Silvano Carroli
(Venezia, 22 febbraio 1939 – Lucca, 4 aprile 2020)
“Canta aperto” esclamò Paco, uno dei tanti loggionisti imbruttiti che bazzicavano il loggione della Scala in quegli anni. Eravamo all’indomani della prima dei Lombardi alla prima crociata nel 1983 alla Scala. Cast superlativo (ad eccezione dell’opaco Carlo Bini) con il grande ritorno di Gavazzeni e poi la Dimitrova, Carreras e Carroli. No, Paco non si riferiva a Carreras, come sicuramente avrete pensato tutti, ma al baritono veneziano Silvano Carroli. “Canta aperto”, dicevo, esclamò Paco portando come esempio di canto coperto Tom Krause e l’allora giovane Boaz Senator che, purtroppo, è mancato poco tempo fa.
Intendiamoci, qualcosa di vero c'era, ma, francamente, mi sembrava abbastanza riduttivo ridurre la personalità vocale di Carroli al solito dilemma aperto/coperto o, per i più colti, color chiaro o color scuro come sosteneva il Garcia figlio. Sarebbe come dire che Di Stefano non fosse stato quel genio che era, solo perché cantava aperto. E qui bisogna capirsi: il color scuro ed il suono girato mantengono la voce nel corso degli anni. Ma non si deve neppure esagerare per non incorrere negli infortuni vocali che, ad esempio, hanno caratterizzato la carriera di Bepi Giacomini, tenore peraltro stratosferico. Chi canta aperto, con le dovute eccezioni, dura meno e la voce dopo un po’ si deteriora. Ma, dobbiamo chiederci: ha un senso discutere di questo? La qualità artistica di un cantante non è, non è mai stata e non deve essere funzione della durata di una carriera. È arte e basta. Ma torniamo a Carroli.
È stato il primo baritono che ho ascoltato a teatro: Otello in Scala nel 1976 in una replica in cui subentrava al titolare del ruolo Piero Cappuccilli. Fu uno Jago fantastico, sottile, beffardo, dalle grandi capacità espressive ed istrioniche. Non dimenticherò mai quella recita accanto all’Otello di Carlo Cossutta, altro grande tenore di cui riparlerò. Non a caso, Carlos Kleiber adorava lo Jago di Carroli, ritenendolo addirittura superiore a quello dello stesso Cappuccilli. Poi, in Scala, venne la Tosca nel 1980. In realtà lo spettacolo previsto doveva essere Andrea Chénier con Domingo ma, non ricordo per quale motivo, venne annullato e rimpiazzato da una Tosca con Cecchele e la Marton. Fu una Tosca ripescata in fretta e furia a fine maggio e ne ho un ricordo sbiadito: faceva caldo ed il cast, mi sembrò all’epoca, non completamente adeguato, forse perché nel febbraio di quello stesso anno vi furono le recite della medesima opera con Pavarotti, che venne duramente contestato dal loggione, e l’immenso Ingvar Wixell. Sia come sia, Carroli fu l’unico del cast che mi impressionò per potenza vocale e capacità sceniche.
Vennero infine, i famigerati Lombardi alla prima crociata in cui Carroli interpretava il ruolo di Pagano, nominalmente un basso. Forse perché il ruolo era troppo centrale, forse perché la serata era incentrata su una Dimitrova sublime, ma non in parte, e su un Carreras tutto sommato estraneo al canto del primo Verdi, Carroli non piacque. Che sia chiaro: le qualità erano evidenti, ma la sua interpretazione eccedeva in enfasi verista ed il pubblico impietosamente lo beccò. Fu l’ultima volta che lo si ascoltò in Scala. E fu una perdita secca. Grazie al cielo, il nostro baritono si trasferì armi e bagagli all’Arena di Verona, oltre, ovviamente, agli altri teatri nazionali ed internazionali che frequentò più che assiduamente. Nella città scaligera lo ascoltai innumerevoli volte: Nabucco, Renato del Ballo in maschera, Rigoletto, Ezio in Attila, don Carlo di Vargas in Forza del destino, Amonasro in Aida per restare al repertorio verdiano. E poi Scarpia, Jack Rance in Fanciulla del West, Alfio in Cavalleria rusticana, Barnaba in Gioconda.
Lo ascoltai anche nella Jérusalem di Verdi voluta da Massimo Bogiankino all’Opéra di Parigi (quella vera, intendo: il Palais Garnier) con Luchetti e la Gasdia.
Ciò che impressionava sempre di Carroli era l’immaginazione. Sulla voce si poteva discutere e, tra appassionati, lo si faceva. Ma si capiva sempre che dietro ad ogni personaggio interpretato, anche in quelli per lui più “problematici”, c’era un pensiero, un'idea interpretativa, una luce che ne metteva sempre in risalto le caratteristiche reali. Insomma, un cantante intelligente che non si limitava a buttar fuori la voce a casaccio ma che rifletteva e studiava su ogni frase, oserei dire su ogni parola. Sulla voce si poteva discutere, ho scritto. Ed a questo proposito mi ricordo di una elegante intervista radiofonica rilasciata negli anni Settanta a Radio Tre prima dell’avvento, ahimè, degli attuali becerualdi nazional-popolari. Carroli raccontava che il suo insegnante, all’inizio, voleva impostarlo come Heldentenor wagneriano e che fu lui a decidere di indirizzarsi verso la corda baritonale. Ecco, la voce di Carroli, a tratti, in alto suonava tenorile. Però suonava, nel senso che rispetto agli attuali tapini che diventano viola per emettere un semplice mi bemolle, la voce di Carroli era grande, molto grande. Ed estesa e senza sforzo.
Scarna la sua discografia: segnalo in particolare Il suo Jack Rance in DVD con Domingo e la Neblett ed il suo Scarpia in CD per la Naxos (strepitoso il suo “Te Deum” iniziato pianissimo) che sono punti di riferimento storici e che dovrebbero quantomeno essere fonte di ispirazione per ogni aspirante baritono (medesimo discorso vale per Giangiacomo Guelfi che però, purtroppo, non ho mai sentito a teatro).
L’ultima volta che lo ascoltai fu in un Nabucco all’Arena di Verona che andai a vedere con l’amico di sempre Luca Gorla. Carroli debuttava come Zaccaria e fu strabiliante. Il miglior Zaccaria che io abbia ascoltato in scena a pari merito con Bonaldo Giaiotti.
Se vi capita, andate a vedere le sue interviste su youtube: era un conversatore brillantissimo e piacevole. Ed ascoltate il suo dolente “Ella giammai m’amò” in concerto con il pianoforte. Si lascia indietro molti bassi più avvezzi di lui a questo ruolo.
In definitiva, non arrivò alla fama di un Cappuccillli o di un Bruson. Ma aveva una voce lunghissima che spaziava dal basso al baritono al tenore (esistono registrazioni private anche in questa corda), ed era un artista immenso. Cosa si vuole di più?
Lo scorso aprile se n'è andato. Pochi ne parlarono, noi lo rimpiangemmo.
Carlo Curami
Silvano Carroli: "Nulla silenzio" finale Tabarro - G.Puccini
con Angeles Gulin e Placido Domingo - Madrid 1976
Silvano Carroli: "Credo in un Dio crudel" Otello - G.Verdi