono le stesse difficoltà. Noi a Timisoara negli ultimi mesi abbiamo avuto tantissime volte il tutto esaurito perché per primo proponiamo spettacoli di alta qualità, e poi perché il pubblico, dopo la pandemia, vuole tornare a vedere e sentire spettacoli dal vivo, anche se è comunque un pubblico di età avanzata. Su questo dettaglio stiamo cercando di lavorarci. Per attirare i giovani, penso si dovrebbe lavorare su delle produzioni di opera un po’ più attuali, perche per loro, la regia è molto importante. Per esempio, il Ball im Savoy è molto bello anche da vedere e attira un tipo differente di pubblico, molto giovane. Si può fare la stessa cosa con l’opera. Io non penso che la regia debba essere soltanto regietheater, però le produzioni per esempio con abiti d’epoca per me sono un po’ finite. La gente ha bisogno di identificarsi. Non è facile, però abbiamo bisogno di registi geniali per fare questa cosa. Ci tengo anche a dire che attualizzare un’opera soltanto per attualizzarla non ha alcun senso e non è certamente questo quello che io mio auspico.
Dove trovi maggiormente questa situazione? Nella musica sinfonica o nell’opera?
Penso che nel pubblico della sinfonica manchi molto di più il pubblico giovane perché nell’opera c’è la parola ed è molto più facile decodificare il messaggio. La musica sinfonica è molto più codificata, astratta, più cerebrale. L’opera ha un vantaggio rispetto alla musica sinfonica anche per la parte visiva.
E qual è il tuo approccio verso la musica contemporanea?
Ho diretto musica contemporanea ma non tanta in quanto mi piace la musica ben scritta. Ogni tanto la dirigo e la apprezzo.
I tuoi impegni futuri?
Il più importante è la ripresa di Otello(vincolata per me al dottorato di Bucarest) a cui tengo molto e ci tengo a realizzare bene. Ho anche l’intenzione di utilizzare il finale terzo, l’ultimo scritto da Verdi per l’Opéra di Parigi. Non sono sicuro che si possa fare perché poi l’opera andrà in repertorio e i cantanti non lo conoscono. L’opera verrà poi rappresentata a Timisoara nel novembre prossimo.
Qui in Spagna, a Elche, faremo una bella stagione di cui abbiamo già abbozzato un po’ il programma e poi, dal 2025 sarò il Direttore principale della Filarmonica di Sarajevo in Bosnia ed è possibile che faremo anche una nuova produzione di opera.
Anche qui ad Elche vorrei rappresentare un titolo di opera ma sarà molto difficile perché non è come un teatro d’opera in cui si producono scene, costumi e non dispone di un coro stabile pertanto si potrà fare solo se riusciremo ad organizzare un tour con qualche teatro spagnolo o almeno nella provincia di Alicante di almeno 5 o 6 recite.
Hai qualche altra passione oltre alla musica?
Mi piacciono molto il teatro, la corsa, il tennis e viaggiare. In effetti viaggio molto ma non per vacanza e non è esattamente la stessa cosa. (sorride)
L’anno scorso con la mia compagna ho fatto il Cammino di Santiago ed è stata un’esperienza bellissima.
Allora in bocca al lupo per i tuoi impegni futuri.
Grazie per la bella chiacchierata e un saluto ai lettori di OperaClick.
Intervista effettuata a Elche il 13 maggio 2023.
Danilo Boaretto