Alessandro Zignani, riminese, laureato in Lettere e Psicologia sperimentale, abilitato psicanalista, studia composizione a Fiesole e direzione d’orchestra. Nonostante ora insegni al Conservatorio di Monopoli, ritiene sia più edificante il cammino dell’umanista.
Oltre ai due volumi di recente pubblicazione e dedicati a Mitropoulos e Karajan, quali altri ambiti hanno interessato la Sua produzione?
Ho pubblicato quindici volumi, di cui otto sono romanzi, altri di germanistica e traduzione letteraria ed infine saggistica musicale. I romanzi si possono suddividere in tre trilogie, una sorta di ciclo neognostico, legato alla mnemotecnica, a Giordano Bruno, a quel tipo di sapienza perduta che garantiva anticamente all’uomo di essere un microcosmo in rapporto con un ordine superiore dell’universo e capace di ascoltare questo ordine dentro di se.
Ed unito al neognosticismo altro tema portante è la musica.
Trovo che la musica sia un’arte che permette di entrare in contatto con queste forze. La direzione d’orchestra, in particolare, richiede tali conoscenze per poter essere efficace. Perché se tu hai dei blocchi, delle incrostazioni intellettuali o psichiche l’energia non fluisce da te. Questa energia appartiene alla natura, al cosmo, non appartiene all’uomo. L’uomo deve sparire per farla passare. Goethe, Nietszche, Proust, Joyce, Eliott son stati gli ultimi che han trattato questi aspetti, tutti personaggi che rientrano nel neognosticismo.Lavoro coi direttori d’orchestra, con gli allievi di direzione e il problema è sbloccare. Perché noi non siamo abituati a comunicare psicologicamente quanto vogliamo non mediante le parole, ma con l’energia che abbiamo dentro. Energia che invece esiste, è un dato di fatto. C’è qualcuno che riesce a trasmettere questa energia anche senza parole.La musica è un’arte magica, una disciplina artistica che induce trance ed agisce sul tempo e direttamente sulla psiche. Agisce come un enorme analgesico sul sistema nervoso. Emettere un suono cambia lo stato d’animo interno e necessita accettazione dell’evento, della vibrazione libera, lo sapevano anche gli indigeni. La liberazione orgonica delle tensioni interiori, come studiato da Wilhelm Reich (medico, psichiatra, psicoanalista austriaco, allievo di Sigmund Freud).
Durante la conferenza di presentazione del volume su Karajan, ha accennato ai problemi legati all’interpretazione e a suoi recenti studi in merito.
Sto cercando di ridurre i parametri dell’interpretazione a logica. Ossia di renderli il più possibile obiettivi. Il territorio dell’analitico e concettuale può arrivare fin lì, da lì comincia l’elemento umanistico individuale, ma in realtà si può andare in là a definire l’esattezza di una interpretazione, molto di più di quanto si creda.
Su quali fonti ci si può basare?
Fonti strutturali, ogni partitura ha una struttura che va rispettata, che non è automatica, ma anzi nel compositore spesso è occultata, nascosta, resa segreta; le prassi, anche strumentali (ad esempio Beethoven: i corni e i flauti di allora creavano una sonorità molto nebulosa, stridente, dissonante, diversa dalle attuali; la sonorità che si produceva era un suono bianco, stimbrato, occorrerebbe ottenere una sonorità non limpida e pulita come l’attuale); ogni partitura nasce da una idea, che non è mai all’inizio o alla fine, ma nel mezzo, nel mezzo come la perla nell’ostrica, tutta la forma si costruisce per varianti sia melodiche che ritmiche della stessa idea. Lasciate che la materia si evolva da sola, occorre capire l’elemento portante, l’idea fondante che a volte non è neanche scritta, ma è la somma di tutta la struttura, questa idea ha uno sviluppo e questo sviluppo ha dei tempi obiettivamente calcolabili. Bisogna sapere di filosofia, di psicologia, perfino di neurologia (il tempo che un direttore prende è sempre una variabile della sua pulsazione cardiaca), di fisiologia, modo di respirare. La Fondazione Karajan, per la quale il direttore austriaco è da considerarsi un pioniere in questa tipologia di ricerche, venne creata con l’obiettivo di studiare la psicologia e fisiologia della musica. Noi siamo in una cultura per cui il corpo è una cosa e la mente è un’altra, Karajan aveva capito l’interconnessione nella musica di corpo e mente e la praticava attivamente.
Così come il rivolgersi alle filosofie orientali…
La filosofia orientale lega Karajan, Celibidache e Peter Maag: il corpo come strumento per fare anima.Karajan, inoltre, conosceva molto bene la teologia, e son rimasto colpito nel constatare quante opere dei mistici del Cinquecento (Jakob Böhme, Meister Eckhart) avesse conosciuto, letto e sottolineato. Tutto ciò che Meister Eckhart dice del Dio che è un granello di senape infinitamente piccolo e che da qualche parte è nascosto dentro di noi, lui lo aveva sottolineato furiosamente. In realtà aveva seguito questo percorso, solo che come tutti i veri esoterici non lo racconta, perché è un fatto privato, in quanto tale segreto. Però quando vai a constatare perché ti interessano certi interpreti scopri che dietro c’è questo percorso. Dopodichè siccome è passato Dan Brown, questi discorsi…
E’ evidente che il filo rosso unisce Karajan, Celibidache, Maag e persino Mitropoulos.
Mitropoulos è molto legato a questo, suo nonno era un vescovo ortodosso e uno dei suoi parenti era monaco sul monte Athos e lui stesso voleva diventare monaco. Poi decise che la musica stava al posto della fede ortodossa. Quindi per Mitropoulos la musica era legata alla liturgia ortodossa (che rappresenta la divinità come simbolo, non come effige, una specie di ideale interiore), la musica è la vera voce di Dio, il Dio ortodosso. Il discorso torna perfettamente, torna con Furtwängler e tornerà col prossimo direttore di cui parlerò, un altro personaggio su questo orientamento. Alle volte può essere anche un atteggiamento spirituale, senza bisogno di appartenere a una setta, una scuola. L’atteggiamento interiore che aveva era di un mistico. C’era arrivato per altre vie: la meditazione, l’introspezione, l’adorazione per la natura. E soprattutto una caratteristica che tutti questi artisti hanno: l’idea di studiare la musica in quanto immagine mentale. Bisogna leggere e ascoltare i suoni e poi memorizzare camminando, occorre che passeggiando, respirando la musica diventi una parte del corpo. Chi fa un discorso del genere, sicuramente ha dietro una chiave di questo tipo.
Nel panorama italiano son passati grandi interpreti. Alcuni outsider, nonostante tutto, sono riusciti a lasciare una impronta indelebile nell’ascoltatore.
Vladimir Delman, uno che rimaneva impresso, ricordo una Terza di Mahler a Bologna, straordinaria. Non aveva schermi, era un estremista, andava sempre al nocciolo del problema, le scelte erano sempre estreme. Il Finale della Terza riassumeva tutte le tensioni di quanto veniva prima, con un grado di convinzione e di coerenza interiore suicida, nel senso che non puoi tenere in piedi questo dando la sensazione dell’improvvisazione, della libertà come se la forma stesse nascendo li. Un direttore enorme, sommo. Uno dei miei idoli della giovinezza: andavo a Bologna e tornavo a casa di notte, in treno; per me era un pellegrinaggio andare da Delman.
Outsider come Celibidache che era a Catania e a Bologna mentre Karajan era a Berlino. Karajan si muoveva molto meglio di queste persone e nei dischi si vede che si controlla, dava interpretazioni fonogeniche, non negli ultimi anni e neanche nei primi. Nella fase di mezzo: alcune incisioni sono per un mercato internazionale. In questo senso era più debole di Delman o Celibidache, di carattere: perché non sopportare di non avere successo è un segno di debolezza.
Occorre fallire se si vuol riuscire. Se non fai delle scelte precise e non ti metti alla prova, il che vuol dire anche fallire la prima volta, non impari, impari attraverso i fallimenti: quindi ci sono orchestre che poi non ti chiameranno più perché quella volta li con loro fallisci. Altrimenti fai una cosa standard, ortodossa, che però non è quello che tu hai in mente, l’orchestra è contenta, il pubblico è contento, ma non hai fatto musica. Sei scoperto di fronte a te stesso, neanche di fronte all’orchestra in se, ma proprio di fronte a te stesso.
Lei ha accennato alla Sua passione per gli interpreti russi odierni (Gergiev e Temirkanov). Parlarne insieme a Delman e Celibidache riconduce direttamente a Chaikovskij
Chaikovskij è uno dei più tragici complessi e problematici compositori di tutti i tempi, perché con Chaikovskij comincia il crollo della forma sonata, della crisi della civiltà, della musica pura. Già dalla Prima sinfonia, l’opera Tredici: comincia con un tremolo degli archi, con un tema che non è un tema, ma una specie di eco di un tema, e a seguire una figura ritmica popolare. Come sarà poi in Mahler che da Chaikovskij ha preso moltissimo, la sinfonia diventa un diario interiore e tutto ciò che non è più valido, un cimitero degli stili, diventa reminiscenza di un mondo perduto, autobiografia ed elaborazione di un lutto. Quindi la musica diventa psicoanalisi, una visione dell’io, del crollo delle certezze e comincia la modernità con Chaikovskij, che è un poeta tragico.
Mahler, infine, scriveva così perché voleva mettere in difficoltà l’orchestra, voleva sonorità sforzate. Voleva il grottesco, il sarcasmo: categorie molto slave della musica, dove la bellezza nasce dal fatto che la materia non ti obbedisce, quindi si frantuma, si deforma, si deturpa. Il grande artista deve riuscire ad avere il coraggio dell’espressività, non della bellezza. Passare attraverso la via della bruttezza, del ghigno e dello sfregio quando il compositore lo richiede, e ciò accade molto spesso. Gergiev è l’unico che persegue ancora questo tipo di poetica, insieme a qualche altro russo e pochi cani sciolti.
Ci parli dei suoi progetti futuri. Quali saranno i temi delle prossime pubblicazioni?
Uscirà fra qualche mese un libro sui Conservatori, che è un libro comico come il primo, S.P.A.S.M.O. - Il Quiz della Musica, non un quiz, ma parodia del quiz e poi vorrei scrivere un libro su Hoffmann, un po’ il padre della crisi della modernità.
E un saluto per Operaclick!
È molto bello quanto fate col vostro sito. Dare spazio alle voci, a tutte le voci, anche le più nascoste, complimenti!
Emanuele Amoroso