Bruno Taddia è un artista noto a tutti gli appassionati d'opera in quanto negli ultimi vent'anni ha calcato pressoché tutti i palcoscenici dei principali teatri internazionali. La carriera del baritono pavese, iniziata nell'ormai lontano 2001, l'ha portato inizialmente a distinguersi come uno dei principali interpreti del repertorio buffo per poi, nel corso degli anni, mostrarsi anche intelligente barocchista oltreché protagonista in svariate opere contemporanee. Va sottolineato che l'evoluzione artistica di Taddia ha visto un ampliamento del repertorio affrontato e non una sostituzione di esso; tanto è vero che i suoi amati Bartolo, Dulcamara e Malatesta (giusto per citare i primi tre ruoli che ci vengono in mente) continuano ad essere felicemente interpretati accanto ai ruoli di opere decisamente più desuete. A tal proposito, il motivo d'interesse di questa chiacchierata è dato soprattutto dal fatto che nei prossimi giorni Taddia sarà impegnato presso il Musik Theatre an der Wien nel Bajazet di Antonio Vivaldi: titolo decisamente poco rappresentato, soprattutto in Italia.
Buongiorno Bruno, siamo felici di ritrovarti a due anni dalla chiacchierata che facemmo in vista del debutto di #2021destinazionetauride, spettacolo di cui eri drammaturgo, regista, cantante e che purtroppo per te, non iniziò nei migliore dei modi per ragioni extra-teatrali: il covid ci mise lo zampino. Che ricordo serbi di quei tristi giorni?
“Infandum, regina, iubes renovare dolorem...” dice il poeta... Mah, serbo un ricordo terribile. Era il 18 ottobre 2020... il pomeriggio prima della prima. Sembrava una febbricola…Ho tenuto un diario di quei giorni, delle esperienze vissute: l'ospedalizzazione, fatta di dolore per tutti, l'isolamento totale e le cronache su chi non ce la faceva. Poi la riabilitazione, un ritorno alla vita che mi ha fatto conoscere persone che sembravano uscite dalla penna di un grande scrittore... una staffetta partigiana, un sindacalista presente ai fatti di Piazza della Loggia a Brescia, un carabiniere che indagò sul caso dell'Achille Lauro... mi ero fatto dare dei fogli, su cui annotavo i loro racconti. Quello che mi sconvolgeva era che quello che per me era un pezzo della storia d'Italia, per loro era vita vissuta. Ed era la loro vita vissuta! Spero un giorno di avere tempo per scrivere qualcosa di serio su questi giorni e questi incontri. Il materiale ora giace in mezzo alle mie scartoffie. Siccome siamo però sul cammino del ricordo, voglio sottolineare l'eroismo e lo spirito di sacrificio del personale medico, infermieristico, degli ausiliari, persone straordinarie che portano avanti il Servizio Sanitario Nazionale. Dobbiamo essere orgogliosi di loro e ricordare il loro spirito di servizio. Ad essi va tutta la mia gratitudine. Quindi ti ringrazio di questa domanda, perché di quei giorni ci stiamo dimenticando e vale la pena ricordare che abbiamo passato un periodo in cui eravamo isolati e la sola musica che più ascoltavamo era il rumore delle sirene in città deserte.
Ma ora parliamo di cose belle: tra pochi giorni sarai al Musik Theater an der Wien con un titolo tanto desueto quanto interessante: Bajazet di Antonio Vivaldi. Ci dici qualcosa su quest'opera conosciuta anche con il titolo di Tamerlano e quella che è la tua esperienza con il ruolo di Bajazet?
Si tratta della prosecuzione di un progetto dell'Accademia Bizantina sotto la straordinaria direzione di Ottavio Dantone. Abbiamo inciso questo “pasticcio” per la “Vivaldi Edition” di Naïve nel gennaio del 2020, dopo un bellissimo periodo di lavoro sulle variazioni e soprattutto su come ben realizzare i recitativi. Lavorare con Ottavio Dantone è per me un gran privilegio e andrebbe fatto per decreto ministeriale per tutti i cantanti: è un musicista in cui rigore, fantasia e sapienza esecutiva si incontrano e dialogano. I risultati, pertanto, sono solidi dal punto di vista filologico, ma, al contempo, anche fantasiosi, leggeri ed entusiasmanti per chi ascolta. È una esperienza che mi ha arricchito molto come esecutore.
Dopo le recite viennesi dell'opera di Vivaldi tornerai al tuo amato Bartolo in una produzione de Il barbiere di Siviglia che andrà in scena presso l'Opéra national de Lorraine a Nancy. Quali sono le difficoltà maggiori nel passare da Vivaldi a Rossini?
Affrontare un personaggio è sempre un interessantissimo viaggio e come gli attori dobbiamo calarci in panni non nostri. A volte questa operazione viene facile altre volte è più difficile. Bajazet è un padre autoritario e forte, che, sconfitto, non riesce ad elaborare la vittoria di un nuovo soggetto politico, incarnato dalla figura di Tamerlano. Trovo quindi che abbia, forse, pur con le debite differenze, un tratto comune di fondo con il Bartolo rossiniano, un uomo compresso nelle sue contraddizioni e incapace di adeguarsi a mondi divergenti, quello dei giovani e quello della propria esperienza di vita. Ritorno al Dottore rossiniano dopo molti anni. L'ho debuttato con Dario Fo, nella mia seconda esperienza lavorativa, dopo averlo studiato con il mio Maestro Paolo Montarsolo. Le prove durarono un mese e mezzo e le recite per me furono diciassette. Imparai tantissimo grazie a Dario e al suo staff (mi piace ricordare quell'incredibile uomo di teatro che fu il suo assistente storico, Arturo Corso). Mi insegnarono tutti i segreti su come si sta in scena. Successivamente lo interpretai all'Aslico nel 2003 con la regia di Crivelli e la frizzante direzione di Maurizio Barbacini, al quale pure sono grato... fu una lettura che ebbe una certa eco: Lo cantai poi due volte all'Opera di Roma con il compianto Maestro Gelmetti. Con lui feci, prima dell'arrivo della compagnia, due settimane di prove da solo, io, lui e i suoi allievi, presso l'Opera di Roma, poiché, in ragione della mia giovane età, desiderava forgiare questo Bartolo. Furono momenti formativi straordinari che ancora porto nel mio bagaglio e il mio modo di cantare Rossini è tuttora influenzato dalla lezione gelmettiana avuta in quei giorni. Grazie a questo “parterre de roi”, Montarsolo; Fo, Crivelli, Barbacini e Gelmetti, è stato un personaggio su cui ho potuto formare la mia capacità di lavoro a teatro sotto vari aspetti. In confidenza, per contro, ti posso dire che le mie simpatie si rivolgono ad altri personaggi ma sono molto eccitato all’idea di riprendere il discorso con lui dopo ormai quattordici anni per vedere come è lo stato dell'arte e sviluppare ulteriormente il lavoro iniziato tanti anni fa, seguito da così tante autorevoli guide. Per quel che riguarda il passaggio da Vivaldi, per mia fortuna non mi trovo scomodo nel passare da un linguaggio all'altro, perché lo faccio sempre sotto lo scudo del personaggio, dell'analisi dello spartito e della prassi esecutiva. Sono le costellazioni che ti consentono una navigazione tranquilla anche in uno spazio di 80 anni, che in termini musicali sono certo tantissimi.
Il tuo 2023 inizierà ancora con il ruolo di Bajazet che porterai in scena nel nuovo allestimento coprodotto da Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatro Comunale di Modena. Cosa ti aspetti da questa produzione?
Beh... dopo una registrazione e due versioni concertanti, finalmente daremo corpo a questo padre! E mi aspetto un personaggio fremente e pieno di passione! Penso che mi divertirò molto!
Abbandonerai il costume del Sultano turco per debuttare in un nuovo ruolo, per la precisione il Duca di Nottingham del Roberto Devereux, in un progettone ideato e prodotto dal Théâtre de la Monnaie di Bruxelles ed intitolato "Bastarda". Ci spiegheresti di cosa si tratta?
Uh... sarà un grande evento veramente da non perdere! È un progetto nato dalla immaginifica iniziativa del direttore artistico del Theatre de la Monnaie, Peter De Calowe, che ha pensato di costruire un biopic su Elisabetta I utilizzando le quattro opere che Donizetti ha scritto su di lei. Sarà quindi una sorta di breve docu-serie Netflix, fatta ad opera lirica, sette ore di musica suddivise su due serate, in cui si parla dell'ascesa e del declino di questa sovrana, in cui vari pezzi di Maria Stuarda, Anna Bolena, Roberto Devereux e Elisabetta al castello di Kenilworth saranno mescolati in una nuova drammaturgia. Io sarò Nottingham. La regia sarà di Olivier Fredj, la drammaturgia di Cecilia Ligorio. Il direttore sarà Francesco Lanzillotta, che si è occupato anche di scrivere i necessari collegamenti musicali tra un pezzo e l'altro, seguendo lo stile dell'epoca. Trovo sia un progetto veramente straordinario perché riesce a collegare tradizione e innovazione nella definizione di uno spettacolo operistico nuovo. In fondo si tratta di un “pastiche”, come il Bajazet vivaldiano, di opere di belcanto, in un'ottica, però, da docu-fiction contemporanea. Sono curiosissimo di vedere il prodotto finito... non sto nella pelle!
Il Duca di Nottingham negli anni '60 del secolo scorso era appannaggio di Cappuccilli, Glossop e successivamente di Pons, Bruson, Coni ed in tempi più recenti Frontali. Sappiamo bene che una volta anche il belcanto veniva affrontato diversamente da oggi; diciamo con minore attenzione a quanto richiesto dall'autore. Cosa ne pensi a tal proposito e che tipo di vocalità ritieni sia necessaria per rendere credibile Nottingham?
Dopo la lista di baritoni che hai fatto, vado a Bruxelles molto più tranquillo e senza alcuna pressione! (ride)... che dire? Cercherò umilmente di fare del mio meglio. Ho conosciuto Donizetti e la sua opera nei miei anni di apprendistato in conservatorio con il mio insegnante di composizione Bruno Zanolini, grande esperto di questo autore. Grazie a lui ho compreso quanto questo autore fosse travisato e considerato un compositore non particolarmente raffinato. Nulla di più falso di questa falsa credenza... per bene interpretare questo autore bisogna conoscere l'armonia (perché lavora tantissimo su di essa) e comprendere bene la versificazione: è un autore tosto, la cui musica nasce grande per essere grande e non neutra per essere portata a grandezza da un esecutore. La moderna filologia lo sta mettendo finalmente sotto la lente d'ingrandimento, per cui oggi un cantante donizettiano deve anche essere molto informato sugli ultimi studi che si stanno conducendo sul suo teatro e la sua musica.
Siccome si suol dire l'appetito vien mangiando, non sarà che dopo Nottingham ti verrà voglia di addentare qualche altro nuovo ruolo, magari verdiano?
Verdi è sempre visto da noi cantanti come l'agognato approdo, un po' come Brahms è per gli strumentisti. Io ho già debuttato in Falstaff e spero e desidero continuare a poter esplorare e sviluppare questo personaggio. Credo per ora di potermi addentrare anche nell'approfondimento di Cavalier Belfiore, Melitone e poco più. Vedremo più avanti.
Del resto con gli anni la voce, quando supportata da una buona tecnica, matura, si sviluppa e acquisisce colori più intensi. Ritieni che anche la tua vocalità sia cambiata rispetto ai tuoi primi anni di professione?
Intanto ti ringrazio di cuore di questa domanda perché presuppone nelle premesse cose lusinghiere per me. La voce cambia sia perché il corpo cambia sia perché ottimizziamo il sistema tecnico di riferimento che abbiamo adottato rispetto alle diverse sfide interpretative che si presentano via via. Per questo io ritengo per me necessario, oltre che divertente, avere un eclettismo nel repertorio. Sempre tenendo presente lo strumento che una persona ha in gola, avere diverse esperienze stilistiche e teatrali aiuta ad approfondire e scoprire possibilità tecniche che alla partenza una persona pensava di non possedere. Ripeto: compatibilmente con lo strumento che la Natura ci ha dato!
Nel corso degli anni hai cantato davvero tanto in Francia e Germania. Esiste qualche ragione particolare che ha contribuito a sviluppare maggiormente la tua carriera in questi paesi europei?
Devo molto a questi paesi: quasi tutte le grandi conquiste interpretative e i grandi debutti sono avvenuti in Germania o nei teatri di paesi francofoni. Il mio debutto in Figaro del Barbiere, fondamentale per la mia vocalità e per il mio repertorio, fu al Theatre du Chatelet di Parigi nel 2011, Oreste nell'Iphigenie en Tauride di Gluck al Grand Theatre de Geneve, l'Opera de Montpellier mi ha regalato il debutto in Don Pasquale nel 2019 e in una delle vette di tutto il repertorio baritonale, Falstaff nel 2020 e poi 2021, dandomi inoltre fiducia anche come protagonista di Schicchi in una sua importante produzione del 2017. Sempre a Geneve ho inaugurato due volte la stagione come Conte d'Almaviva in Nozze nel 2013 e Figaro di Barbiere nel 2017. Devo alla Germania il debutto in Don Giovanni e nel Conte delle Nozze a Duesseldorf, Mamma Agata alla Semper Oper di Dresda, Gamberotto nell'Equivoco rossiniano alla Deutsche Oper di Berlino. Ora arriva questo importante debutto a Bruxelles. Il perché, come dice Mimì, non so... potrei cavarmela dicendo “Perché sono stato invitato”, ma sarebbe solo una battuta. I nostri impegni sono il frutto di alcune circostanze favorevoli che si vengono ad allineare spesso in maniera casuale e non controllabile, oltre che, ovviamente del lavoro di agenti che concorrono a creare queste circostanze. Mi ritengo fortunato perché i miei agenti, Stagedoor di Bologna, sono persone serie e preparate, che si dedicano con entusiasmo a questa attività, per cui mi sento ben seguito e sono loro molto grato.
Cosa desidereresti per il tuo futuro artistico?
“Ars longa, vita brevis”: avere il più possibile opportunità di scoperta di nuove partiture e personaggi. E approfondire sempre più Falstaff e Don Giovanni (personaggio a cui ho dedicato tre anni di studio per la mia tesi di Filosofia estetica). E, se posso aggiungere, fare tutto questo in un mondo finalmente riappacificato. Poi ci sono dei sogni più o meno realizzabili, per esempio Beckmesser, Pelleas, Wozzeck, Oneghin…Chissà mai se qualcuno in futuro mi darà fiducia su questi ruoli…(ride).
Oltre a ciò di cui abbiamo parlato hai altri impegni futuri che puoi già svelarci?
Per ora posso dire che rivestirò di nuovo i panni di Don Giovanni presso Opera Colorado a Denver e Marcello al teatro Lirico di Cagliari ed è già fissato il mio debutto in Sharpless. Devo anche incidere una bellissima opera di Haydn, La fedeltà premiata, in cui farò il simpatico Conte Perrucchetto.
Un domani pensi di trasferire la tua esperienza ai giovani? L'insegnamento è una cosa che ti attira?
Io lo dico sempre, noi siamo i nostri insegnanti. Sia perché siamo noi a stimolare il nostro “maestro interno” sia perché i nostri insegnanti hanno costruito questo “maestro interno”, per cui i loro insegnamenti agiscono sempre in noi, diventando il tessuto connettivo di ciò che sarà il nostro operato... io ho avuto la fortuna di avere grandissimi insegnanti: Paolo Montarsolo che mi ha insegnato tutto sul canto, il mio insegnate di violino Giulio Franzetti, già primo violino dell’orchestra della Scala, incredibile didatta, Bruno Zanolini, straordinario insegnante di composizione e il mio grande insegnante di filosofia Guido Panseri, responsabile della mia vocazione e formazione filosofica. Ma voglio ricordare anche Guido Guida, grande direttore, per Lettura della partitura, Donella Terenzio per il violino barocco e per Storia della musica per compositori Giovanni Acciai. Voglio anche ricordare l’insegnate che mi ha insegnato a leggere la musica, il Maestro Fermo Alini, un jazzista che ha insegnato musica a tutta Pavia, mia città natale… Sono stato fortunato e quando mi volto con l'immaginazione a vedere chi mi ha formato, mi sento piccolissimo e incapace di poter portare avanti tanta sapienza. Da qualcuno di loro ritorno con la richiesta di riprendere gli studi... ricevendo sempre un sorriso di diniego. Non so ancora cosa possa voler dire fare l'insegnante, dato che, probabilmente, il mio “maestro interno” si sente ancora studente. L'unica esperienza stabile che ho con l'insegnamento è un piccolo corso, “Operando”, che ho fondato con il M° Francesco Lanzillotta nel 2016. E' un corso in cui, seguendo una metodologia che io e Francesco ci siamo inventati, cantanti e direttori d'orchestra lavorano e studiano insieme. In 7 edizioni abbiamo avuto qualche soddisfazione: sono passati da noi direttori come Enrico Lombardi (impegnato ora nella nuova produzione di Traviata nel Circuito Lirico Lombardo), Sieva Borzak, Carlo Emilio Tortarolo, Luca Quintavalle, Emanuele Bizzarri e cantanti come Maritina Tampakopoulos, Francesca Sorteni, Arianna Vendittelli per il suo debutto in Ermione, Loriana Castellano per il suo debutto al festival donizettiano di Bergamo, Lavinia Bini per lo studio di Micaela, Fiammetta Tofoni. E' un piccolo corso autogestito, dove cerchiamo di creare un metodo e una estetica che possa creare interpreti consapevoli. Vediamo come si svilupperà.
Una persona tutt'altro che banale quale sei tu, cosa fa nel tempo libero? Hai anche tu qualche debolezza?
Debolezza? Figurati... sono un nevroticone! Non c'è porta o sportellone che non sia controllato da me almeno due o tre volte consecutive. Specialmente quando devo partire, ho bisogno di controllare ancora più volte! Nel tempo libero vado in palestra, leggo di filosofia, mia grande passione, o letteratura varia. Amo moltissimo Canetti, Schnitzler... Sono molto appassionato di cinema da sempre, ci vado spesso e anche a teatro. E poi sto un po’ in famiglia e frequento gli amici di sempre. Nothing fancy...
Grazie Bruno per averci dato modo di fare questa bella conversazione e in bocca al lupo per i tuoi prossimi impegni.
Grazie a voi e un saluto a tutti gli amici di OperaClick
Danilo Boaretto