Qualche giorno fa, nella girandola dei nomi papabili per il ruolo di Sovrintendente del Teatro Comunale di Bologna è apparso anche quello di Corinne Baroni da quasi sette anni Sovrintendente e direttore artistico del Teatro Coccia di Novara; a tal proposito l’abbiamo contattata per farle qualche domanda.
Corinne, recentemente si è letto il tuo nome tra le candidature alla Sovrintendenza del Teatro Comunale di Bologna. Cosa ci puoi dire in proposito?
Ho appreso con interesse di questa ipotesi e sono onorata che il mio nome venga associato a una realtà così prestigiosa come il Teatro Comunale di Bologna nel quale ho ricoperto ruoli chiave, a partire dall’assistente del Sovrintendente alla responsabile dell’area fundraising. Un’esperienza preziosa che mi ha permesso di approfondire dinamiche strategiche e operative in un contesto di grande rilevanza nel panorama musicale nazionale e internazionale.
Attualmente, sono pienamente impegnata nel mio ruolo di Sovrintendente e Direttore Artistico del Teatro Coccia di Novara, una realtà che in questi anni ha saputo distinguersi per innovazione e progettualità. La mia attenzione è rivolta alla crescita della Fondazione ed ai numerosi progetti in corso, con l'obiettivo di consolidare ulteriormente il ruolo del Teatro Coccia come polo culturale di riferimento.
È stimolante vivere consapevolmente questo momento storico nel quale il sistema teatrale sta vivendo una fase di grande trasformazione, con un cambio ai vertici di molte Fondazioni Lirico-Sinfoniche che apre a nuove competenze e a una visione più dinamica della gestione. Il teatro di oggi deve saper coniugare tradizione e innovazione, sostenibilità e qualità artistica, intercettando nuovi pubblici e aprendo le porte al cambiamento.
Non basta conservare il passato, serve alimentare il fuoco della cultura, renderlo vivo, capace di parlare al presente e alle nuove generazioni. Questa è la sfida più grande, ed è anche la più entusiasmante.
Cosa hai portato al Teatro Coccia della tua esperienza bolognese?
La mia quasi decennale esperienza al Teatro Comunale di Bologna è stata per me una straordinaria scuola di visione e concretezza, che mi ha permesso di sviluppare quella che era una mia naturale propensione in un ambito che solo dieci anni fa non era strutturato come lo è oggi, sto parlando dell’area raccolta fondi e di rapporti con i grandi mecenati. E non posso certamente dimenticare una tra le sfide più belle vinte al Comunale di Bologna quando sono riuscita ad avere Lamborghini come main sponsor dell’opera inaugurale di stagione piazzando una sfavillante Lamborghini Huracán nel Foyer Respighi del Teatro, né potrò dimenticare l’incontro con i grandi mecenati quali Marino e Paola Golinelli che mi permisero di toccare per la prima volta con mano uno strumento innovativo come il Charity Trust - una forma evoluta di mecenatismo, che garantisce la destinazione certa e la gestione strutturata delle risorse - con il quale sostennero il completo rifacimento della platea del Teatro. Ma in quegli anni di crescita e di scoperta, feci altri importanti incontri a partire da AlfaWassermann - oggi AlfaSigma – che oltre ad essere uno dei sostenitori storici di vari titoli d’opera della Stagione, fece un intervento straordinario acquistando una nuova camera acustica, e finisco ricordando un altro grande incontro, quello con Silvana Spinacci, una mecenate che con gusto e determinazione ha personalmente finanziato e seguito con cura meticolosa il rifacimento dello storico bar del Foyer Rossini, restituendo al Teatro un pezzo di storia e restituendo nuova vita ad un luogo in cui l’esperienza teatrale si completa, a favore di quella coesione sociale che rende vivo un teatro.
La ragione per la quale parlando della mia passata esperienza bolognese, oltre all’incontro con Lamborghini, ho citato questi significativi interventi di mecenati illuminati a favore dell’“edificio Teatro” è perché ritengo che prendersi cura di un Teatro significhi non solo sostenerne la programmazione artistica, ma anche garantirne il futuro come spazio vivo, accogliente e accessibile. E questo ho voluto portare al Teatro Coccia, una visione, un quomodo che fondi le proprie radici su un sistema di relazioni che partono dalla fiducia, dalla condivisione di valori nonché dall’importanza di una donazione responsabile. Il fundraising non è solo una ricerca di fondi, ma un processo di coinvolgimento, di appartenenza e di costruzione di un patrimonio relazionale in grado di generare impatto concreto, e valore duraturo.
È ormai risaputo che i finanziamenti pubblici per le Fondazioni Lirico-Sinfoniche come per i Teatri di Tradizione sono in costante diminuzione. C’è a tuo avviso un rimedio a questo inesorabile processo? E se sì, quale è?
È vero, i finanziamenti pubblici per le Fondazioni Lirico-Sinfoniche e i Teatri di Tradizione continuano a diminuire, ma definirlo un processo inesorabile significa accettarlo senza reagire. Io credo invece che questa sfida possa diventare un'opportunità per ripensare il modo in cui il Teatro si sostiene e si relaziona con la comunità.
Il primo passo è ampliare la visione del fundraising. Non può essere più solo un supporto ai fondi pubblici, ma un pilastro essenziale della sostenibilità del Teatro. Questo significa creare un legame solido con il mondo privato, non con contributi sporadici, ma con un mecenatismo strutturato e una progettualità chiara. Imprese, fondazioni bancarie e grandi donatori devono sentirsi parte integrante della vita del Teatro, non solo finanziatori, ma “investitori”, protagonisti di un percorso condiviso.
Poi c’è la necessità di diversificare le entrate, rendendo il Teatro un “ecosistema” più dinamico. Oggi non basta più pensare solo alla stagione lirica: bisogna valorizzare gli spazi, creare format originali, investire in attività collaterali e nelle residenze artistiche e aprire il teatro al mondo. L’internazionalizzazione delle produzioni, ad esempio, è una grande opportunità ancora poco sfruttata. Il Teatro Coccia ha dimostrato che con progetti innovativi, che uniscono formazione, produzione e ricerca, è possibile creare sinergie virtuose con accademie, aziende e istituzioni.
Ma più di tutto, il teatro deve ritrovare un rapporto profondo con il suo pubblico. Parlare ai giovani, coinvolgere fasce sempre più ampie di spettatori, rendere l’esperienza teatrale accessibile, emozionante, viva. Il teatro non è solo spettacolo, ma uno spazio vivo, un luogo di incontro che può avere un impatto concreto sulla comunità. Il welfare culturale è una chiave strategica: il teatro può e deve essere un motore di crescita, partecipazione e stimolo intellettuale.
La sfida è complessa, ma il cambiamento è già in atto. Chi saprà interpretarlo con una visione innovativa, senza paura di sperimentare, potrà trasformare le difficoltà in un nuovo modello di gestione, più solido, più sostenibile, più vicino alle persone.
Fundraising a Novara: quali sono i risultati più significativi a livello economico finanziario in questi sette anni considerando che il Coccia è passato indenne attraverso una pandemia?
Tutte le azioni di fundraising concorrono alla ricerca di fonti di finanziamento in aggiunta ai finanziamenti pubblici; un dato rilevante per “misurare” l’efficienza gestionale di un Teatro che considera oltre al fundraising anche la capacità di produrre economie (sbigliettamento, affitto sale, vendita di servizi) è l’indice di autofinanziamento che nel 2024 per il Teatro Coccia è stato del 47%. Un risultato possibile solo grazie all’applicazione di un modello di gestione basato su tre elementi chiave: fiducia, progettualità e un forte lavoro di squadra.
Il vero motore di questa crescita è stato il rapporto sinergico tra i Soci Fondatori, il Consiglio di Gestione e la Direzione, che ha permesso di costruire una strategia condivisa e coesa per la raccolta fondi. Abbiamo lavorato per consolidare relazioni stabili con il mondo privato, trasformando imprese, fondazioni bancarie e mecenati in partner attivi della vita del Teatro. La loro fiducia è stata conquistata con progetti chiari, trasparenza nella gestione e un forte radicamento nel territorio.
Parallelamente, il Teatro ha saputo ampliare e diversificare le fonti di finanziamento, accedendo con successo a bandi nazionali ed europei e sfruttando strumenti innovativi come l’Art Bonus.
Durante la pandemia, mentre molte realtà teatrali subivano un drastico ridimensionamento, il Coccia ha saputo reagire e reinventarsi. La digitalizzazione, la creazione di nuovi format e il rafforzamento del rapporto con il pubblico hanno permesso di mantenere alto il livello di attività e di consolidare la fiducia dei nostri sostenitori. Questo ha dimostrato che il fundraising non è solo una questione di numeri, ma un atto di appartenenza. Ogni donazione ricevuta è stata il segnale di un legame profondo tra il Teatro e chi lo sostiene, un investimento non solo economico, ma culturale e sociale.
Questa è forse la lezione più grande: quando unTeatro diventa un punto di riferimento per la città, quando è percepito come un bene comune, allora può crescere, rafforzarsi e superare qualsiasi crisi. Oggi il Coccia è un modello di sostenibilità, un esempio di come tradizione e innovazione possano andare di pari passo, con una gestione solida e una visione proiettata al futuro.
Il Teatro Coccia in questi anni ha subito anche importanti interventi strutturali. Vorresti descriverceli?
Negli ultimi anni, il Teatro Coccia ha vissuto una vera trasformazione, non solo artistica ma anche strutturale. Ogni intervento realizzato ha avuto un obiettivo chiaro: migliorare gli spazi, renderli più funzionali e valorizzare il patrimonio dell’edificio, consolidando il ruolo del Coccia come cuore pulsante della cultura a Novara.
Grazie alla vittoria di un bando della Fondazione Cariplo, abbiamo ristrutturato l’intero piano alto del Teatro, trasformandolo in un’area dedicata alla formazione. Oggi ospita le aule studio dell'Accademia dei Mestieri dell’Opera del Teatro Coccia (AMO), un luogo pensato per accogliere giovani talenti e professionisti, favorendo la trasmissione del sapere artigianale e artistico legato alla produzione operistica.
Un altro intervento cruciale realizzato in sinergia con il Comune di Novara è stato il completo rifacimento della platea e del palcoscenico, un restauro complesso che ha migliorato la qualità degli spazi per il pubblico e per gli artisti, aumentando anche il valore patrimoniale dell’immobile della Fondazione Teatro Coccia. A questo si è aggiunto un lavoro fondamentale, che ha garantito la messa in sicurezza degli impianti del Teatro, rendendolo ancora più sicuro e accessibile. È un esempio virtuoso di collaborazione tra pubblico e privato, dove istituzioni, fondazioni e mecenati hanno lavorato fianco a fianco per la crescita del Teatro e della città.
A breve porteremo a termine un progetto che per me ha un valore speciale: “Adotta un Camerino”. Un’idea nata dall’esperienza bolognese, che coinvolge direttamente i mecenati del territorio nella riqualificazione dei camerini del teatro. Ogni benefattore, in collaborazione con un artista, donerà un tocco unico a uno dei camerini, trasformandolo in uno spazio speciale, simbolo di creatività e appartenenza. Non è solo un restyling, ma un modo per rafforzare il legame tra il teatro e la sua comunità, lasciando un segno concreto nel luogo dove gli artisti vivono la magia del palcoscenico.
È sempre più difficile portare il pubblico dei più giovani a Teatro ma il Teatro Coccia sembra resistere bene a questa tendenza che accomuna il mondo del Teatro d’opera. Quali sono le azioni che hai intrapreso per contrastare questa tendenza in questi quasi sette anni di lavoro al Coccia?
Portare i giovani a teatro è una sfida, certo, ma anche una grande responsabilità. Non ho mai creduto che l’opera fosse distante dalle nuove generazioni: sono piuttosto le modalità di racconto e di coinvolgimento a dover cambiare. In questi anni ho lavorato proprio su questo, creando format capaci di accendere la curiosità e trasformare il teatro da semplice luogo da frequentare a esperienza da vivere.
Abbiamo ideato progetti come Facciamone un Dramma!, in cui gli studenti non sono solo spettatori, ma autori e protagonisti di un’opera lirica, oppure Chi ha paura del Melodramma?, che con titoli come Il Giovane Artù e Biancaneve in Tour rende la lirica una scoperta coinvolgente anche per i più piccoli.
Un altro aspetto fondamentale è stato l’investimento nella musica del nostro tempo. Ho commissionato nuove opere che parlano il linguaggio di oggi senza perdere il legame con la tradizione, come nel progetto DNA Italia, che affianca una “farsa” ottocentesca a un nuovo titolo ispirato alla stessa tematica, permettendo di vedere l’opera con occhi diversi.
Ma i giovani vivono anche nel digitale e il teatro non può ignorarlo. Con Sipario Virtuale, abbiamo aperto una porta su nuovi linguaggi: contenuti multimediali, conferenze, interviste e persino un videogioco, Coccia Adventures, che consente di esplorare il Teatro in modo interattivo, trasformandolo in un mondo da scoprire.
E poi c’è il legame con scuole, università e accademie, perché il futuro del Teatro passa anche dalla formazione. Abbiamo lavorato per coinvolgere gli studenti non solo come pubblico, ma come parte attiva del processo creativo, aiutandoli a immaginare un domani nel mondo della musica e dello spettacolo.
Ma c’è un altro aspetto che spesso viene trascurato: la cura della dimensione spirituale. Oggi più che mai, i giovani hanno bisogno di sapere che esiste ancora chi si prende cura di questa parte profonda dell’essere umano, senza connotazioni religiose, ma come spazio di ascolto e riflessione. È con questa idea che ho fortemente voluto istituire la commissione annuale di un pezzo di Musica Sacra per il tradizionale concerto pasquale. Non è solo una scelta artistica, è un segnale: un modo per offrire un momento di raccoglimento attraverso la musica, per fermarsi e riscoprire un senso di connessione più profondo. Forse i giovani non ne parlano apertamente, ma non è detto che non sentano il bisogno di qualcosa che vada oltre il frastuono quotidiano. A volte basta un segno, un esempio, per far nascere un interesse, per far capire che la ricerca del Sacro – in qualunque forma – è ancora possibile.
Il Coccia, in questi anni, ha dimostrato che se il teatro si apre, i giovani rispondono. Basta trovare il linguaggio giusto. E il linguaggio giusto, spesso, è quello che parla alla loro profondità, non solo alla loro curiosità.
Le cinque caratteristiche fondamentali che non dovrebbero mancare ad un Sovrintendente ?
La prima e per me la più importante e imprescindibile è l’amore per il Teatro. La passione non si improvvisa. Senza di essa, nessuna strategia, nessun progetto può davvero fare la differenza. Il Teatro è un organismo vivo, ha bisogno di cura e dedizione, di qualcuno che lo custodisca e lo alimenti con rispetto e visione.
La seconda che si lega indissolubilmente alla prima è la capacità di ascoltare. Un Teatro non esiste senza la sua città, senza il suo pubblico, senza le persone che lo vivono ogni giorno. Ascoltare non è un gesto formale, ma un atto di profonda umiltà: significa comprendere i bisogni del territorio, degli artisti, dei collaboratori e trasformare questo ascolto in azioni concrete. Un Teatro che sa ascoltare è un Teatro che si radica e cresce.
La terza è la visione strategica. Un Sovrintendente non può limitarsi ad amministrare l’oggi: deve immaginare il domani, costruire prospettive, creare basi solide per il futuro. Ma nessuna visione si realizza senza risorse. Ecco perché il fundraising è diventato centrale: oggi più che mai bisogna saper dialogare con il mondo privato, coinvolgere mecenati, trovare strumenti innovativi per garantire la sostenibilità economica senza mai sacrificare la qualità artistica.
La quarta, fondamentale, è la capacità di giudizio critico. Mai innamorarsi delle proprie idee. Il Teatro è un luogo collettivo e chi lo guida deve saper ascoltare il talento altrui, accettare il confronto, cambiare direzione se necessario. La leadership non è imporsi, ma creare un ambiente in cui tutti si sentano parte di un progetto comune.
Ed infine la quinta, il coraggio. Il repertorio storico è un patrimonio prezioso, ma non può diventare una gabbia. Un Teatro che non sperimenta, che non osa, che non dialoga con il presente è un Teatro destinato a spegnersi. Aprire nuove strade, commissionare musica del nostro tempo, cercare nuovi linguaggi: tutto questo è necessario per tenere vivo il fuoco del Teatro.
Amore, ascolto, visione, umiltà e coraggio. Sono queste, per me, le qualità di chi guida un Teatro. Perché un Teatro non si gestisce soltanto. Un Teatro si custodisce, si rinnova, si ama.
Se dovessi tornare a Bologna nella nuova veste di Sovrintendente, dopo quasi sette anni al Coccia, cosa porteresti con te a livello di esperienza?
Bologna è stata una tappa fondamentale del mio percorso, un luogo che mi ha insegnato molto. Se oggi dovessi assumere la guida del TCBO, come del resto di qualsiasi Fondazione Lirico-Sinfonica, porterei con me un bagaglio di esperienza costruito in questi anni al Coccia, dove ho affinato una visione che unisce tradizione, innovazione e radicamento nel territorio.
Prima di tutto, porterei con me la consapevolezza che un Teatro non cresce da solo. La sua forza sta nelle connessioni che riesce a creare con il territorio, con le istituzioni culturali, con il pubblico. A Novara abbiamo costruito un sistema virtuoso che ha trasformato il Coccia in un hub culturale, un luogo in cui formazione, produzione e ricerca si intrecciano, coinvolgendo realtà come il Conservatorio, il Circolo dei Lettori e la Scuola del Teatro Musicale.
Un altro elemento imprescindibile è il coraggio di sperimentare. In questi anni abbiamo dimostrato che l’innovazione può convivere con la tradizione: ho commissionato musica del nostro tempo senza perdere il pubblico, abbiamo parlato ai giovani con nuovi linguaggi, abbiamo portato il Teatro nel digitale con Sipario Virtuale e progetti interattivi. Un Teatro che non si rinnova rischia di perdere il suo slancio vitale.
Infine, porterei con me un’idea di Teatro come casa per tutta la città. Un Teatro non è solo un palcoscenico, è un punto di riferimento per la comunità, un luogo di identità e appartenenza. Il compito di chi lo dirige è far sì che la sua storia continui a scriversi con passione e con uno sguardo sempre più aperto al futuro. E questa è la sfida più bella.
In bocca al lupo per i tuoi impegni professionali
Crepi e un saluto a tutti i lettori di OperaClick.
Danilo Boaretto