Mimi | Elena Mosuc |
Musetta | Lana Kos |
Rodolfo | Francesco Demuro |
Marcello | Mauro Bonfanti |
Schaunard | Daniele Caputo |
Colline | Alessandro Guerzoni |
Benoit | Angelo Nardinocchi |
Alcindoro | Carmine Monaco D'Ambrosia |
Parpignol | Federico Bulletti |
Direttore | Alberto Veronesi |
Regia | Alfonso Signorini |
Scene e Costumi | Leila Fteita |
Disegno luci | Valerio Alfieri |
Maestro del Coro di voci bianche | Viviana Apicella |
Orchestra e Coro del Teatro di Tblisi | |
Coro delle voci bianche del Festival Puccini |
Ci ha riprovato Alfonso Signorini, malgrado qualche critica (nessuna troppo pesante, a dire il vero) ricevuta lo scorso anno per una Turandot che parve più inutile che brutta. Allora la cura di certi bei particolari (i costumi, i leoni costruiti dai vicini artigiani del carnevale viareggino) venne assorbita da alcune ingenuità. Nella Bohème che ha debuttato nei giorni scorsi a Torre del Lago la lezione pare essere stata assimilata in buona parte e il giornalista ha creato uno spettacolo non innovativo, ma stilisticamente coerente e ben costruito. Impianto tradizionale, ma con le scene della vita di Bohème che vengono raccontate con occhio incantato, come una fiaba dal finale amaro, più che vero e proprio dramma, con colori pastello tono su tono a caratterizzare l'impatto visivo e una Parigi più idealmente zuccherosa che realistica. “E qui la luna l'abbiamo vicina”: e la luna, quella vera, in tutte le fasi dell'eclissi sormontava la scena durante la prima rappresentazione.
Anche la recitazione degli interpreti principali era nel solco della tradizione, ma apprezzabilmente risolta, al pari dei movimenti delle masse nel sempre critico secondo quadro. Allestimento molto dignitoso, quindi, con un paio di indovinate soluzioni da parte del light designer Valerio Alfieri che fa filtrare la luce in modo suggestivo nella soffitta degli amici attraverso il solito lucernario e una controscena assai ben ben realizzata nel terzo quadro, dove si lascia intravedere quel che avviene all'interno del locale dove lavora Marcello.
Pessima idea, anche se al di fuori dello spettacolo vero e proprio, proiettare ai lati della scena, durante i lunghi tre (!) intervalli, immagini in bianco e nero del “dietro le quinte” e con commento musicale amplificato costituito dalla Callas che canta a ripetizione “Sì, mi chiamano Mimì”. Trovata non proprio di buon gusto, che alla seconda volta annoia e alla decima suscita istinti violenti.
Poco fiabesca la direzione di Alberto Veronesi, sul podio dell'Orchestra del Teatro di Tbilisi (che sostituisce per alcuni giorni i complessi del Pucciniano, in tournée a Savonlinna), la quale già nella Manon Lescaut aveva dato prova di essere compagine non più che volenterosa, ma che in questa Bohème pasticcia e non poco, al pari dei colleghi georgiani del coro. In particolare la prima metà del primo atto è quasi imbarazzante e a tratti i solisti paiono cantare a cappella tanto poco si ode il suono degli strumenti. A partire dal secondo atto la situazione pare relativamente assestarsi, anche se gli scollamenti tra buca e palcoscenico si susseguono, al pari di accelerazioni alternate a rallentamenti, senza che se ne capisca il senso.
Chi pare impermeabile a quanto avviene nel golfo mistico è Francesco Demuro, padrone del personaggio, che va dritto per la sua strada, “dirigendosi” in pratica da solo. Il tenore è temperamentoso, sicuro nel canto a tutte le altezze, preciso nella dizione e smaliziato attore e fraseggiatore, così da disegnare un Rodolfo giovane, appassionato, senza sdolcinature, ma capace di commuovere nello strazio sul corpo inerte di Mimì persino chi ha già ascoltato quest'opera parecchie decine di volte. Poco importa che la voce non sia enorme, né vellutata, giacché è omogenea e ben emessa, tecnicamente a posto e capace di eseguire la “Manina” in tono.
Deludente, considerando il prestigio del nome, Elena Mosuc come Mimì. Non nuova ad escursioni nel repertorio lirico (pure in Puccini; fu pregevole Liù proprio a Torre del Lago nel 2013), la nota belcantista è parsa poco a suo agio con il ruolo o in cattiva serata, in particolare nel primo atto, dove i languidi abbandoni della fioraia vengono tarpati dall'oscillazione dello strumento e dalla difficoltà a sostenere i suoni. Certo, si avverte che si sta ascoltando una cantante di rango, quanto meno nella proiezione del suono e nelle intenzioni interpretative di certe frasi di un terzo atto che la vede in ripresa. Destino vuole che l'orchestra sbagli la tonalità di un passaggio interrompendo il fluire di un “Donde lieta uscì” che stava riuscendo come il suo miglior momento della serata.
Lana Kos è una gradevole Musetta, un filo trattenuta nel secondo atto in cui è comunque civetta senza mai scadere nella volgarità, brillante e intensa nei due atti successivi, dove accenta in modo appropriato ogni frase.
Mauro Bonfanti è quanto meno personale nel suo costruire un Marcello aggressivo ed esagitato, poco fluido nel canto e quasi espressionista nello stile. È opinione comune e condivisibile che Puccini e Strauss abbiano molti legami, ma che Marcello anticipi Jochanaan è singolare. Il sempre ottimo Demuro pare prenderlo per mano e lo conduce a placare l'animo e ad interpretare con maggior misura un “O Mimì tu più non torni” che costituisce il suo miglior momento, curiosamente non applaudito da un pubblico un po' eccentrico che per il resto applaude tutto e tutti, durante lo spettacolo e al suo termine.
Alessandro Guerzoni possiede voce di basso importante quanto a volume e nelle scene di assieme emerge con facilità sui tre amici. Il canto non è molto preciso, però, e l'appuntamento con la “Zimarra” lo trova in difficoltà di intonazione, cosa che non gli impedisce di raccogliere consensi al termine del brano. Daniele Caputo se la cava discretamente come Schaunard, interpretato con gusto ed equilibrio. Angelo Nardinocchi e Carmine Monaco D'Ambrosia sono una sicurezza nei rispettivi ruoli di Benoit e Alcindoro e Federico Bulletti come Parpignol conferma le positive impressioni della sera precedente in cui era il Maestro di ballo di Manon Lescaut. Buono il coro di voci bianche preparato da Viviana Apicella.
Pubblico molto numeroso, con il Gran teatro al'aperto dal bel colpo d'occhio, anche se non esaurito.
La recensione si riferisce alla prima del 27 luglio 2018.
Fabrizio Moschini