I bemolli sono blu (C. Debussy) |
Lunedì 8 ottobre 2018 |
Giuseppe Albanese - pianoforte |
Claude Debussy |
Cinque Preludi |
1. Des pas sur la neige. Triste et lent |
2. Brouillards. Modéré |
3. La terrasse des audiences du clair de lune. Lent |
4. La sérénade interrompue. Modérément animé |
5. Ondine. Scherzando |
Da Images (Prèmiere Série) |
1. Reflets dans l'eau. Andantino molto |
Due Preludi |
1. Feux d'artifice. Modérément animé |
2. Ce qu'a vu le vent d'Ouest. Animé et tumultueux |
Suite bergamasque |
1. Prélude. Moderato |
2. Menuet. Andantino |
3. Clair de Lune. Andante très expressif |
4. Passepied. Allegretto ma non troppo |
Pour le piano |
1.Prélude. Assez animé et très rythmé |
2. Sarabande. Avec une élégance grave et lente |
3. Toccata. Vif |
L'isle joyeuse |
Una portentosa e complessa reazione alchemica è la cifra che ha caratterizzato il quarto concerto proposto dall’Associazione Chamber Music Trieste per il 17° Festival Pianistico “Giovani interpreti & grandi Maestri”.
Giuseppe Albanese l’ha governata con sapiente pazienza e seguita passo passo assaporandone ogni momento che ha condiviso con un pubblico in attento silenzio, soggiogato dalla musica e coinvolto dalle parole con cui il pianista ha presentato la prima parte del concerto e commentato la seconda.
L’intero programma della serata è stato dedicato, nel centenario dalla morte, a Claude Debussy, autore dell’espressione “I bemolli sono blu”, usata anche come titolo per l’edizione italiana di un suo corposo epistolario.
La “pietra filosofale” è apparsa fin dall’inizio a partire dall’incontro tra interprete e repertorio proposto, fatto questo per niente scontato, ma reso possibile grazie alla consueta sensibilità di Fedra Florit, Direttore Artistico della Chamber Music.
Giuseppe Albanese si muove sulla tastiera con virtuosismo eccellente come di fronte a una tavolozza dai colori più vari, usandoli con sapiente attenzione e combinandoli in modo sempre nuovo, espressione questa di una ricerca incessante e quasi desiderando di sperimentarne l’effetto assieme agli ascoltatori.
Rigore e libertà si compenetrano nella sua arte interpretativa dando a ogni singolo gesto il suo senso preciso, motivato e dotato di un significato profondo, risultato di uno serio studio in cui la tecnica si unisce con l’analisi e l’esperienza, non soltanto musicale ma anche umana.
La prima parte è stata eseguita senza soluzione di continuità, creando un interessante legame tra opere scritte in tempi diversi; la limpidezza e la trasparenza del suono, effetto dello sguardo su un paesaggio immobile non privo di contrasti timbrici nel primo dei Cinque Preludi o il fermento vitale in superficie ma bloccato nelle profondità, contenuto, racchiuso in una bolla e osservato dall’esterno nel secondo cui seguono apparizioni sgranate o contrasti dalle sonorità spagnoleggianti carichi di ombre, improvvisamente troncati; la purezza e giocosità guizzante presente nell’ultimo nel quale non manca una certa qual inquietudine conturbante e minacciosa, torbida nel fondo, vorticosa e terribile.
La padronanza di Albanese si coglie tutta nella composizione tratta da Images e negli altri Due Preludi, espressa con le esplosioni di rara bellezza in Feux d’artifice. Ce qu’a vu le vent d’Ouest conclude la lunga serie e in qualche modo riprende un po’ tutto quello che è stato esposto, evocando sensazioni, emozioni e stati d’animo suscitati dallo scatenarsi degli elementi naturali fluidi e imprevedibili, si tratti di acqua o di aria non importa, come anche da occasioni più tipicamente umane, intime o collettive.
Con la Suite bergamasque si è colta appieno la grande maestria nell’interpretazione di Debussy capace di creare vere e proprie sinestesie tra suoni ascoltati e colori da essi evocati, astrazioni trasfigurate (in particolare nel Menuet) in un gioco di ombre e di immagini oniriche, dolcezze liriche o momenti carichi e decisi alternati con brevi parentesi eteree volteggianti su tutto.
Pour le pianoha incantato con il suo andare e ritornare ad un unico punto d’origine interrotto dalla solennità del secondo movimento per riprendere, nella Toccata, con un moto perpetuo che si risolve aprendosi improvvisamente e riavvolgendosi di nuovo in un combinarsi di forze centrifughe e centripete governate in modo eccelso.
Con la conclusiva L’isle joyeuse si è ritornati alla grazia interna, misteriosa e in qualche modo inquietante dei primi Preludi proposti, richiamando alla memoria alcuni quadri di Arnold Böcklin e travolgendo con una bellezza quasi insostenibile, stregata e straniante.
L’esuberanza di Albanese si è confermata nei due bis e in particolare nel primo: La Valse di Maurice Ravel eseguita con un’espressività riscontrabile nelle opere di Hugo von Hofmannsthal o di Arthur Schnitzler.
La recensione si riferisce al concerto dell'8 ottobre 2018
Paola Pini