Minnie | Irene Cerboncini |
Jack Rance, lo sceriffo | Luca Grassi |
Dick Johnson/Ramerrez | Alejandro Roy |
Nick | Fabio Serani |
Ashby | Ivan Marino |
Sonora | Luca Bruno |
Trin | Alberto Petricca |
Sid | Andrea Del Conte |
Bello | Francesco Lombardi |
Harry | Marco Voleri |
Joe | Tiziano Barontini |
Happy | Michele Perrela |
Larkens | Andrea De Campo |
Billy Jackrabbit | Alessandro Ceccarini |
Wowkle | Annunziata Vestri |
Jake Wallace | Daniele Caputo |
Josè Castro | Massimo Schillaci |
Un postiglione | Matteo Bagni |
Direttore | Gianna Fratta |
Regia, Scene e Costumi | Renzo Giacchieri |
Luci | Nino Napoletano |
Assistente alla Regia | Luca Ramacciotti |
Maestro del Coro | Roberto Ardigò |
Orchestra della Toscana | |
Coro del Festival Puccini di Torre del Lago | |
Nuovo allestimento del Festival Pucciniano |
Il cambio del direttore e della protagonista, con tutto il resto identico alla recita precedente, può comportare un esito radicalmente diverso di uno spettacolo, anche se tutto il resto rimane uguale alla prima e anche se si parla della Fanciulla del West, che di personaggi ne ha innumerevoli. Nel caso della Fanciulla del Pucciniano Gianna Fratta è subentrata ad Alberto Veronesi sul podio dell'Orchestra della Toscana e Irene Cerboncini a Maria Guleghina come Minnie.
La direzione in occasione della prima era parsa poco significativa, un po' persa a cercare il bandolo della matassa dietro le incertezze vocali della Guleghina, e fiacca nel primo atto. Un primo atto, particolarmente difficoltoso per la frastagliata scrittura, che ha fatto temere un analogo esito direttoriale anche in questa unica replica dello spettacolo, con la Fratta molto guardinga, lenta e un filo pesante per tenere insieme la narrazione con la miriade di frasi, frasette e microscene create da Puccini. Ma già dal duetto finale tra soprano e tenore la direzione ha preso quota, per poi distendersi e caratterizzarsi nei due atti successivi, dando vita a una lettura interessante e personale, che pare levigare le asprezze della partitura in un fluire melodico intenso e appassionato, limpida nel restituire i colori orchestrali e precisa nel dosare i rapporti tra buca e palcoscenico.
I due interpreti principali maschili hanno ripetuto le prove della prima, con un leggero progresso per il già buon Dick Johnson / Ramerrez di Alejandro Roy, ancora più disinvolto nel mettere in mostra la sicurezza e la proiezione del suo registro acuto e un progresso più significativo per lo Sceriffo di Luca Grassi, che almeno nel secondo atto è riuscito a colorire le frasi con maggiore intensità rispetto a quanto ascoltato alla recita del 12 luglio, ferma restando la correttezza nel canto e la signorilità nell'interpretazione.
Era facile far meglio di una Guleghina in palese difficoltà, ma Irene Cerboncini si è dimostrata una Minnie di tutto rispetto, a prescindere dal paragone con la celebre collega.
C'è un numero abbastanza significativo di cantanti - per lo più soprani, in Italia (non saprei dire se lo stesso accade all'estero) - che per motivi inspiegabili cantano poco o pochissimo rispetto al reale valore. I nomi sono ben noti a chi segue, con un minimo di approfondimento, il teatro musicale, ma sembrano essere sconosciuti proprio ai responsabili delle scelte dei cast, dove si ritrovano spesso o i soliti prezzemolini o voci sottodimensionate per i rispettivi ruoli. La Cerboncini, che pure ha una buona carriera alle spalle, mi pare possa ben rientrare nella categoria dei soprani non adeguatamente valorizzati, vista la caratura vocale importante e la sicurezza e generosità con cui affronta un ruolo dalla scrittura tanto scomoda. Qualità che le hanno consentito di arrivare senza fatica (salvo giusto un veniale accenno all'inizio del terzo atto) alla fine dell'opera, con gli ultimi due acuti ancora impressionanti per volume, che hanno bucato il fortissimo orchestrale e il coro.
La voce, che è pure di buona qualità timbrica, è sonora (e parecchio) soprattutto in zona centro-acuta, ma anche le frasi discendenti sono risolte senza aprire il suono. La dinamica è un po' limitata attorno al mezzoforte e al forte, anche se a dire il vero il ruolo non consente un gran numero di sfumature e di pianissimi. Il fraseggio, l'interpretazione e la presenza scenica sono convenzionali, ma governati dal buon gusto.
Onore al Festival che le ha concesso almeno una recita per farsi ascoltare in questo ruolo, anche se a dire il vero all'inizio era previsto in cartellone il ripescaggio dalla Georgia nientemeno che di Tamar Iveri (che una fuoriclasse non è mai stata neanche quando cantava nei più grandi teatri), ostracizzata da cinque anni da tutte le opera house del mondo dopo la vicenda legata a presunte dichiarazioni “social” pesantemente omofobe. E, per inciso e per il gusto di divagare, a parte lo squallore delle frasi che si lessero sulla stampa, la condotta che le fu addebitata parve l'esatto contrario di un modello di furbizia, in un ambiente come quello operistico. Come che sia, poi la Iveri è sparita dal cast e si è ascoltata (volentieri) la Cerboncini.
Sul coro, sull'allestimento di Renzo Giacchieri, qui più apparso più rodato rispetto alla prima, e sul folto stuolo di comprimari si rimanda a quanto scritto nella recensione della recita inaugurale del Festival, confermando la lode per il notevole impegno profuso dagli interpreti dei ruoli di contorno, tanto importanti soprattutto nel primo e terzo atto, i quali meritano nuovamente di essere citati uno ad uno: Ivan Marino (Ashby), Alberto Petricca (Trin), Andrea Del Conte (Sid), Francesco Lombardi (Bello), Marco Voleri (Harry), Tiziano Barontini (Joe), Michele Perrella (Happy), Andrea De Campo (Larkens), Daniele Caputo (Jack Wallace), Massimo Schillaci (José Castro), Matteo Bagni (Un postiglione). Ferme restanti, poi, le ottime prove di Fabio Serani come Nick e Annunziata Vestri come Wowkle, già lodati nella precedente recensione, rispetto alla prima è apparso più preciso il Billy Jackrabbit di Alessandro Ceccarini e molto convincente si è rivelato Luca Bruno nelle importanti frasi di Sonora del terzo atto. Tutti premiati da caldi applausi, al pari dei protagonisti e della direttrice.
La recensione si riferisce alla recita del 26 luglio 2019.
Fabrizio Moschini