Anna de’ Cavalieri mi accoglie in un pomeriggio nuvoloso di gennaio nel suo bell’appartamento di Lugano a pochi passi dal lago.
Buongiorno Signora, La ringrazio per aver accettato quest’incontro, anche da parte del sito OperaClick che accoglierà quest’intervista. OperaClick si occupa non soltanto di recensire gli spettacoli contemporanei ma ama ricordare anche i cantanti del passato.
Vogliamo cominciare con gli inizi della Sua carriera?
Mi chiamo Anne McNight e sono nata nella città di Aurora (Illinois). La mia prima maestra di canto fu la signora Gladys Gilderoy Scott, che era stata il principale mezzosoprano della compagnia inglese «Moody-Manners Opera Company». Dopo due anni di studi all’Università nell’Illinois, mi sono trasferita a New York per studiare musica alla Juilliard School. Ero molto giovane, avevo appena diciannove anni, ma mi hanno accettata perché hanno intuito che c’erano delle buone potenzialità nella mia voce. Ho ricevuto una borsa di studio che mi permetteva di studiare per cinque anni: tutto pagato!
È stato in quel periodo che ha avuto, appena ventunenne, la scrittura per la Bohème con Toscanini?
Sì. Durante gli studi alla Juilliard, il maestro Willfred Pelletier, che dirigeva le opere nella scuola, mi ha detto che Toscanini cercava una voce nuova per la parte di Musetta nella Bohème. L’avevano convinto a dirigere l’opera alla NBC. Allora Pelletier mi ha detto “McKnight” (mi chiamava sempre per cognome) “domani vai da Toscanini! La sai l’aria di Musetta?” Io gli dissi con fare altezzoso “No, non la so, io non canto Musetta, io canto Aida e Tosca!” E lui “McKnight, domani tu vai da Toscanini e gli canti l’aria, d’accordo?” Così andai da Toscanini.
Era la prima volta che vedeva il Maestro?
Sì. Quando entrai nello studio dell’audizione, vidi una serie di sedie vuote e riconobbi un celebre soprano, Virginia McWatters, che in quei tempi cantava Zerbinetta al City Center, una voce bellissima. Io ero l’ultima della mattina. Mi sedetti vicino a lei e la signora mi chiese se potevamo scambiare il nostro posto nell’audizione. Era infatti convinta che facendosi sentire per ultima avrebbe avuto la parte. Io le dissi di sì, visto che non avevo nulla da perdere. Ormai avevo perso tutte le mie lezioni mattutine alla Juilliard e persino il pranzo, che mi dispiaceva più di tutto...! (ride) Si apre la porta del camerino e il figlio di Toscanini, Walter, mi chiama...
Eravate molte a quell’audizione?
Almeno trenta! Sembrava la storia di Barbablù! Una volta entrata rimasi stupefatta. Toscanini non aveva un pianista! Accompagnava lui stesso i cantanti! Nella stanza, il celebre studio 8H (conosciuto in tutt’America come “lo studio di Toscanini”) alle mie spalle, c’era uno specchio in cui vedevo riflessa l’immagine di Walter, che parlava col vicepresidente della NBC, Samuel Chotzinoff. Quest’ultimo stava accendendo una sigaretta e appena ho attaccato “Quando me’n vo”, gli è caduta la sigaretta di bocca! Allora mi sono detta “Vai, Anne, è fatta”.
E Toscanini?
Alla fine mi ha detto “Il suo italiano è molto strano” (in italiano). Poi è venuto Walter e mi ha chiesto “Conosce la parte di Musetta?” E io:“Nooo” (con accento americano). “Allora la impari in fretta”. Io in genere imparavo le parti in un mese. Solo per “Tristano e Isotta” ho avuto serie difficoltà, ma torniamo a Toscanini... Siamo andati allora nello studio dove si sarebbe svolta la registrazione, per provare la voce. All’uscita abbiamo incontrato la signora McWatters.Walter Toscanini le ha detto “Signora può andare, abbiamo trovato la nostra Musetta”. Morale della storia: ragazzi, non siate superstiziosi! (ride)
Come preparò successivamente il suo ruolo?
Tre volte alla settimana (lunedì, mercoledì e venerdì alle nove di mattina) andavo da Toscanini, gli altri giorni a lezione di pronunzia italiana. Il Maestro mi insegnava la parte, sempre accompagnandomi al pionoforte. Ma non ci capivamo! Lui non parlava quasi una parola d’inglese, e io non parlavo italiano! Forse sapevo appena dire “spaghetti” o cose simili. Meno male che c’era Walter a fare da interprete. Ricordo che Toscanini voleva che facessi la risata di Musetta cantando esattamente tutte le note e a tempo.
Come furono i rapporti con gli altri cantanti di quella Bohème?
Erano molto gentili con me, alcuni mi avevano già sentito alla Juilliard nelle opere che avevo cantato.
C’era un stagione regolare alla Julliard School?
Due volte l’anno presentavamo un’opera in traduzione inglese. Il mio debutto è stato con “Il matrimonio segreto”, poi ho anche cantato “Così fan tutte” (Fiordiligi), “Der Freischütz” e “La Rondine”, in cui facevo Lisette. Durante le prove di “Così fan tutte” ho conosciuto mio marito, Fred Rogosin, che cantava da baritono.
Nella Bohème, insieme a Lei, cantava nel ruolo di Alcindoro, il celebre basso buffo Salvatore Baccaloni, che ricordo ne ha?
Era un artista con la “a” maiuscola. Qualunque frase, anche breve, era cesellata con la massima perizia. E poi un vero gentiluomo, fine e signorile.
Tornando a Toscanini, il maestro aveva fama di essere particolarmente severo con i cantanti e alcune registrazioni delle prove lo confermano. Quali sono i suoi ricordi?
Lui sapeva che non eravamo robot, lasciava perdere uno sbaglio, ma solo una volta. Io ho assistito a una scenata a Francesco Valentino che si era impuntato diverse volte su un passaggio. Fu come un crescendo rossiniano. Toscanini cominciò piano, piano, poi sbottò. Ha strappato le pagine della partitura, ha gettato in terra l’orologio e anche gli occhiali (che gli servivano poco perché tanto non ci vedeva lo stesso) e come urlava! Io non l’avevo mai visto così e sono rimasta incantata. Licia Albanese cercava di portarmi via! Ma il Maestro fu sempre gentile con me. A una prova del terzo atto, alla fine dopo la frase di Musetta (“Pittore da bottega” ecc.) io feci un “rrrrrospo” con una “r” particolarmente arrotata. Lui fermò l’orchestra e disse “A me?”. E tutti a ridere. Ma era molto severo. Ricordo nell’ultimo atto, durante la preghiera di Musetta, non era mai contento. Voleva che dessi sempre più, di più, io davo il massimo per quanto mi fosse possibile e mi misi a piangere. Lui mi consolava e mi diceva “Non piangere, che ti rovini gli occhi”. Mi dette anche il suo fazzoletto che poi gli restituii (ho fatto male?). Forse Lei non sa che per La Bohème, al terzo atto, quando Musetta canta dentro la locanda, Toscanini volle che i bicchieri fossero intonati e mandò qualcuo della NBC a cercare per tutta New York dei bicchieri che suonassero in si bemolle o in mi bemolle! Mandò a cercarli il figlio Walter e Chotzinoff, armati di diapason e tanta pazienza, in giro per i negozi...
E la registrazione come andò?
C’era un solo microfono in sala, posto sopra la testa del Maestro: per questo lo si sente cantare nella registrazione! Noi dovevamo cantare verso l’ alto senza girare mai la testa. Siccome la mia voce era abbastanza potente io dovevo stare un passo dietro gli altri.
I primi due atti andarono benissimo. Il terzo e il quarto anche, ma alla fine dell’opera, dopo l’ultima frase di Rodolfo (“Che vuol dire quell’andare e venire...?”) Toscanini era talmente commosso (piangeva proprio) che ha smesso di dirigere. Il primo violino ha cercato di attaccare ma è successo un pandemonio e ognuno andava per conto suo. Hanno capito che dovevano rifarlo e l’anno successivo hanno inciso solo le ultime dieci misure. Toscanini piangeva a dirotto! E chissà quante volte aveva diretto “La Bohème”! Non dimenticherò mai quest’episodio...
Quando era giovane in America lei andava a sentire i grandi cantanti al Metropolitan?
Sì spesso. Andavo con i biglietti gratis che ci davano alla Juilliard per il Metropolitan. Ho assistito a tanti grandi debutti! Poi ascoltavo le dirette via radio del sabato pomeriggio.
Come è continuata la sua carriera dopo quella “Bohème”?
Dopo quell’esperienza molti miei amici mi telefonavano e mi facevano degli scherzi fingendosi Toscanini. Tanto che un giorno Walter Toscanini chiamò per davvero e io, pensando fosse l’ennesimo scherzo, gli riattaccai il telefono in faccia! Per fortuna richiamò! Mi disse che il Maestro avrebbe desiderato la mia presenza per la registrazione della Nona sinfonia di Beethoven, che poi abbiamo eseguito poco dopo. Una volta finita la Juilliard School, fu Toscanini a consigliarmi di andare a perfezionarmi in Italia con uno dei suoi pochi maestri collaboratori. Credo ne avesse cinque (io ne ho conosciuti tre: Pais, Colombini, Votto). Andai dunque da Giuseppe Pais, che ormai non dirigeva più (Votto era troppo impegnato come direttore). Nell’estate del 1948 mi trasferii a Como e ogni giorno andavo in autobus per studiare con Pais che stava in villeggiatura lì vicino, a San Fermo. Era molto esigente e si accorgeva del minimo errore. Anche mio marito studiava con lui: non so quante volte gli ho sentito ripetere la prima frase di Germont (“Madamigella Valéry”) non andava mai bene. Altro che Toscanini!
In quei primi anni italiani ebbe modo di rivedere Toscanini?
Per l’appunto, a Como, un giorno una Rolls Royce mi si affianca: era Walter Toscanini. Ora le racconterò una cosa che nessuno sa. Walter mi disse che Toscanini cercava un soprano per cantare la parte di Lady Macbeth a Busseto. Io l’avevo studiata e mi sentivo a mio agio in quel ruolo. Andai da lui a Milano, in via Durini, per farmi sentire. Mi parlò delle date a Busseto, ma io purtroppo ero impegnata a Bergamo per alcune recite delle “Nozze di Figaro” con Gavazzeni. Ero giovane e non me la sentivo di pagare una penale e di dire di no al Maestro Gavazzeni. Toscanini si arrabbiò molto con me e, come Lei sa, non ha più voluto dirigere un’opera in teatro. Oggi rimpiango di non aver accettato!
Lady Macbeth è una parte che ha affrontato anche in teatro?
No mai, purtroppo, ma ho cantato spesso la scena del sonnambulismo, per esempio in occasione dei concerti Martini e Rossi.
Ha cantato spesso nei concerti Martini e Rossi?
Sette volte. E ogni concerto era composto da quattro arie.
Ricorda qualcuno dei cantanti che divisero con lei quelle serate?
Mi ricordo del basso Raffaele Arié. Era ebreo come mio marito e litigavano sempre su questioni del tipo “quanto tempo deve stare un’anguria in frigorifero prima di essere mangiata”... si divertivano così! Gli altri concerti li ho condivisi con Italo Tajo, Rolando Panerai, Gianni Raimondi e uno con Lauri Volpi.
Com’è continuata la sua carriera in Italia?
In Italia nel dopoguerra c’erano diversi americani, venuti come me a studiare e a farsi conoscere. Molti giovani cantanti italiani non avevano potuto studiare nei conservatori a causa della guerra. I teatri erano stati gravemente danneggiati e dunque chiusi. L’opera si faceva soprattutto d’estate, spesso nelle piazze. Ricordo che a Lugo di Romagna o a Pistoia (non ricordo più) il mio camerino era una boutique di biancheria femminile, il tenore si vestiva dal barbiere e il baritono nel negozio del macellaio...
Ricorda il Suo debutto italiano?
Sì certo, fu per un’Aida, a Pesaro nel 1949. Mi pagavano 25.000 per una recita. Era già molto! Ovviamente non c’erano praticamente prove e spesso si conoscevano i colleghi sul palcoscenico.
Finita la prima recita, che andò benissimo, venne l’impresario e mi disse “Brava! È libera domani sera per un’altra recita?”. Allora si faceva così. Io speravo in altre 25.000 lire! Invece me ne dettero solo 5000 (che era quello che pagavo in albergo per una camere doppia e pensione completa): dunque due Aide per 30.000 lire, tutto compreso! Alla prima debuttava con me Aldo Protti come Amonasro, in forma splendida. Arrivati al terzo atto, quando lui ha cantato “Dei faraoni tu sei la schiava!” il pubblico voleva il bis in tutti i modi e non permetteva che si proseguisse la recita. Allora mi sono dovuta rialzare e ho dovuto rifare quella frase e lui mi ha buttato un’altra volta per terra...ah ah!
Quali sono le opere che ha cantato nei primi anni di carriera?
Dopo “Aida”, ho cantato spesso la“Gioconda”. A Parma ho ricevuto anche una specie di “Oscar” per l’interpretazione di quest’opera.
Di quella Gioconda c’è rimasto un live da Napoli con la Barbieri e Di Stefano?
Sì l’ho sentito, ma purtroppo il suono non è buono. Ho un bel ricordo della Barbieri, con lei ci si divertiva sempre. Grande voce e grande donna!
Come preparava i suoi ruoli?
Il Maestro Pais mi aveva insegnato quattro o cinque opere che tenevo pronte per le audizioni (per es. Aida, Chénier, Gioconda, Tosca, Trovatore). Imparavo i ruoli piuttosto in fretta, in un mese circa.
Lei ha cantato anche Loreley, di cui ci è rimasto un documento sonoro, al fianco di Rina Gigli...
Sì, è un ruolo che ho cantato spesso nei primi anni di carriera. Posso dire che in quegli anni Loreley in Italia era Anna de’ Cavalieri. L’ho cantata a Lucca e anche alle terme di Caracalla, con Bergonzi, e persino alla Rai.
Quando ha deciso di italianizzare il Suo nome?
Agli inizi della mia carriera in Italia. McKnight era troppo difficile per l’Italia del 1948. Questo spiega perché figuro come McKnight con Toscanini e De’ Cavalieri in Italia. Quando sono tornata a New York al City Center per alcune recite di «Tosca», «Aida», «Don Giovanni» (Donna Elvira) e «Cavalleria Rusticana» ho ripreso il mio nome originario.
Perché?
Ero convinta che la mia carriera avrebbe avuto un séguito negli Stati Uniti. Primo sbaglio fra tanti...
Vogliamo parlare un po’ del Suo repertorio?
Considerata la relativa brevità della mia carriera (circa vent’anni, perché ho debuttato nel 1946 ed essendomi ritirata nel 1967) ho cantato diverse opere, almeno una cinquantina.
Del grande repertorio lei ha privilegiato senz’altro Puccini.
Il ruolo che ho cantato più spesso è stato Tosca. Oltre alla Rondine e Gianni Schicchi (affrontate in America) in Italia ho cantato Manon Lescaut (a Sanremo) e Turandot. Ma il ruolo che avrei voluto tanto cantare è Minnie nella Fanciulla del West. Ho persino fatto fare i costumi ma non li ho mai usati perché per le poche volte in cui mi era stato offerto il ruolo o ero già impegnata o ero in stato interessante!
All’epoca un cantante aveva i propri costumi?
Specialmente se si era fuori misura come me! (ride) Si facevano i costumi delle opere che si eseguivano più spesso. Una volta, nel 1961, ero a Rio de Janeiro per una “Turandot” e ho chiesto quali altri opere si facevano nella stagione. Nei giorni successivi a Rio c’era “Tosca” con la Mancini e Tagliavini. Il soprano si ammalò e mi chiesero di sostituirla per “Tosca”. Ovviamente non avevo i costumi, perché mi ero portata solo quelli di “Turandot”. Dissi di sì, ma dovetti farla con una parrucca bionda e abiti normali! Comunque i critici dissero che era stata la più bella Tosca che da anni si sentiva in quel teatro, con o senza costumi. Olé! (ride)
Ha affrontato Turandot già dai primi anni di carriera?
No, non subito. Ho iniziato come lirico spinto, ma spesso cantavo anche il repertorio drammatico. In concerto ho anche cantato brani dalla Walkyria e persino Isotta (in italiano). Turandot è un ruolo breve, ma molto difficile e pericoloso perché batte continuamente sul registro acuto.
Nel suo repertorio troviamo anche sorprendentemente alcuni ruoli del belcanto, come Imogene nel Pirata alla Rai nel 58 (recentemente ristampato in cd) e Norma.
“Norma” l’ho affrontata per la prima volta nel 1963 alla Pergola di Firenze con Anna Maria Rota (Adalgisa) e Gastone Limarilli (Pollione), sotto la direzione di Wolf Ferrari. Poi l’ho ripresa anche in Francia. È un ruolo molto difficile ma affascinante. In concerto ho cantato anche alcuni ruoli del Settecento: per esempio Alceste e Armida di Gluck, ma non andavano troppo bene per la mia voce. Alceste, infatti, è quasi sempre eseguita da un mezzosoprano, perché la tessitura è troppo bassa per un soprano. Ma per la gioia di eseguire una musica così nobile l’ho cantata col massimo rispetto. “Armide” l’ho eseguita in francese alla Rai di Torino sotto la direzione del grande Mario Rossi nel 1958.
Lei ha cantato molte opere del Novecento, tra cui Cyrano de Bergerac e La Leggenda di Sakuntala, di Franco Alfano. Conobbe personalmente il compositore?
Sì ho conosciuto personalmente Alfano. Venne a trovarmi dopo il primo concerto Martini e Rossi, a San Remo. Voleva che cantassi la parte di Roxane alla Scala nel 54 (che poi ho cantato). Io gli dissi che non credevo che mi avrebbero preso ma lui insistette. Andai da lui per una settimana a Sanremo per studiare il ruolo. Era un uomo imponente, gioviale e simpatico. Mi ricordo che durante una prova al piano dell’inizio del terzo atto c’erano degli accordi piuttosto difficili, mi guardò e mi disse “Chi ha scritto questa roba? È troppo difficile!”. Mi parlò anche di Turandot ed era stupito che io non gli avessi chiesto nulla al riguardo. Mi disse che lui non aveva aggiunto poi molto a quanto Puccini aveva lasciato allo stadio di abbozzo. Ma per me non è vero: quelle acciaccature alla fine dell’opera sono la firma di Alfano!
Tornando al Cyrano della Scala il role-titre era affidato a Ramon Vinay, altro cantante toscaniniano. Lo ricorda?
Sì, era un bell’uomo, alto e forte! Peccato gli avessero messo quel naso finto! Che musicalità eccezionale, che attore superbo! Ricordo che beveva contemporaneamente due bottiglie di Coca-Cola prima di cantare. Ognuno ha i suoi metodi...
Poco fa abbiamo ascoltato insieme un’interpretazione notevolissima di “Du bist der Lenz” dalla Walkiria (concerto Martini e Rossi del 13 gennaio 1958) che lei canta in tedesco. L’idea di cantare Wagner in tedesco, se pur in concerto, era abbastanza sorprendente per quegli anni.
Effettivamente ho cantato anche Isotta, ma in italiano, a Catania. Però in concerto ho cantato sempre in tedesco, sia «Du bist der Lenz», sia la scena finale del «Crepuscolo degli dei». Non era difficile. Alla Juilliard School avevo imparato a cantare sia in tedesco sia in francese. Alla fine della carriera ho avuto molte proposte per cantare il repertorio wagneriano in Germania, ma mio marito era ebreo e la memoria della guerra era ancora viva in Europa. Così non ho accettato. Forse è stato uno sbaglio perché mi sentivo a mio agio nelle opere di Wagner, sia dal punto di vista vocale che scenico.
Lei ha affrontato anche due ruoli straussiani, Ariadne (alla Rai con la direzione di Peter Maag) e la Marescialla. Come venne a questi ruoli?
Al New York City Opera ho cantato per la prima volta nel 1952 (Tosca), ma non era andata bene. Il regista aveva idee strane e non m’intesi con lui. Mi stroncarono. Poi feci “Cavaliere della Rosa” in tedesco e fu un trionfo. A New York feci anche un’audizione con Bing cantandogli alle dieci di mattina “Casta diva” e l’aria del Nabucco. Prima che cantassi al Met però Bing si ritirò per ragioni di salute e fu sostituito da un nuovo general manager. Addio sogni americani!
Veniamo ai colleghi con i quali lei ha lavorato. Sfogliando questo prezioso libro che raccoglie gli spettacoli cui Lei ha preso parte nella sua carriera, l’occhio cade, tra i tanti, su questo Mefistofele a Verona nel1954 in cui lei cantava Elena e Maria Callas Margherita, Di Stefano era Faust e Rossi-Lemeni cantava Mefistofele. Ricorda qualcosa di quelle recite?
Io e la Callas non ci siamo siamo viste molto durante quelle recite. Cantavamo in atti diversi. Ho però avuto occasioni di vederla alcune volte nella vita normale, soprattutto all’inizio della sua carriera, perché cantavamo tutte e due nei teatri di provincia. Ricordo di aver visto una volta, a Brescia, la Callas mangiare pasta, bistecca, dolce, vino e poi andare a cantare Aida come una meraviglia! Mio marito e io ci domandavamo come facesse con tutta quella roba sullo stomaco... Recentemente sono venuti a intervistarmi per testimoniare sulla Callas, ma io non ho granché da aggiungere a tutto quel che è già stato detto. Ho un ricordo più vivo di Meneghini, che era gentilissimo e veniva spesso a complimentarsi in camerino e mandava sempre gli auguri di Natale.
E tra gli altri colleghi con cui ha lavorato?
Ammiravo molto Mario Del Monaco. Un vero gentiluomo. Insieme abbiamo cantato tante volte «Andrea Chénier». Era un grandissimo Chénier! Le recite che abbiamo fatto insieme a Napoli nel 1954 col maestro Serafin sono tra i più bei ricordi della mia carriera. In quello «Chénier» da Napoli quando alla fine siamo saliti sul carretto mi abbracciò e mi disse “Metà del mio successo lo devo a lei stasera”. Chénier l’ho cantato anche con Corelli, a Enghien Les Bains (Francia). Corelli non teneva il diapason in camerino e quando vocalizzava veniva a chiedermi a che nota era arrivato. Io gli dicevo “re bemolle!” e lui era tutto contento. Ho lavorato spesso con Di Stefano, che però era meno disciplinato e più turbolento. Ricordo che a Sanremo, per uno «Chénier», non veniva alle prove perché era al casinò a giocare.
Tra i cantanti della vecchia scuola lei ha evocato poc’anzi Giacomo Lauri Volpi che, ultrasessantenne registrò con lei “Gli Ugonotti” alla Rai.
Con Lauri Volpi ho fatto anche un concerto Martini e Rossi. Era un artista avanti negli anni, ma ancora prestante e con una grandissima voce. All’inizio era un po’ sdegnoso di cantare con una sconosciuta, ma poi fu molto gentile. Mi torna in mente una rissa tra lui e Serafin. Una volta durante una prova degli “Ugonotti” si presero a botte, giustificandosi davanti a noi, che li guardavamo esterrefatti, dicendo che erano vecchi compagni di scuola. Che botte! Ma poi restavano sempre amici...
Chi ricorda tra le altre voci giunte a fine carriera quando lei cominciava?
Ebe Stignani, un’artista molto simpatica con cui era un piacere lavorare. Ho conosciuto anche una grande cantante che si chiamava Casazza, venne a complimentarsi con me dopo una recita di «Aida» e mi predisse una bella carriera. Allora non sapevo chi fosse, ma poi mi fu detto che aveva cantato molte volte con Toscanini negli anni in cui il Maestro era alla Scala.
E tra i baritoni con i quali ha collaborato?
A Catania ho cantato «Guglielmo Tell» con Gino Bechi. Aveva una voce straordinaria. Il suo camerino era strapieno di medicine e di liquidi per fare i gargarismi. Prima di entrare in iscena si spruzzava tutta quella roba in gola e poi cantava divinamente. Ho cantato anche con Tito Gobbi a Torre del Lago, in Tosca. Gobbi era un po’ inavvicinabile, un uomo molto sicuro di sé. Ho un bellissimo ricordo di Ettore Bastianini e ho sofferto molto quando è morto... eh, quanti dei miei colleghi non ci sono più!
E tra i cantanti più giovani?
Una volta cantavo Tosca a Modena è venuto a trovarmi un giovane (e ancora magro) Luciano Pavarotti. Mi ha dato una sua fotografia autografa e mi ha detto che avrebbe voluto cantare con me. Io però purtroppo stavo finendo la carriera e lui era all’inizio. Così non è mai stato possibile. Peccato!
Lei ha lavorato molto in Italia. Percepiva una differenza tra la sua formazione e quella dei cantanti italiani?
Non direi, forse ero un po’ più “quadrata” in quanto americana. Ma non posso dire che vedessi una differenza essenziale. Era sempre un piacere lavorare con i colleghi italiani. Ci si divertiva e c’era una bella atmosfera tra noi. Si stava bene. C’era affetto e collaborazione. Ricordo la mia prima Turandot a Bolzano. Ero nervosa. Ma ricordo come fosse oggi che il tenore, Roberto Turrini, che stava in fondo alla scalinata con le spalle al pubblico, continuava ad applaudirmi sommessamente anche lui! Sono questi i bei ricordi della carriera.
Parliamo un po’ dei direttori d’orchestra con i quali ha lavorato più spesso, lei ha citato più volte Serafin, che aveva fama di essere un grande intenditore di voci.
E’ difficile dire quanto ho ammirato quell’uomo! La prima volta che ho lavorato con lui è stato per “Aida” all’Arena Flegrea. Ricordo che dopo l’audizione mi prese sotto braccio e mi disse “Questa voce va guidata”, così andai con mio marito nella villa del Maestro vicino a Firenze. Lì studiai altri ruoli con lui, come «Gioconda», «Trovatore», «Chénier», «Tosca». Insisteva perché il canto fosse sempre espressivo, che si capissero le parole: per lui non era mai abbastanza! Viaggiava sempre con la sua vecchia governante svizzera, Rosina, che gli cucinava in camera: anche in albergo, Serafin non mangiava mai con gli altri clienti.
E tra gli altri direttori?
Ho un bel ricordo anche di Mario Rossi, un finissimo musicista. Ho lavorato poco con Gavazzeni, purtroppo. Ma mi rammento che fece provare un’infinità di volte, a me e all’altro soprano, il duetto della lettera dalle “Nozze di Figaro”. Lì per lì ci sembrò un po’ pignolo ma poi capimmo che ci aveva impartito una lezione interpretativa straordinaria.
Veniamo al pubblico. Riascoltando molte registrazioni dal vivo di quegli anni è impressionante quanto sia cambiata oggi la partecipazione del pubblico alla recita. Quali sono i suoi ricordi?
Ci amavano, voglio dire i cantanti erano veramente amati dalla gente comune. Nei ristoranti si arrivava a tarda notte e i camerieri ci aspettavano, ci servivano con gioia. La gente ci fermava per la strada per farci i complimenti. A Napoli soprattutto ho sempre cantato volentieri perché il pubblico era incandescente. Ricordo quell’Andrea Chénier con Del Monaco. Dopo “Come un bel dì di maggio” cominciarono le richieste di bis e Del Monaco chiese al pubblico che lo lasciassero arrivare alla fine della recita. Cominciò un battibecco tra chi voleva il bis e chi voleva andare avanti. Si sente anche nella registrazione.
Questi interventi del pubblico vi indisponevano?
Ci emozionavano piuttosto. Sentire la gente pronta a scattare in un applauso o al contrario pronta a fischiare, era emozionante. Dopo quello Chénier, per esempio, ricordo che c’era una piccola folla che ci aspettava all’uscita. Alcuni spettatori presero sulle spalle del Monaco e lo portarono fino al ristorante. Il capo claque mi disse “Signora avremmo preso sulle spalle anche lei, ma lei è un po’ cicciotta!” (ride). A Parma c’era un’atmosfera veramente speciale. Ricordo che i membri del comitato del teatro assistevano sempre alle prove, si mettevano in fondo alla sala con cappello e tabarro, e ogni tanto intervenivano chiedendo al maestro “Scusi, può far tenere quella nota più lunga?” e il maestro acconsentiva. Poi andavano in giro a dire se la voce era bella oppure no. In un certo senso erano le spie del teatro! Ma il teatro era sempre esaurito...
Lei ha cantato in grandi teatri, come il San Carlo e la Scala, ma anche in teatri di provincia. L’atmosfera era diversa?
Straordinaria, forse anche più calorosa che nei grandi teatri. Portavano i fiori, ma erano quelli del loro giardino! La gente arrivava in teatro un’ora prima dell’inizio della recita, portandosi da mangiare e da bere...
Lei ha cantato molto nei teatri all’aperto: Verona, Caracalla, Arena Flegrea di Napoli. Cantare all’aperto impone sforzi particolari e richiede doti non comuni a un cantante...
Non saprei dire... Io avevo una voce potente e per me non faceva grande differenza. Certo, nei teatri al chiuso c’è maggior concentrazione. Ricordo che una volta in occasione di una “Turandot” a Messina mi dissero, come un complimento, che mi avevano sentito fino a Reggio Calabria. Ovviamente mi fece piacere!
La claque era una presenza sotteranea ma implacabile nei teatri di quegli anni...
Altroché...Venivano a trovarci appena arrivati alla stazione e ci chiedevano subito i soldi, ci portavano dei fiori appassiti che chissà dove li avevano presi, o meglio, rubati...Non era bello e preferisco non parlarne.
Era difficile all’epoca conciliare la vita familiare e quella artistica?
Certamente, ma forse meno di oggi. Anzitutto non ero mai sola. Io viaggiavo sempre con mio marito, le mie due bambine e la bambinaia. All’epoca le cantanti erano sempre accompagnate, dalla mamma, dal marito o da un parente: così la Carteri, la Mancini,la Tebaldi, anche la Callas. Per gli uomini era diverso. Ricordo che un mio amico tenore ci presentava come sua moglie sempre la signora X, che però a noi sembrava sempre diversa! (ride) Finché è stato possibile portavamo le nostre figlie in teatro, loro si divertivano molto. Ricordo che la mamma di Rosanna Carteri, con cui ci trovavamo spesso negli stessi teatri, ci diceva che non dovevamo portare i figli in quei luoghi di perdizione!
Aveva amici tra i cantanti?
Sì, ma stavo sempre con Fred, mio marito, e non c’era molto tempo per i momenti di convivialità. Durante l’opera, comunque, non mi piaceva ricevere la gente, per me bisognava restare nel personaggio fino alla fine della recita. Io stavo in camerino e non volevo che venissero a trovarmi nemmeno mentre mi truccavo...
Vi truccavate da soli?
Sempre! E non solo il trucco si faceva da soli! Si cantavano persino i ruoli degli altri! In Aida, ad esempio, la protagonista, nei teatri piccoli, cantava anche la parte della Sacerdotessa, l’ho fatta anch’io tante volte. E nell’incisione di quest’opera, a Roma, siccome non volevano tenere Amneris per tutto il terzo atto, ho cantato persino la sua parte: quando dice “Traditor” alla fine dell’atto.
Come funzionava il sistema degli agenti?
Si poteva avere un agente personale, se si era molto famosi. Io lavoravo con un’agenzia di Lugano che si chiamava l’A.l.c.i. Ci prendevano 10% a ogni rappresentazione, si firmava un contratto di cui c’era una sola copia e non si rischiavano truffe.
Per preparare i suoi ruoli lei ascoltava i dischi di cantanti del passato?
No, mai! E non l’ho mai consigliato nemmeno alle mie allieve! Meglio un buon originale che un’ottima copia. Volenti o nolenti si tende a imitare il colore della voce che si ascolta...Quante imitazioni abbiamo avuto della Callas, e non so se sia stato una buona cosa...
Che rapporto avevate con la critica? Lei leggeva le critiche che apparivano sui giornali?
Spesso i critici venivano a sentirci alla prova generale e qualcuno veniva anche in camerino a chiacchierare. Io comunque leggevo sempre le critiche. Anche quelle negative. Qualche volta ho sofferto, ma ognuno ha il diritto di esprimere la propria opinione. Penso che ci sia sempre da imparare!
Lei forse saprà che la regìa è uno degli aspetti che hanno assunto un peso maggiore e diverso nel mondo lirico di oggi rispetto al Suo tempo...
Non me ne parli! Un allievo di mio marito che canta in Germania come baritono mi ha detto che ha cantato l’«Elisir d’amore» con abiti tipo impermeabile di pelle. Lei andrebbe a un balletto se i ballerini fossero vestiti in doppiopetto? Per carità, non voglio dire che tutto è da buttare. L’altra sera, per esempio, ho visto “La Rondine” dal Metropolitan e mi è piaciuta l’ambientazione cambiata, mi è sembrata convincente. Tempo fa ho visto però un “Ballo in maschera” con Renato in doppiopetto e lei in tailleur, ma non è verosimile, scusi: con quell’abito lì la donna non si dibatte mica tra i rimorsi, ma dice al baritono “Andiamo dall’avvocato...” e finisce lì.
Che posto aveva la regia in uno spettacolo degli anni Cinquanta?
Ai miei tempi esistevano due tipi di registi. Diciamo il maestro di palcoscenico, cioè quel disgraziato che faceva tutto dalla mattina alla sera e prendeva cinquemila lire al giorno, che spiegava al coro e ai cantanti come fare per muoversi ecc. Poi c’erano anche i grandi registi, venuti dal teatro o dal cinema. Ricordo una volta in Gioconda uno di questi che mi disse “Gioconda la vedo come una zingara...capelli neri...” e io gli chiesi come si spiegava quando poi nell’opera il personaggio parla della sua “infanzia bionda...”. Rimase stupito! L’unico grande regista con cui ho lavorato fu Roberto Rossellini. A Napoli, tra una prova e l’altra voleva portarmi a pranzare a Roma, su una delle sue Ferrari e Maserati, per poi tornare a Napoli nel pomeriggio...gli dissi sempre di no, un’occasione mancata! (ride)
Posso chiederle le ragioni del suo ritiro precoce?
Un giorno mio marito Fred mi ha detto che era stanco di essere il «signor de’ Cavalieri»...
Immagino sia stato difficile interrompere la carriera in modo così brusco...
Da un giorno all’altro ho chiuso e della musica non ne volevo più sapere. Non ascoltavo nemmeno la radio. Nel 1975 mio marito, insieme ad un suo amico musicista, fondarono un coro misto di una quarantina di persone, qui a Lugano. Una sera, prima di recarsi alla prova settimanale, Fred mi ha chiesto di andare per dare una mano ai mezzosoprani che brancolavano un po’ nel buio, come si dice. Confesso che mi sono sentita morire, ma l’ho accompagnato comunque alla prova. Lui aveva bisogno e adesso ero io che potevo aiutarlo. Per ventitré anni ho cantato nel suo “Coro lauretano” musiche di Bachm Haendel, Monteverdi, Bloch e persino Bob Dylan! Ho scoperto una nuova vita nella musica polifonica corale, e nuovi amici fra i cantanti. Nell’aiutare mio marito Fred sono guarita dalla profonda tristezza in cui ero piombata dopo essermi ritirata.
Che ruolo ha avuto suo marito, Fred Rogosin, nella Sua carriera?
Lui sapeva tutto della musica. Aveva preso due lauree ad Harvard; come baritono era stato solista per cinque anni con la compagnia “Glee Harvard Club”. Spesso al pianoforte lo accompagnava Leonard Berstein, che era un suo buon amico. Fred era un vero tecnico, con una conoscenza musicale straordinaria, per un certo tempo ho studiato tecnica vocale con lui. Era sempre al mio fianco, consigliandomi e difendendomi, era un po’ il mio manager. Ha letteralmente dedicato una parte della sua vita alla mia carriera!
Dopo tanti anni la musica che lei ha interpretato riaffiora involontariamente nella Sua memoria?
Sì soprattutto durante i sogni. Un incubo ricorrente (non solo per me, apparentemente, ma anche per altri cantanti) è quello in cui ci si trova in camerino e ci si sta preparando per un’opera X, mettiamo “Aida” già con la pelle truccata, ma poi ci si rende conto che bisogna cantare, che so, «Tosca». Che incubo!
A distanza di tanti anni, Le piace riascoltare la Sua voce? e che effetto le fa?
In generale non mi dispiace riascoltarmi. L’unico neo è la qualità delle incisioni, soprattutto quelle dal vivo e“down loaded” da Internet. Anche i trasporti di tono in certe incisioni sono un problema, perché si ha una falsa impressione della voce. Peccato.
Vuole indirizzare un saluto ai giovani cantanti di oggi?
Ai cantanti in genere, direi, giovani e meno giovani. Ai miei tempi la regola era “sette anni di studio e poi in palcoscenico”. Questo significava sette anni di lezioni regolari: tecnica vocale, respiro, intonazione, musicalità, interpretazione. Quando la tecnica del canto sorregge l’artista, puoi raggiungere le stelle! In bocca al lupo!
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La biografia
Anna de’ Cavalieri nasce col nome di Anne McKnight ad Aurora nello stato dell’Illinois (U.S.A). Studia alla Juilliard School di New York dove affronta i primi ruoli orientati verso il repertorio lirico-leggero (Fiordiligi in “Così fan tutte” e Lisette nella “Rondine”). Nel 1946 viene scelta da Arturo Toscanini per prendere parte, nel ruolo di Musetta, alla registrazione di “Bohème” con i complessi della NBC. La collaborazione col Maestro avrà un seguito con l’esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven. Giunta in Italia per perfezionarsi alla fine della guerra e italianizzato il suo nome in Anna de’ Cavalieri, debutta nel 1949 a Pesaro come Aida, cui seguiranno “Guglielmo Tell” a Catania e “Il Trovatore” a Parigi. Nel 1952 torna in America dove esegue “Tosca” (N.Y. City Opera), “Don Giovanni” (Elvira) e “Cavalleria rusticana”. Il repertorio si orienta su ruoli di lirico spinto con incursioni in quello drammatico: nel 1953 sarà infatti ancora Aida a Verona, e sotto la guida di Tullio Serafin, Gioconda (ruolo che eseguirà spesso nei primi anni di carriera) a Napoli e Maddalena di Coigny, nella stessa città, in uno “Chénier” a fianco di Mario Del Monaco. Il 1954 la vedrà prendere parte a un “Mefistofele” veronese (Elena) accanto a Rossi Lemeni, Di Stefano e Maria Callas (Margherita). Nello stesso anno la De’ Cavalieri è la protagonista di “Loreley” a Lucca e alle Terme di Caracalla ed è scelta da Franco Alfano per eseguire la parte di Roxane nel “Cyrano de Bergerac” alla Scala al fianco di Ramòn Vinay. L’anno seguente la vede impegnata in numerose opere in forma di concerto nelle sedi della RAI: Valentina negli “Ugonotti” con Giacomo Lauri Volpi, protagonista nella “Sakuntala” di Alfano, Louise nell’opera omonima di Charpentier. Nel 1957 è Leonora della “Forza del destino” a Catania e, alla Rai di Torino, affronta (un anno prima della ripresa scaligera con la Callas) la parte di Imogene nel “Pirata” di Bellini sotto la direzione di Mario Rossi. Nel corso degli anni successivi il suo repertorio si allarga al versante drammatico con “Abigaille” nel Nabucco (Augsburg 1958) e Turandot di Puccini (debutto a Bolzano nel 1958), senza dimenticare un ritorno al Belcanto col ruolo di protagonista nella “Norma” (Firenze, 1962, poi ripresa a Tolosa nel 1964). Al grande repertorio italiano Anna de’ Cavalieri ha affiancato durante tutta la carriera importanti incursioni in quello contemporaneo novecentesco (oltre alle opere citate di Alfano, da ricordare “Lucrezia” di Respighi alla Rai nel ’58, la Madre nel “Prigioniero” di Dallapiccola a New York nel 1960) e nel repertorio tedesco sia in traduzione italiana, come in uso all’epoca (Elsa nel Lohengrin, Elisabetta nel “Tannhäuser a Palermo nel ’57, Isolde a Catania nel ’64) sia nell’originale tedesco (Ariadne in “Ariadne auf Naxos” alla Rai di Napoli nel 1963 sotto la direzione di Peter Maag, la Marescialla del “Rosenkavalier”).
In virtù di una voce ampia e squillante (donde le numerosissime comparse nei teatri all’aperto, come Verona, Caracalla, l’arena Flegrea di Napoli), perfettamente omogenea nei diversi registri, sorretta da un gusto sempre appropriato ai diversi stili vocali, immune dalle più volgari intemperanze veriste, la de’ Cavalieri poté affrontare convincentemente un notevolissimo numero di ruoli (quasi cinquanta): dal Settecento di Gluck e Mozart (fu infatti Armida e Alceste, nonché Aspasia in una ripresa del “Mitridate”) al Verismo (la Manon pucciniana, Tosca, Fedora, Santuzza, Maddalena), dal Belcanto italiano (Imogene e Norma) al più impegnativo repertorio verdiano (Abigaille, Leonora della “Forza” e del “Trovatore”, Elena dei “Vespri”, Aida) e persino wagneriano (oltre ai ruoli citati anche Brünhilde e Sieglinde, queste ultime in concerto) e straussiano. La recentissima ristampa in cd (2008) della sua esecuzione del “Pirata” di Bellini alla Rai nel 1958 (cd Urania), pur se decurtata dai tagli di tradizione, documenta un’ammirevole adesione a un ruolo allora rarissimo per il quale non esistevano modelli interpretativi fissati dal disco. Con l’eccezione della “Bohème” diretta da Toscanini e di un’ “Aida” registrata coi complessi dell’Opera di Roma nel 1959 (non riversata in cd), la sua voce è affidata soltanto a registrazioni dal vivo.
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DISCOGRAFIA IN COMMERCIO
[Ringrazio vivamente Enrico Marrucci, Silvano Capecchi e Giacomo Racugno per l’assistenza e il recupero del materiale]
Bellini, Il Pirata (Imogene)
M.Picchi, M.Truccato-Pace, W.Monachesi; Dir.: M.Rossi - Torino RAI, 2 /2 / 1958)
[Urania: URN 22.366]
Boito, Mefistofele (Elena)
G.Poggi, C.Broggini, S.Malagù, F.Cossotto, C.Siepi; Dir.: A.Votto – Teatro alla Scala,
[GALA]
Boito, Nerone (Asteria)
M.Picchi, A.Lazzari, M.Petri, G.Guelfi; Dir.: F.Capuana, Napoli 1957)
[GOP; LINE MUSIC 5.01064]
Catalani, Loreley (protagonista)
R.Gigli, P.Guelfi, A.Colella; Dir.: A.Simonetto – RAI di Milano 1954)
[Wahlall]
Giordano, Andrea Chénier (Maddalena)
Con M. Del Monaco, dir. T. Serafin- Napoli 1954
[Frammenti pubblicati nel disco “Mario del Monaco- Rarities” / Bongiovanni “Il mito dell’Opera” 1203]
Meyerbeer – Gli Ugonotti- (Valentina)
G.Lauri-Volpi, A.Pastori, J.Gardino, N.Zaccaria, G.Taddei; Dir.: T.Serafin – RAI di Milano 1955
(GOP)
Puccini - La Bohème - Musetta [col nome di Anne McKnight]
J.Peerce, L.Albanese, F.Valentino, N.Moscona; Dir.: A.Toscanini – Orchestra della NBC
[RCA]
Puccini, Turandot (protagonista)
G. Cecchele, L. Marimpietri; dir. F. Scaglia, Roma 1965
[Opera d’Oro 1485]
Strauss, Ariadne auf Naxos (Ariadne)
W.Kmentt, M.Kalmus, R.Grist, P.Schöffler, P.Monteanu; Dir.: P.Maag – Orchestra della RAI di Napoli
[PremiereOpera]
Verdi Aida (protagonista)
A.Bertocci, I.Malaniuk, P.Dari, S.Colombo; Dir.: E.Barbini – Opera di Roma (studio), 1958
[LP “La Guilde internationale du disque” MMS 2157]
Verdi - I Vespri siciliani (duchessa Elena)
M.Filippeschi, G.Neri, G.Guelfi; Dir.: T.Serafin – Napoli 1955
[Bongiovanni HOC 025/26]
REGISTRAZIONI PRIVATE NON IN COMMERCIO
Alfano, Cyrano de Bergerac (Roxane)
R.Vinay, A.Vicenti, A.M.Canali, R.Panerai, S.Maionica; Dir.: A.Votto – Milano 1954
A.Lazzari, P.d.Palma, A.d.Stasio, U.Savarese, C.Cava; Dir.: A.La.Rosa Parodi – Milano (RAI) 1961
Alfano - Sakúntala – (protagonista)
A.Annaloro, F.Cadoni, G.Galli, P.Clabassi, V.Tatozzi; Dir.: A.Basile –Milano (RAI) 1955
Busoni - Turandot - Turandot
G.Campora, P.d.Palma, O.Moscucci, F.Cadoni, I.Tajo; Dir.: F.Previtali – Napoli 1953
Colombini - Jade
A.Bertocci, L.Testi, Novelli; Dir.: F.Scaglia –Milano (RAI) 1961
Dallapiccola - Il Prigioniero –(La madre) (in inglese)
R.Cassilly, N.Treigle; Dir.: L.Stokowski - New York 1960
Giordano - Andrea Chénier – (Maddalena di Coigny)
M.d.Monaco, Iorio, A.Protti; Dir.: T.Serafin – Napoli 1954 (integrale)
Gluck - Alceste - Alceste
M.Picchi, V.Buccini, A.Colzani; Dir.: M.Rossi – [Napoli 1956]
Gluck - Armide - Armide
M.Picchi, A.Moffo, J.Gardino, P.Mollet, R.Cesari; Dir.: M.Rossi – Torino (RAI) 1957
Ponchielli, La Gioconda – (protagonista)
G.d.Stefano, F.Barbieri, L.Danieli, U.Savarese, M.Petri; Dir.: T.Serafin – Napoli, Arena Flegrea, 1953.
Puccini - Tosca - Tosca
F.Tagliavini, W.Alberti, G.Damiano; Dir.: N.Stinco - Rio de Janeiro 1961
Respighi - Lucrezia - Lucrezia
W.Brunelli, F.Marghinotti, M.Truccato-Pace, M.Sereni, F.Corena; Dir.: O.d.Fabritiis – Milano(RAI) 1958
Verdi - Il Trovatore –(Leonora)
F.Labò, M.M.Morquio, J.Botto, J.Carbonell; Dir.: N.Stinco - Montevideo 1964
Alcuni concerti Martini e Rossi che la vedono protagonista insieme ad altri artisti sopravvivono in registrazioni private non commercializzate.
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G.Verdi - Aida: "Cieli azzurri" - 1958
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G.Verdi - Il Trovatore: "Tacea la notte placida" - Montevideo 1964
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G.Verdi - Il Trovatore: "D'amor sull'ali rosee" - Montevideo 1964
Gabriele Bucchi