Incontriamo Dimitra Theodossiou dopo le applaudite recite dei Lombardi alla Prima Crociata di questa estate a Macerata, dove l’artista ha ottenuto un vibrante successo personale, e la conversazione inizia da subito ricordando i primi passi del celebre soprano nel mondo della lirica.
“Con l’opera è stato amore a prima vista” ci dice la Theodossiou “Quando avevo 6 anni mio padre mi portò all’opera per la prima volta, ad Atene: ricordo che si dava Il trovatore di Verdi e ho avuto una folgorazione… mi ero completamente innamorata e mi sentivo rapita in un’altra dimensione. Mi si è aperto letteralmente un mondo sconosciuto, un po’ come Alice quando arriva nel paese delle meraviglie, e ho subito detto a mio padre che il mio lavoro sarebbe stato Leonora. (ride) Detta così in effetti trasmette tutto l’entusiasmo di una bimba e non mi stupisco che mio padre non abbia preso molto seriamente questa affermazione: lui era un grande ammiratore d’opera e riusciva a portarmi al Teatro Comunale di Atene per tre volte a settimana grazie al suo migliore amico, una maschera che ci permetteva di entrare.”
C’erano molte occasioni di vedere opere al Teatro di Atene?
“Certamente, perché il teatro lavorava tutto l’anno. L’eccezione era costituita dalla stagione estiva, che comunque vedeva il fiorire di numerosi Festival. In Grecia l’opera lirica è stata importata da Venezia, quando le isole greche erano occupate dagli italiani. In particolare l’origine della lirica in Grecia è Zante e le isole ioniche, che hanno avuto uno sviluppo culturale incredibile grazie all’influenza di Venezia: anche il mio naso romano è originario di Zante!”
E dopo trovatore l’amore per l’opera è proseguito con altri ruoli?
“Grazie a mio padre ho visto a teatro tutto quello che potevo vedere e, ogni volta, volevo far diventare il mio lavoro quello del personaggio in scena, finché capii che esisteva un lavoro che li potesse comprendere tutti, ovvero il soprano. Fin da quando ero piccola, quindi, questo è stato il mio desiderio.”
Un destino segnato fin dall’inizio, praticamente…
“Beh, si può dire di si: sono nata da madre tedesca e padre greco in una famiglia molto povera. Sono cresciuta con un’educazione severa ma anche con una grande attenzione per l’Arte e per la Musica: credo che questo abbia molto influito sui miei desideri. A casa vivevo con 3 sorelle e un fratello e il mio primo teatro è stata la nostra stanza: avevo creato una scena mia e creavo la regia per qualunque ruolo mi prendesse e coinvolgesse… Era un modo molto particolare di vivere l’opera: infatti io non capivo l’italiano (la lingua nella quale erano cantate la maggior parte delle opere) e ricreavo la trama e i sentimenti dei personaggi dalla fantasia e da ciò che mi trasmetteva la musica. Ancora oggi per me la musica è la cosa che mi fa decidere se è il caso di cantare o no un’opera, mi da una grande ispirazione: credo che paradossalmente potrei cantare un’opera intera solo di ‘la la la’ senza la parola. Prima per me è sempre venuta la musica, poi le parole.”
Questo è molto curioso, dato il suo famoso temperamento d’interprete e di fraseggiatrice!
“Quello è perché sono professionale! (ride) Ovviamente considero la parola molto importante e non intendo affatto sminuirne il ruolo all’interno del teatro musicale. Vedo spesso giovani cantanti che non danno abbastanza peso alla parola: si canta tutto sulla vocale ma la consonante è quella che aiuta sia a entrare in maschera che a pronunciare la parola con il giusto peso emotivo. Questo aiuta anche l’interpretazione: io mi sforzo e lavoro per trasmettere al pubblico il personaggio nella completezza dei suoi sentimenti e delle sue emozioni. Mi ricordo di un Otello a Venezia con la regia di Alberto Fassini: nella scena in cui Otello mi uccideva venivo trascinata lungo il palco per i capelli, un momento davvero teso in cui sentivo il pubblico trattenere il fiato per la violenza della scena, ma questo anche perché sentivo in me il dolore e la paura di una donna che sta per essere uccisa. Il regista mi chiese durante le prove se considerassi la scena troppo forte e se la volessi fare veramente: io ne ero entusiasta, perché mi aiutava a vivere ancora più il personaggio con la sua verità e, di conseguenza, a trasmetterlo al pubblico nella sua forza! Il lato negativo è che avevo la testa dolorante dopo ogni recita… ma che soddisfazione!”
Una Desdemona che lotta non sembra così strana: in effetti è un personaggio non solo molto attuale, ma anche ricco di personalità…
“Non è una debole, anzi: Desdemona una donna fortissima, che ha perso la famiglia per amore. Ancora oggi la creazione di coppie interraziali è spesso un problema.”
Torniamo al suo percorso d’artista: in famiglia come venne accolta la sua vocazione?
“Mio padre non voleva assolutamente che io facessi l’artista: era un po’ all’antica, quindi convinto del fatto che gli artisti muoiono sempre poveri (ride di gusto). Mi diceva sempre che non voleva che prendessi quella strada e mi invitava a studiare qualcosa di serio: siccome un’altra mia grande passione era l’economia nel settore del turismo mi sono dedicata a quell’aspetto nel mio percorso universitario. Anche in questo caso ho scelto un lavoro basato sulla comunicazione! Però era destino che prendessi altre strade: durante un viaggio in treno conobbi Birgit Nickel, quella che sarebbe diventata la mia insegnante. La cosa curiosa è che lei abitava a tre strade di distanza dalla mia casa (nel frattempo mi ero trasferita in Germania) ma non ci si era mai incontrate! Bisogna capire che il mio mondo era la Grecia, Atene… in Germania non avevo nessun punto di riferimento e non conoscevo nessuno. All’epoca avevo abbandonato i miei sogni di bambina e non pensavo più che avrei fatto la cantante.”
Quindi nonostante l’incontro non era convinta di iniziare l’avventura?
“Non del tutto: il mio fidanzato di allora mi spinse a provare e anche mia mamma mi ha incoraggiato. Birgit Nickel non mi aveva promeso nulla: mi aveva solo detto di andarla a trovare e di provare… poi se si fossero visti risultati e se mi fosse piaciuto si poteva proseguire. È andata a finire che all’epoca avevo 25 anni e a 29 ho debuttato come Violetta nella Traviata!”
Un ruolo che ha cantato molto spesso!
“Si, ma ormai l’ho abbandonato perché alla fine nei giornali mi criticavano più per il mio fisico che per la mia prestazione vocale: per fortuna i ruoli da cantare non mi mancano e, oltretutto, batto un territorio molto particolare nel mio repertorio.”
Infatti: Giselda, Odabella, Abigaille… molti dei suoi successi sono personaggi molto impetuosi e pieni di grinta, ma anche ruoli che spesso hanno spaventato alcune sue colleghe!
“Io posso dire solo che li amo alla follia proprio per la grinta che hanno. In ognuno di loro c’è un po’ della mia personalità, perché anche Dimitra è una donna che rischia volentieri e affronta tutte le sue esperienze buttandosi, senza pensarci troppo. A volte paragono il mio lavoro all’equilibrista del circo che si mantiene su di una corda! (ride).”
Odabella in Attila, comunque, è legata alla sua grande affermazione in Italia nel 1999 al Comunale di Bologna: cosa ricorda di quell’esperienza?
“Indubbiamente Odabella ha segnato una svolta nella mia carriera e il merito è del Maestro Gianni Tangucci che ha intuito questo mio potenziale aggressivo. Mi ricordo che all’epoca cantavo Lucia di Lammermoor, La Traviata e La Bohème ma lui mi ha detto: <<Dimitra, la tua forza è un’altra e tu devi tirarla fuori: ti voglio dare una posssibilità con Attila, lo conosci?>> Io nemmeno sapevo che cosa fosse ma, ovviamente, dissi di si e accettai. Fui folle perché, in realtà, non ne avevo mai ascoltata nemmeno una nota! In ogni caso lui mi disse di andare a studiare lo spartito e che, nel caso non me la fossi sentita, avremmo scelto un altro titolo. Io ero entusiasta e telefonai alla mia agente dicendole che avevo accettato: non si può immaginare la sua reazione! Mi disse che ero una pazza! Io allora chiesi: <<Dimmi di chi è quest’opera.>> - <<Di Verdi!>> - <<Bene, allora vado a documentarmi!>>. Entrai in un negozio di dischi, la comprai e la ascoltai: Mio Dio! Ero davvero stata pazza! (ride di gusto!) In un primo momento pensai di cancellare, ma poi mi sono buttata, l’ho studiata con la mia voce e devo ringraziare il Maestro Callegari che, nel mio percorso di accostamento a quest’opera, mi ha aiutato davvero tantissimo aprendomi un mondo che per me era assolutamente sconosciuto!”
E da lì sono arrivati tanti altri ruoli, comprese alcune rarità come la Cleopatra di Lauro Rossi, che ha affrontato a Macerata nel 2008.
“Ho detto subito di si quando Pier Luigi Pizzi mi ha contattata perché sono davvero innamorata del personaggio di Cleopatra. Mi conquistava anche il fatto che il padre della Cleopatra storica fosse un generale greco: non ci pensai due volte ad accettare perché ero ubriacata da questo ruolo. Per interpretarlo al meglio mi tagliai anche i capelli… ma quella fu una follia e non credo lo rifarò mai più (ride di gusto).”
Non rifarebbe Cleopatra o non si taglierebbe più i capelli?
“Oh no, l’opera la rifarei: mi è così piaciuta! Ma non mi taglierei ancora i capelli per una ripresa! (ride) Oltretutto sono convinta che Cleopatra possa effettivamente rientrare in repertorio: mi sembra una musica molto fruibile e in grado di coinvolgere il pubblico. Per quanto mi riguarda, lo ribadisco ancora, se me la proponessero la rifarei di corsa e con grandissimo entusiasmo!”
Un altro titolo desueto da lei affrontato è stato Rhea del compositore greco Spiros Samara.
“Un’opera molto difficile: ho lavorato veramente tanto per prepararla. La musica è un misto tra Puccini e Verdi, anche se a volte mi sembra mancare una linea unitaria. La trovo interessante ma non credo che possa effettivamente coinvolgere il pubblico come Cleopatra. Per me è comunque stata un’enorme soddisfazione poterla interpretare.”
Torniamo all’Attila e ai ruoli del primo Verdi che, dal 1999, ha affrontato uno dopo l’altro.
“Attila mi ha praticamente “consacrata”, preparandomi alle celebrazioni del 2001, durante le quali penso di aver cantato tutti i ruoli che potevo cantare: mi sono sentita la donna giusta al momento giusto (sorride). Considero Verdi un grande genio musicale, ma anche un politico che ha usato con intelligenza la sua arte, un leader che si è posto a capo della rivoluzione italiana e la ha messa nella sua musica. È stato un uomo che ha usato la musica per dare i suoi messaggi di guerriero e nazionalista: confesso di amare moltissimo questo aspetto perché anche io, che comunque sono divisa tra Germania e Grecia, amo la mia patria, con tutti i suoi difetti e le sue difficoltà. Questo è un aspetto greco del mio carattere che non cambierei per nulla al mondo.”
Il suo repertorio vede anche numerose opere di Donizetti.
“Anche in quel caso c’è stato lo zampino del destino: dopo il debutto con Traviata nel 1995 la mia seconda opera è stata proprio Anna Bolena, che ho cantato a Kassel, dove era Primo Kappelmeister il fratello della mia insegnante. Kassel, per me, è stata una grande palestra e ho potuto saggiare sul palcoscenico moltissimi ruoli: dopo Bolena è seguita Donna Anna in Don Giovanni con la regia di Ruggero Raimondi, poi Lucia di Lammermoor, I Capuleti ed i Montecchi e moltissime altre…”
Oggi ricanterebbe Donna Anna o preferirebbe Donna Elvira, forse più temperamentosa?
“Io non trovo Donna Anna così debole, anzi, a me piace molto perché è una tipa davvero tosta e dotata di grande personalità. Non mi riconosco nella personalità di Elvira (sorride) perché perde troppo tempo a piangere dietro un uomo che la inganna.”
Torniamo a Donizetti: in molti casi le sue regine sono personaggi storici realmente esistiti che possono essere un modello per l’interprete ma anche un rischio, dato che la Storia non sempre trova adeguato spazio nell’opera… come si può muovere l’interprete in questo caso?
“Di solito è preferibile scegliere una via di mezzo, mischiando la finzione del libretto con la storia, dato che il personaggio storico va capito e contestualizzato. Prendiamo Anna Bolena: sappiamo che era ambiziosa, intelligente, politicamente attiva e sempre con qualcosa da dire… certamente era diventata un fastidio e un peso per Enrico VIII e, anzi, molti la considerano la più forte e ambiziosa tra le sue mogli. Molti di questi aspetti passano indubbiamente nell’opera, anche se il personaggio donizettiano forse più interessante e appagante per l’interprete è sicuramente Elisabetta I in Roberto Devereux. Mi intriga molto anche Maria Stuarda, che ho debuttato recentemente: la Stuarda era una donna educata, colta e intelligente che il potere, chiudendola in un castello, ha nascosto al mondo non facendola vivere. Interpretare questo ruolo nell’opera di Donizetti è difficile perché ho sempre la sensazione di una donna resa debole, una sorta di tigre cui sono state tolte le unghie ma che sa ancora graffiare, come dimostra nell’invettiva. In questa scena affiora tutto il suo carattere e non fatico a credere che Elisabetta potesse aver paura di lei.”
Ha un sogno nel cassetto? Un ruolo che vorrebbe assolutamente cantare?
“Sono davvero fortunata perché in quindici anni di carriera ho cantato tutti i ruoli che sognavo di interpretare, compresa Medea di Cherubini: questo non significa che io consideri chiuse le porte a ogni esperienza o ad altri debutti. Se ci sono proposte interessanti non esito ad accettare, come nel caso dei miei prossimi debutti legati a due compositori che adoro: Bellini con Beatrice di Tenda e Verdi con Luisa Miller.”
Ormai la avranno paragonata così tante volte alla Callas, vista anche la comune origine greca, che si sarà stancata…
“In realtà per me è un onore immenso: con la Callas sono cresciuta prima come appassionata e poi come cantante. Mi ricordo che avevo 13 anni quando è morta… uscivo da scuola e su tutti i giornali c’era la sua foto. Lessi l’articolo: <<morto il grande soprano Maria Callas>>… Soprano? Mi si accese una lampadina in testa: comprai il giornale e lessi tutta la sua storia. Restai folgorata e approfittai di un’amica italiana di mia madre, che viveva di fronte a noi: questa signora mi portava ogni anno un disco inciso da Maria Callas. Posso dire di essere praticamente cresciuta con lei… sentivo solo lei da appassionata prima ancora di averla come modello per la mia attività di cantante.”
Oltre alla Callas ci sono altre artiste che sente affini o che usa come modello?
“Ascolto molto: l’unico problema che si ha è che si tende spesso ad imitare la voce di chi si ascolta, per questo mi interessa molto sentire voci che, per varie ragioni, sento simili alla mia, come è il caso di Leyla Gencer o Nelly Miricioiu. Per me è un esercizio molto utile, anche per capire i vari modi in cui può essere risolto un problema tecnico o un passaggio particolarmente difficile.”
Ci sono dei sogni impossibili: ruoli che vorrebbe affrontare e che non potrà fare?
“Beh si: penso ai grandi ruoli da mezzosoprano come Azucena e Dalila, ma ho un po’ il rimpianto di non aver mai fatto I Puritani. Ho perso l’occasione e, oggi, non credo che me li offriranno più: mi spiace perché considero il ruolo di Elvira ricco di potenzialità drammatiche ma pazienza… mi rifarò con Beatrice!”
C’è invece un ruolo che non rifarebbe
“No, non mi sono mai pentita di nulla di ciò che ho fatto e, anzi, mi impegno a rifarlo meglio. Questo non vuol dire che non ci siano state anche serate negative, come ad esempio la Lucrezia Borgia a Bergamo, dove non ero in forma per tanti motivi. Sono stata molto felice di poterla rifare a Torino dove, grazie anche all’aiuto di Bruno Campanella, mi è sembrato di prendermi una piccola rivincita!”
Con Campanella ha anche debuttato il Roberto Devereux…
“Si, ad Ancona nel 2005… che serata splendida! Non mi scorderò mai quelle recite così emozionanti: penso in particolare all’ultima, che mi è rimasta stampata nella mente… eravamo tutti in forma unica e Campanella ha saputo tirarmi fuori il massimo per essere Elisabetta I!”
In bocca al lupo per i prossimi debutti, allora!
“Crepi il lupo e un saluto a tutti gli amici di OperaClick!”
Gabriele Cesaretti