Incontriamo Giovanni Romeo qualche giorno dopo l'ultima recita di Cenerentola a Genova in cui è stato un Don Magnifico di grande presenza vocale e scenica ottenendo ad ogni recita grande successo di pubblico e di cui abbiamo dettagliatamente raccontato nella recensione riferita all'ultima recita. L'appuntamento è fissato per le ore 17 da Ungaro, una splendida pasticceria di Milano ubicata in una zona comoda per entrambi. Ci troviamo con puntualità svizzera ed iniziamo la nostra chiacchierata davanti ad un'ottima cioccolata calda.
Buonasera Giovanni, allora sei pronto per ripartire? Ricordaci quale sarà la tua prossima meta…
Ciao Danillo! È sempre un piacere incontrarsi, soprattutto davanti a una deliziosa cioccolata calda per la gioia nostra e della glicemia. Sono pronto a ripartire anche se devo ammettere che, dopo la chiusura generale, conseguenza dei due anni pandemici, apprezzo molto di più casa e quel che ne concerne: la mia cucina, i miei libri e tante altre cose del quotidiano. Mi sento un po' come Bilbo Baggins, affezionato con mania ai suoi centrini da tavola e alla sua dispensa, ma sempre pronto ad un viaggio inaspettato… cioè ad una nuova produzione all’orizzonte. Infatti, debutterò a gennaio, giusto per inaugurare con entusiasmo il 2023, un ruolo a me molto caro e sul quale ho studiato tanto nei primi anni di formazione vocale: Leporello. Lo interpreterò all’Opera di Atlanta, negli USA; un teatro bellissimo che, già quest’anno, mi aveva accolto calorosamente col mio amato Dottor Bartolo rossiniano. Sono davvero felice di questo debutto che da ben 12 anni attendevo che qualche teatro me lo offrisse. Finalmente è arrivato!
Sei soddisfatto dell'esito delle recite de La Cenerentola da poco terminate al Carlo Felice di Genova?
Moltissimo! È stata, per molti aspetti, una produzione davvero divertente e bellissima umanamente (cosa molto rara negli ultimi anni). Innanzitutto, avere in prima compagnia cantanti belcantisti del calibro di Roberto De Candia e di Antonino Siracusa, con una tecnica solida e una resa vocale d’acciaio, è come avere una masterclass di alto livello a costo zero sul campo d’azione. E già questo basterebbe per essere a dir poco entusiasti… Poi ho avuto colleghi davvero straordinari sotto ogni profilo, un teatro affettuoso che mi vede ospite già da qualche anno e come direttore Riccardo Minasi, un vero musicista con una sensibilità di “buon core” davvero fuori dal comune. Con tutta questa “manna dal cielo” anche un ruolo veramente ostico come quello di Don Magnifico risulta più facile da eseguire rispetto alla sua oggettiva ed impervia scrittura; non a caso, per tanti grandi interpreti moderni e del passato, Don Magnifico rimane, tra i ruoli buffi rossiniani, uno dei più difficili da eseguire come da spartito. Credo che pochi altri ruoli buffi o simili possano vantare ben tre arie completamente diverse tra loro per difficoltà vocale e scenica sempre in crescendo. Quindi, queste recite sono state un po' come la cioccolata che stiamo gustando: una volta finita ne rimarrà il dolce ricordo.
Ma raccontaci un po' di te: gli amici di OperaClick, attirati dai tuoi successi, vorranno certamente conoscerti meglio: di dove sei originario, dove sei cresciuto e come ti sei avvicinato alla musica e al mondo dell'opera?
Mi definisco un “minestrone” perché sono nato a Milano, i miei genitori sono milanesi ma le origini sono un vero e proprio mix di regioni tra nord e sud: Lombardia, Puglia e Calabria. Nonostante ciò, mi sento milenese per molte ragioni: sono nato e ho fatto tutte le scuole a Milano, vivo nel quartiere doc di Crescenzago e sono cresciuto con una nonna paterna che parlava in dialetto milanese a me tramandato. Non sono figlio d’arte e mi sono avvicinato al mondo della musica, e nello specifico dell’opera lirica, per puro caso della vita. Quando avevo circa 14 anni, completamente inconsapevole di cosa fosse il do3 sul pentagramma, nel bel mezzo di un trasloco, giunto a nuova abitazione, cominciai ad aprire i vari scatoloni contenenti tutta la roba da risistemare, e fra questi ve n’era uno con gli effetti personali di mio papà (amatore dell’opera ed in particolare del mitico Luciano Pavarotti), tra cui 4 vecchie musicassette del Corriere della sera con incisi brani di Vivaldi, Mozart, Beethoven e Verdi; ascoltai per prima quello di Mozart, con la celebre aria Der Hӧlle Rache della regina della notte interpretata da Cristina Deutekom e lì fu un travolgente colpo di fulmine. Da quel momento la mia vita cambiò per sempre: completamente entusiasta per aver sentito la bellezza di quella musica, e per giunta, accompagnata dalle meraviglie acrobatiche possibili nella voce umana. A quel punto dissi a mia mamma che avrei voluto studiare canto e mi misi di buon auspicio a cercare una scuola privata che prevedesse l’insegnamento del canto lirico; era iniziato il mio “viaggio inaspettato” …
Raccontaci un po' dei tuoi studi musicali e che ricordi hai di quel periodo?
Conobbi la mia prima ed unica insegante in una scuola privata di Lambrate, in maniera del tutto casuale, la Signora Cristina Dominguez; una pianista e cantante che non aveva fatto carriera a livello artistico ma che conosce molto bene la tecnica. Fu una vera fortuna, come capii successivamente, perché, ben consapevole della mia totale ignoranza musicale e di avere tra le mani uno strumento in piena muta vocale, mi disse: “Se vuoi studiare con me, sappi che per sei mesi, forse un anno, non ti farò emettere un suono. Se vuoi intraprendere seriamente questa strada devi imparare il solfeggio, studiare le basi di pianoforte e, soprattutto, devi imparare a respirare da cantante. Forse, dopo tutto ciò potrai fare i primi vocalizzi…”. Nonostante il mio desiderio irrefrenabile di cantare, mi fidai inspiegabilmente del suo temperamento severo ed autoritario e cominciai il mio percorso. Per quasi un anno avevo i pomeriggi stracolmi: oltre ai compiti scolastici, i solfeggi del Bona, brani semplici per i primi passi al pianoforte e tantissimi esercizi di respirazione. Dopo vennero i primi vocalizzi, solo quelli e niente arie, accompagnati dal costante e ferreo esercitarsi sempre sui solfeggi, sul pianoforte e sulla respirazione. Ancora oggi, a distanzi di 18 anni, godo di quei benefici tecnici per riscaldarmi prima di una recita o in fase di studio.
Nella tua famiglia come hanno accolto il tuo desiderio di costruire sulla musica e soprattutto sul teatro d'opera il tuo futuro?
Ho avuto reazioni molto diverse tra i miei genitori. Mia mamma, titolo di studio terza media, completamente inconsapevole di cosa fosse realmente l’opera lirica, fu semplicemente contenta che il figlio avesse trovato un sano e costruttivo svago pomeridiano dopo le ore di studio scolastico. Nonostante avesse un minimo di conoscenza generale sull’argomento, almeno come amatore profano, mio padre era quasi indifferente alla cosa, sicuro che molto probabilmente sarebbe stato un momentaneo “passatempo ludico” da buttar via una volta che il figlio si fosse stufato del giocattolo ormai non più nuovo. Invece, le cose andarono molto diversamente; presi di petto la voglia di andare sino in fondo, consapevole di tutte le difficoltà del momento a mio svantaggio: zero conoscenza generale della musica, poche disponibilità economiche da poter investire con relative drastiche decisioni (scegliere di pagare le lezioni di canto o comprare un paio di scarpe nuovo per sostituire quello usurato con le suole bucate) e, soprattutto, costruire da sottozero uno strumento che non aveva ancora subito la totale muta vocale e che non manifestava, almeno in apparenza, nessuna particolare predisposizione canora, se non una voce bianca sopranile ben messa e coi sovracuti, ma ben lontana dal baritono che oggi ne ha preso il posto; il falsetto della terza aria di Don Magnifico è tutto quel che rimane di quel soprano…
Quali sono stati gli ascolti e gli artisti che più di altri hanno fatto crescere il melomane che è in te?
Potrei fare una lista lunga quanto un poema di Omero! Diciamo che in quei primi anni di studio (2004, 2005 e 2006) YouTube era una vera novità e fortunatamente metteva a disposizione una miriade di registrazioni che andavano sino agli anni ‘20 del secolo scorso; quindi mi sono fatto una cultura vocale ascoltando di tutto, da Juan Diego Florez a Luigi Alva, da Luciano Pavarotti a Jussi Bjӧrling, da Josè Carrera a Richard Tauber, da Joan Sutherland a Mado Robin, da Montserrat Caballé a Mafalda Favero, da Daniela Dessì a Renata Tebaldi, da Lucia Valentini Terrani a Teresa Berganza, da Giulietta Simionato a Fedora Barbieri, da Renato Bruson a Titta Ruffo, da Bonaldo Giaiotti a Tancredi Pasero, e la lista non finisce più… sto citando monumenti vocali che hanno fatto la storia dell’opera degli ultimi 100 anni e pensare che molti nuovi giovani cantanti non conoscano nemmeno la metà di queste grandi nomi mi fa un po’ male.
Dal punto di vista dell'impostazione tecnica vocale c'è un insegnante in particolare che ritieni di dover ringraziare?
Sicuramente Cristina Dominguez per le basi tecniche che mi stanno ancora accompagnando nel mio percorso vocale e poi perché non è mai stata un’insegnate gelosa; mi stimolava e mi incentivava sempre a confrontarmi con altri, specie se fossero stati famosi cantanti in carriera e della mia corda, così avremmo potuto metabolizzare i consigli dati e svilupparli a lezione. È stata molto intelligente.
Da qualche anno i grandi ruoli del repertorio buffo, ma lo fai davvero cantando; mi spiego meglio: la tua vocalità davvero ben messa tecnicamente fa immediatamente comprendere che non sei un buffo per ripiego, come ce ne sono stati tanti anche in passato. Quindi, come nasce la decisione di dedicarti a questo repertorio e non, per esempio, a ruoli da baritono lirico?
Dopo qualche anno di studio con la mia insegante, la voce cominciava a prendere una forma più o meno baritonale e mi esercitavo moltissimo sulle arie della trilogia Mozart/Da Ponte e su qualche aria di Bellini e di Donizetti per il legato e tutto quello che ne concerne. Fu Enzo Dara, in una sua masterclass, che mi indirizzò su Rossini ed in particolare ai ruoli buffi. Mi ricordo che mi disse: “Sai Giovanni, sento che hai una voce sonora e ben presente, con delle belle qualità, ma sento in essa anche molta comicità che potresti tirar fuori… e poi, hai un fisico che si presterebbe bene per certi ruoli…”. Ovviamente non mi cimentai subito con le arie dei buffi del grande repertorio rossiniano che esigevano una padronanza indispensabile delle agilità e dei sillabati; infatti, la prima aria che mi diede da studiare fu quella di Pacuvio, “Ombretta sdegnosa” della Pietra del paragone. Mi stava proprio “a pennello” e fu un vero e proprio portafortuna perché con essa vincevo molte audizioni e riscuotevo molto successo nei primi concertini. Da lì capii che era una strada totalmente da perseguire, senza però sacrificare il legato e continuando a studiare anche altre cose necessarie in prospettiva di altri ruoli futuri come ad esempio Fra Melitone e, molto futuri, come Falstaff e Gianni Schicchi.
Chissà quanti ti hanno già detto che, negli atteggiamenti e nell'approccio scenico, ricordi Enzo Dara: ma cosa ha rappresentato per te l'indimenticato buffo mantovano?
È molto difficile esprimere in poche parole cosa ha rappresentato per me questo fortunato incontro. Per come sta andando il mio percorso professionale, in qualche modo, sento il peso e la responsabilità di dover onorare questo passaggio di testimone, cosa molto difficile perché stiamo parlando di un grande basso buffo ancora insuperato per la sua eleganza e per le sue doti attoriali. È grazie a lui che debuttai la mia prima opera, con una sua regia, al Teatro Bibiena di Mantova: interpretavo Uberto ne La serva padrona di Paisiello. Ho imparato tantissimo e sicuramente è stata una prova tangibile della tradizione italiana dei buffi, tipica della nostra commedia e del nostro patrimonio culturale. Questo credo che sia una delle più emozionanti sorprese avute sino ad ora nel mio “viaggio inaspettato”.
Hai qualche simpatico ricordo personale di Enzo Dara? Magari qualche consiglio che ti ha dato e che tu ritieni prezioso?
Ne potrei citare tanti di ricordi, uno più bello dell’altro… non posso dimenticarmi l’amore per il buon cibo, cosa da me totalmente condivisa. Mi ricordo che quando stavo debuttando Geronimo ne Il matrimonio segreto di Cimarosa, con lui regista, si facevano prove in tarda mattinata e nel pomeriggio dalle 14.00 alle 18.30. Il Maestro Dara aveva l’abitudine di saltare il pranzo e di cenare direttamente alla sera con solo la colazione nello stomaco per tutte quelle ore. Quindi, arrivati intorno le 17.30 diceva: “Ragazzi… mi raccomando! Fatela bene questa scena così finiamo prima. Ivana (la moglie) mi sta aspettando a casa con la polenta, il salame e la bottiglia di Bonarda…”. Quanto lo invidiavo! Ovviamente, noi della produzione, cercavamo di fare sempre del nostro meglio. Non era molto simpatico il Maestro, a stomaco vuoto, quando non si faceva esattamente ciò che si aveva molto provato. Si incazzava come un lupo letteralmente affamato!
Uno dei consigli più preziosi che mi diede era quello di rubare il più possibile dalle qualità degli altri colleghi; studiare attentamente, nei minimi particolari tecnici, vocali e scenici, tutti i colleghi in scena. Perché quello che sa fare uno non lo sa fare l’altro e viceversa. Solo così si può migliorare e si può formare un’autocritica costruttiva.
Cosa speri per il prosieguo della tua carriera?
Per me stesso nulla di particolare. Spero e mi auspico che il nostro caro amato paese torni ad essere un vero faro culturale nel modo, ammirato e stimato da tutti gli altri paesi. Io e tanti altri miei colleghi siamo, da troppo tempo, stanchi di vedere una crisi sociale e culturale in progredire. È vero che la crisi economica prima e la pandemia dopo hanno attanagliato ulteriormente questo già martoriato paese, ma è necessaria una e vera manovra culturale per uscire dalla “malattia” sociale. Bisogna investire nella scuola, nelle strutture professionalizzanti scientifiche ed artistiche e, soprattutto, ricostituire dalle fondamenta quei sani teatri di provincia, vere e proprie fucine di opera e di cantanti disposti a crescere e a maturare prima di poter fare il salto nei teatri internazionali rendendo sempre più grande il merito del nostro ed unico vero patrimonio culturale.
Al contrario di quanto spesso si sente dire, riteniamo che le voci importanti ci siano ancora bensì mancano manager in grado di gestirle, preservarle e indirizzarle verso una carriera duratura. Sempre più spesso notiamo validi giovani che partono col botto, mostrando doti vocali anche eccezionali, ma dopo pochi anni di sfruttamento senza scrupoli, spariscono nel nulla. Tu cosa ne pensi?
Sono pienamente d’accordo con te. Le voci e i talenti ci sono e come se ci sono! Peccato che poi si perdano per strada… Altro che Omero!!! Potremmo star qui per ore ad elencare e a sviscerare le ragioni che spiegano il fenomeno, oramai, sempre più in crescendo. Sicuramente le più significative in tal senso sono in primis le cattive scuole di canto (conservatori allo sbando, insegnanti improvvisati, “tecniche” strane, ecc.); in secundis un “mercato spremiagrumi” che senza scrupoli manda allo sbaraglio giovani talenti con ruoli sbagliati in teatri non ancora adeguati al proprio percorso professionale; infine il repertorio sbagliato in totale noncuranza della propria vocalità e un sistema sociale incentrato sui soldi, l’uso errato (o l’abuso) della tecnologia con la totale dimenticanza dello studio artigianale e monastico che questa professione necessita nonostante lo scorrere dei secoli.
Mi diresti un ruolo, al momento anche apparentemente impossibile, che sogni di poter interpretare?
Avendo citato prima Tolkien, non posso nascondere la mia passione per le ambientazioni dei suoi romanzi che richiamano molto la mitologia norrena e di conseguenza il teatro wagneriano. Sono un amante di Wagner, in particolare della tetralogia. Sogno un domani di poter cantare, almeno una volta nella vita, l’avido nano Alberich nel Das Rheingold; lo trovo assolutamente affascinante e psicologicamente moderno. È una vera palestra vocale… e poi la lingua tedesca di Wagner, sublime quanto difficile per gli stessi esecutori madrelingua. Per ora rimane un sogno…
Cosa ti piace maggiormente della tua professione e cosa invece ti pesa di più?
La cosa che mi piace di più è quella che si può essere sempre un personaggio diverso. Questo lo trovo estremamente interessante perché, entrando in un personaggio, si ha la possibilità di attraversare aspetti psicologici e umani che non si hanno o che non si pensano di avere, così si arriva ad un arricchimento personale non indifferente.
La cosa che mi pesa di più, invece, è quella di vivere in un periodo storicamente professionale con dei tempi frenetici che, a volte, non permettono degli approfondimenti reali sugli aspetti drammaturgici di quell’opera e di quel determinato personaggio. A dire la verità, non si fa nemmeno in tempo, in alcune produzioni, a fare approfondimenti musicali necessari alla buona riuscita dello spettacolo.
Come hai accennato in apertura, a giorni tornerai a cantare negli Stati Uniti, di fronte ad un pubblico che ha un approccio probabilmente diverso da quello europeo...
In generale, il pubblico straniero è sempre più estroverso rispetto a quello italiano. Non voglio assolutamente dire che quest’ultimo non lo sia ma, per quanto possa risultare appassionato e caloroso, dà sempre l’impressione di avere le baionette puntate e pronte a sparare. Invece, il pubblico americano è un vero spasso: tutt’altro pianeta! Si sente proprio dal palcoscenico che amano ed ammirano l’opera italiana e i cantanti italiani soprattutto. Poi se sei un basso buffo, italiano e ti cimenti in tuo ruolo di punta è fatta; li hai letteralmente conquistati e gli applausi finale ne sono la prova.
In questo momento ci troviamo da Ungaro, una pasticceria dove sembri di casa; l'impressione che abbiamo avuto è che tu sia molto legato alla tua Milano e a luoghi come questo, dove è ancora possibile allacciare rapporti umani con il personale. Abbiamo inteso bene?
Nonostante Milano sia una metropoli europea in completa balia del suo, a mio avviso, malsano internazionalismo, permane ancora una sorta di convivialità urbana tipica dei suoi quartieri storici. Tanto è vero che i quartieri limitrofi, come Lambrate, all’inizio del secolo scorso erano ancora dei veri e propri paesi alle porte di Milano, con i suoi abitanti e suoi negozianti; e tutti si conoscevano tra loro. Questa cosa mi piace moltissimo. Ricordo ancora, da bambino, quando andavo da mia nonna in Via Ciro Menotti al 12 verso l’ora di pranzo della domenica autunnale e si sentivano uscire dalle finestre dei piani rialzati il profumo dei bolliti misti e del risotto con l’òss büs (osso buco) accompagnato dal cinguettare delle forchette sui piatti da portata. Oggi si sente al massimo lo smog, sempre più in aumento, con l’olio di frittura dei ristoranti cinesi unito all’odore del kebab… per non parlare dell’aridità umana che invade tutto l’hinterland.
Cosa fai nel tempo libero? Hai qualche hobby?
Mi piace cucinare (e mangiare…), andare in bicicletta, leggere saggi, romanzi, biografie ecc. Poi sto ultimando un altro mio progetto/percorso che per scaramanzia non voglio ancora svelare, ma che rivelerò al nostro prossimo incontro.
Farai in tempo a trascorrere il Natale a casa? Generalmente come lo passi?
Fortunatamente sì. Sarò con la mia famiglia a spadellare di tutto e di più, tortelli in brodo di cappone, lingua salmistrata e altre cose sfiziose. Il panettone di Ungaro non può mancare!
Danilo Boaretto