Ho conosciuto Michele Girardi a Parma nel 2008, davanti al Teatro Regio.
Eravamo a vedere un’opera e fui presentata all’illustre professore di cui ammiravo gli scritti e che m’incuteva soggezione; era diventato padre forse da un paio di mesi e teneva in braccio il bambino con bellissimo orgoglio.
Mi colpì molto quest’immagine e, rivedendolo, gliel’ho ricordata più volte.
Tra noi era nata una buona amicizia, i nostri incontri partivano quasi sempre da una “scusante” di carattere culinario e finivano con discussioni anche accalorate; o meglio, io ascoltavo gli altri discutere perché mi garbavano tanto quegli scambi di vedute così frementi tra persone dotate che sapevano il fatto loro.
Musica e politica: di questo si parlava, con un bicchiere davanti, i sensi allertati perché con Michele non si barava: ti leggeva dentro e anche bruscamente ti metteva di fronte a quelli che riteneva fossero degli errori.
Mi resta indimenticabile una mattina che, per caso, lo incontrammo al Mercato di Rialto; ciascuno di noi con il carrellino per la spesa (a Venezia succede così), lui in lino bianco e l’aria tra lord e corsaro: era un cuoco eccellente, aveva il suo pescivendolo di fiducia del cui nome e luogo fummo messi a parte. Quella splendida mattina finimmo a fare il giro dei bàcari tra cichetti e ombre, con i carrellini al seguito via via più pieni e i discorsi che sembravano non dover mai finire.
Michele ha scritto il più bel libro che esista su Puccini, lo affermo senza tema di smentita. E ha scritto anche sulla musica di tanti altri una quantità di articoli che considero preziosi; fu uno dei primi a capire l’importanza del mettere a disposizione on line i suoi scritti. Da quelle pagine ho imparato tanto.
Era un affabulatore, le sue lezioni coinvolgevano chi ascoltava e ne tenevano sempre desta l’attenzione. E per “lezioni” intendo tutte le occasioni in cui parlava in pubblico: faceva sempre riflettere.
Il suo legame con Puccini lo portava spesso a Torre del Lago e a Lucca; quindi, capitava che ci incontrassimo in qualcuno dei suoi convegni. Ma la terra d’elezione per gli incontri più proficui, quelli in cui univamo “l’utile al dilettevole” era Venezia. Aveva la cadenza da veneziano colto e schietto che veniva fuori ancora di più nell’accalorarsi, per parlare di politica, per sostenere che un compositore non era degno di stima (uno divenne addirittura “un’ameba”) o per difenderne un altro. Era facile trovarci allo Squero, lui con la moglie e il figlio, nei pomeriggi dedicati alla cameristica.
Non voglio scrivere del suo lavoro, per quello basta cercare nel mare del web e leggere di una carriera brillantissima, dei tanti successi; basta buttare l’amo e subito si pesca qualcosa scritto da Michele.
Voglio ricordare l’amico, l’uomo attaccatissimo alla famiglia; la persona con la quale mi piaceva fare bella figura scrivendo o parlando perché tenevo al suo giudizio e assieme lo temevo, di quel timore felice che si prova verso qualcuno di cui riconosci la grande superiorità. Rileggo la corrispondenza tra noi e ritrovo l’arguzia e il senso pratico uniti alla profonda cultura dello studioso; con un sorriso declamo gli ironici versi che mi regalava a ogni compleanno.
Era schietto (a volte, per chi è “piccino”, anche troppo); non celava mai il suo pensiero dietro false cortesie, ma quella schiettezza era soprattutto sinonimo di onestà, di chiarezza intellettuale e di rispetto per l’interlocutore.
È stato indomito fino in fondo, pragmatico verso la malattia. È riuscito a completare la revisione e l’importante ampliamento del suo libro su Puccini: mi viene da pensare che abbia “tenuto duro” finché non fosse pronto.
L’ho visto l’ultima volta alla Fenice, alla presentazione del libro; era il nove di marzo e il ventidue se n’è andato. Era chiaramente stanco ma felice dei moltissimi amici, colleghi, studenti che si vedeva attorno e degli altri collegati in streaming; ha detto poche parole, hanno parlato gli altri per lui, ma non scorderò mai quel “se non fosse che ho problemi di salute questo sarebbe il giorno più felice della mia vita, vi guardo, uno per uno, e vi conosco tutti”.
Lo abbiamo accompagnato all’isola di San Michele sabato scorso, il ventinove marzo. Pioveva sottile, un mal tempo dai colori veneziani che non ha impedito a tantissimi di seguirlo in quell’ultimo attraversamento della laguna. Lo hanno ricordato, dopo la moglie, amici più o meno famosi, con parole sentite, con aneddoti anche comici, ma nessuno ha avuto per lui semplici parole di circostanza. Il figlio, cinque suoi compagni di studi e il loro maestro di violoncello hanno accompagnato la cerimonia con musiche da Puccini a Schubert.
E, giustamente, non si sono fatti vedere quelli che s’erano meritati il suo sarcasmo. Credo che anche questo gli sarebbe piaciuto.
Non amo dire quel “mi mancherà” di cui oggi mi pare si abusi nel commentare la scomparsa di qualcuno; però, Michele mi mancherà davvero.
Venezia, 31 marzo 2025
Marilisa Lazzari