Incontriamo la bella e simpatica Fiorenza Cedolins nella sua accogliente casa immersa nella brumosa e tranquilla campagna pavese; luogo ideale per recuperare le energie psicofisiche disperse fra i gratificanti ma al contempo faticosi, successi internazionali. Considerato che il prossimo febbraio 2007 sarà la sua prima volta al Teatro alla Scala di Milano con Madama Butterfly diretta da Myung-Whun Chung, ruolo che le ha già dato parecchie soddisfazioni, desideravamo conoscere i pensieri, le motivazioni, le aspettative e le emozioni che la accompagnano verso un debutto così importante.
Ci può raccontare la “Madama Butterfly” di Giacomo Puccini vista con gli occhi di Fiorenza Cedolins?
Ho sempre intuito un significato opposto all’apparenza. Una superficiale descrizione del personaggio potrebbe essere “la piccola e fragile geisha, perdutamente innamorata del cinico approfittatore che, disperata per l’abbandono, si toglie la vita”. Non vi sembra poco per una protagonista alla quale Puccini dedica un atto secondo - quasi un monologo - di 60 minuti e per la quale scrive musica di sublime e profonda ispirazione psicologica? Madama Butterfly è la coraggiosa analisi dei processi mentali, forse patologici, di un drammatico rifiuto: il rifiuto di sé, la “non accettazione”, la fredda e razionale logica di chi compie l’autodistruzione come scelta consapevole e meditata. Non c’è dramma più sofferto in Puccini. Avverto in esso una verità molto più dolorosa che nelle altre opere della sua produzione. Particolarmente patetico è l’accostamento apparentemente incongruo tra la delicata ed infantile leggerezza della bambola perfetta, sottomessa ed umile e la donna, maturata attraverso un’esistenza di sconfitte e di laceranti decisioni. Cio-cio-san è una bambina matura: pianifica. Vede nel matrimonio con lo yankee l’unico modo per sottrarsi alle regole inflessibili della società giapponese: la vita della geisha è un percorso crudele ed inesorabile. Ma l’incrollabile fede in Pinkerton è frutto solo della ostinata ed irragionevole proiezione dei suoi desideri. I “matrimoni” tra graziose bambine, rapite, vendute, abbandonate o semplicemente sole con facoltosi signori, anche stranieri, nel Giappone del passato erano “affarucci” quotidiani gestiti da ruffiane e protettori nei quali tutti ci guadagnavano ed ai quali queste giovani sfortunate creature si abituavano, spesso di buon grado, pur di non finire nei bordelli o sulla strada. Dunque, nella sua posizione, per Cio-cio-san poteva essere un ottimo affare. Ma lei vuole di più: vuole credere che l’americano la porterà via. Via dalla sua vita di ragazza disgraziata, via dal suo destino di oggetto, in un mondo diverso, ideale, bello, dove essere felice. La distruzione dei sogni sarà inevitabile. Il personaggio assume statura eroica nel suicidio. Con la sua morte, Butterfly compie un miracolo estremo: consentirà al figlio di non avere più legami con il mondo delle geishe, con le sue radici che essa aveva rinnegato, di costruirsi un futuro laddove essa lo aveva immaginato. Un suicidio motivato più dalla generosità che dalla disperazione.
Fra le Butterfly interpretate sino ad oggi, qual è quella che le ha lasciato il ricordo più bello e perché?
Ho debuttato Butterfly a Macerata con Henning Brockhaus e Massimo De Bernart. È lo spettacolo a cui sono enormemente legata, perché le idee del regista sono state totalmente consonanti al mio modo di sentire. Ero molto spaventata dalla mia incapacità di adattarmi ad un personaggio tutto “campanellini ed ombrellini”. Brockhaus invece ne ha dato una lettura di profonda astrattezza, molto vicina alla realtà giapponese e con motivazioni sinceramente toccanti.
Altra occasione molto significativa il debutto al Met di N.Y. L’allestimento “rigoglioso” di grande bellezza naturalistica di Giancarlo Del Monaco, negli anni ha perso parte dell’originale impostazione non priva di spunti dissacranti. All’Arena di Verona, il nuovo allestimento di Franco Zeffirelli è stata una sfida a chi giudicava il titolo inadatto alle vastità areniate. Siamo riusciti, con il tocco fenomenale del grande Maestro, a costruire vero successo e a dimostrare che si può fare teatro in ogni situazione quando si collabora con buona volontà.
L’ultima, in ordine di tempo, delle mie Butterfly è stata quella del Liceu di Barcelona del luglio scorso. Esperienza indimenticabile! Con il pubblico è nato un amore! All’ultima recita mi hanno tributato un omaggio incredibile: dal loggione (temibilissimo quello di Barcelona!...) è piovuta una nuvola colorata di fiori e centinaia di foglietti rossi e azzurri con la mia foto e la frase: “A Barcelona una bella storia d’amore è incominciata… Brava Fiorenza!!!!!” (questo emozionante momento è visibile nel video allegato a questa intervista, n.d.r.) Sono stata anche eletta “Migliore Artista della Stagione” dal Loggione, per cui avrò l’onore di far parte della galleria fotografica esposta al 4° piano del Teatro del Liceu di Artisti meravigliosi (Kraus, Tebaldi ed altri) che, prima di me, sono stati insigniti di questo riconoscimento. Ho conosciuto inoltre, nel corso di quella fortunata produzione, un team di colleghi e professionisti, dai tecnici di palcoscenico fino ai dirigenti del Teatro, di spessore professionale, dedizione e intelligenza esemplari. La Spagna, per l’amore e l’orgoglio che dimostra verso l’Opera, ha molto da insegnarci.
Cosa pensa della situazione dell'opera in Italia?
In Italia, i veri appassionati siamo pochi ed abbandonati a noi stessi! I politici si disinteressano, i mass media ci considerano solo per gli scandalucci… che tristezza! Perché nelle principali nazioni esistono canali televisivi e radiofonici, cito Arté franco tedesca, Radio Catalunya e Radio National de España, la BBC in Gran Bretagna che trasmettono la musica classica ed operistica, mentre in Italia siamo ridotti alle briciole di Radiotre che non si riceve dappertutto o agli scampoli notturni televisivi di mezza estate…Per non parlare della scarsa offerta di spettacoli… Vedere pubblico giovane nei nostri teatri, in queste condizioni, è sorprendente. Questo è anche, in parte, colpa di una concezione teatrale invecchiata. Siamo così distanti dall’estetica giovanile, che non mi meraviglia affatto che, per la maggior parte dei giovani, siamo piuttosto oggetto di ironia che di stima! Questo non vuol dire essere fanatici del “teatro di regia”, che, con la scusa dell’intellettualismo, spaccia vere brutture per “teatro impegnato”. Ma non possiamo più neppure avallare i “tenoroni” con i parrucconi e i “sopranoni” della serie “entro-canto-ed-esco”… Credo che esista un’estetica tipicamente italiana, frutto dell’unione di Bellezza, Cultura e Sensibilità Artistica. Dobbiamo sforzarci per alimentarla e difendere ciò che siamo.
Cosa significa debuttare alla Scala?
Ho atteso questo momento con “calma e filosofia”, come dice Lescaut, e sono veramente contenta che la mia tranquillità d’animo mi abbia fruttato un debutto nel migliore – per me – ruolo possibile! Non le nascondo che, per un certo periodo, ho avuto la sensazione di non essere molto amata in alcuni “ambienti” del teatro milanese…, e probabilmente ciò ha influito sul fatto che, se Dio vuole, debutterò nel palcoscenico più prestigioso d’Italia all’alba dei miei meravigliosi 40 anni!!!.... Scherzi a parte, considero tutto ciò una benedizione: potrò coronare una lunga fase di maturazione artistica e personale, debuttando nel ruolo giusto e al momento giusto! Troppi Artisti hanno già dato il “non meglio” di sé su quelle assi, perché certi “aiutini” si pagano in scena… Là siamo soli! Noi, nudi, davanti al pubblico con quello che siamo in grado di dare.
Cosa prova ad essere “novella” Cio Cio San scaligera, ultima di una serie di grandi nomi che in passato hanno affrontato il ruolo su questo importante palcoscenico?
Non credo di essere una persona speciale nella misura in cui questo significhi essere una “superdonna”. Credo solo che impegnarsi veramente, fino in fondo, fare di ciò che si è deciso lo scopo della propria esistenza, dia sempre dei bei risultati. Io ho semplicemente deciso che il canto era questo scopo. Ed immagino che anche altri Artisti si sentano “semplicemente” così. Quello che è veramente speciale, piuttosto, è avere un “dono”. Il mio “dono” è, forse, non tanto la voce, quanto la mia sensibilità, di cui la voce, nelle sue qualità indefinibili, è lo specchio. Molti di noi ricevono un “dono”. Purtroppo, pochi hanno il coraggio e la forza di coltivarlo umilmente. Quando si debutta in teatri molto importanti, come la Scala, è fondamentale non perdere di vista questi semplici fondamenti esistenziali. È come guidare una Ferrari, può innervosirti, intimidirti o, all’opposto, generare deliri di onnipotenza… Credo che la maniera giusta di porsi nei confronti del pubblico sia quella capire che possiamo essere tutti uniti nella comune, esaltante esperienza di creare Arte insieme. La musica e, in particolare, l’Opera è una forma d’Arte “in divenire”, che si attua solo nel momento in cui c’è la fusione di composizione geniale, interprete creativo e pubblico sensibile. L’Artista creativo costituisce il ponte insostituibile: esso è il vettore che raccoglie l’ispirazione dell’Autore, la elabora interiorizzandola e la diffonde all’universo di chi ama la Musica. Non sempre noi Artisti riusciamo in questa specie di processo alchemico: può mancare la sensibilità e l’interprete è finto, non capisce. Può mancare l’elaborazione e allora si parla di “pappagallo” in scena, di clone. Infine, può mancare la forza di donare le proprie emozioni. Perché donare, sulla scena, costa molta fatica. Fatica emotiva. L’interprete che non dà è solo uno strumento. Può essere perfetto, anzi, probabilmente, è più che perfetto! Ma è , inesorabilmente, freddo. Credo che questo significhi Arte. Il resto è business…
Cosa si aspetta da questa produzione scaligera?
Mi aspetto di realizzare il meglio possibile. Spero che si potrà lavorare in armonia.
Fra le grandi interpreti che ci hanno lasciato una testimonianza discografica di questo bellissimo titolo pucciniano, ne ha una che più di altre le ha dato spunti utili per il suo modo di affrontare il ruolo?
Ho “rubato” da tutto e da tutti indiscriminatamente! C’è da imparare sempre. Non ho dei punti di riferimento fissi per i miei ruoli. Certo, la tecnica si deve imparare anche per imitazione. I grandi Artisti costituiscono esempi esecutivi per risolvere le difficoltà tecniche, ma, per l’interpretazione bisogna scavare in se stessi. Copiare è controproducente, si diventa inevitabilmente superati. L’originale è nuovo, la copia è vecchia!
Come trascorrerà le giornate da qui al prossimo 9 febbraio? Studio, prove, tempo libero…
Ho preso pochi impegni fino all’inizio-prove della Scala. Voglio riposare ed essere molto concentrata. A Natale faremo un salto in Friuli, dalla Mamma. C’è anche il nonno di 98 anni e mia sorella con il marito; a fare allegria ci sono i nostri a…mici trovatelli, 15 gatti e la cagnolona Camilla che abbiamo raccolto da tutte le parti e vivono lì…
Sta preparando nuovi ruoli e in quali teatri li debutterà?
Guardo con particolare interesse al repertorio belcantistico e quindi ai titoli per me più interessanti di Donizetti. Sto preparando la Paolina del Poliuto, che debutterò a Bilbao nel 2008 e Lucrezia Borgia per il Regio di Torino. Ma è anche mia intenzione affrontare, appena si presenterà l’occasione, le “Regine” donizettiane.
Cosa le piacerebbe vedere nel suo futuro artistico?
Spero di poter proseguire la mia carriera, “divertendomi” come ho fatto finora!
Danilo Boaretto