Fiordiligi | Maria Bengtsson |
Dorabella | Paola Gardina |
Guglielmo | Alessio Arduini |
Ferrando | Pavel Kolgatin |
Despina | Emmanuelle De Negri |
Don Alfonso | Marco Filippo Romano |
Direttore | Riccardo Muti |
Regia | Chiara Muti |
Scene | Leila Fteita |
Costumi | Alessandro Lai |
Luci | Vincent Longuemare |
Maestro del Coro | Gea Garatti |
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo | |
Nuova Produzione del Teatro di San Carlo in coproduzione con Wiener Staatsoper |
Finalmente al San Carlo è arrivato il giorno dell'inaugurazione della Stagione 2018-2019 col ritorno di Riccardo Muti sul podio in un titolo operistico, il mozartiano Così fan tutte in coproduzione con la Staatsoper di Vienna dove andrà in scena nel 2020.
L'evento sana definitivamente una frattura che nel lontano 1984 scompose i rapporti fra il musicista e le maestranze napoletane ai tempi di uno sfortunato Macbeth, dopo il quale il direttore decise di non avere più rapporti col San Carlo, proposito mantenuto per molti anni.
Ecco spiegata la relativa eccezionalità dell'evento, annunciato con una conferenza stampa già un anno fa, che ha spinto il management del San Carlo a praticare una politica di prezzi (altissimi, motivata come fund-raising) che ha acceso le immancabili polemiche social fra gli appassionati, coi soliti malpensanti che hanno definito provinciale tale atteggiamento, sebbene sia pur vero che in un’istituzione così importante, l’arrivo di un direttore d’orchestra di livello dovrebbe essere un fatto abituale e non un’eccezione per la quale gonfiare il petto già un anno prima.
Ma a parte questi discorsi che esulano dalle competenze di una recensione, dal punto di vista artistico qual è l'impressione lasciata da questa edizione dell’immenso capolavoro mozartiano? L'orchestra del San Carlo ha suonato benissimo, con levità esemplare e con un controllo che ha evitato sbavature anche nelle sezioni abitualmente più critiche come legni e ottoni.
Muti che inutile negarlo ha il suo carisma, ha diretto con tempi a tratti inaspettatamente lenti, come ad esempio nell'Ouverture (eseguita per fortuna a sipario chiuso e senza pantomime) e con suoni leggeri ma mai inconsistenti. Anche i momenti più concitati mostravano una distensione che ne metteva in luce filigrane insospettate e con un perfetto legato orchestrale. Basti considerarte le veementi scansioni del recitativo di Dorabella che precede Smanie implacabili, qui rese con lirismo più che con impeto, o l'impalpabilità del quintetto Di scrivermi ogni giorno. A volte lo spirito meditativo ha tolto un po' di nerbo ad una vicenda che è fatta anche di carne e di passione, ma nel complesso si è trattato di un'esecuzione a suo modo esemplare.
Maria Bengtsson ha messo in mostra come Fiordiligi un bel timbro di soprano lirico, appena velato ma capace di preziosismi tecnici (filati, mezzevoci). Non le manca il senso del fraseggio ed infatti Per pietà ben mio perdona è eseguito con profonda immedesimazione (peccato solo che non accenti come merita quel fondamentale "tradimento" che chiude il recitativo), ma in Come scoglio la difficile scrittura mozartiana mette in luce qualche limite nell'estensione verso il basso.
Più ricco e pieno il timbro di Paola Gardina la quale, oltre a cantare benissimo, si dimostra commediante ricca di ironia e senso dell'umorismo che traspare da tanti gesti ed espressioni, fino alla buffa camminata in ginocchio verso i finti agonizzanti. Una prova che diverte e dona un certo quid alla sua Dorabella, ed è inutile dire che questo spiccato intuito per le situazioni sceniche si riflette anche nella parola cantata, a cui la cantante veneta dona sbalzo e risalto.
Don Alfonso è qui un vecchio filosofo abbastanza bonario e privo di quella fredda crudezza a cui siamo abituati. Marco Filippo Romano entra perfettamente nella parte e rende lo spirito teatrale di ogni battuta facendo tesoro dei tre brevi cantabili che esemplificano la sua morale, il tutto con una pienezza vocale penalizzata solo da qualche nasalità.
Emmanuelle De Negri è una Despina vivace e impudente come da copione, brava anche nei travestimenti da medico e notaio, a cui stavolta si aggiunge anche quello da Cupido in mongofiera. Habituée del repertorio antico, non stupisce che si trovi a suo agio nella scrittura mozartiana, e che sappia dare valore alla parola cantata nei concertati e nelle due arie. Sorprende di più, per contro, che esegua i recitativi con una velocità e una certa monotonia di accenti che toglie loro mordente.
Pavel Kolgatin dona a Ferrando l'impeto nervoso dell'innamorato che si rende presto conto dei rischi di quello che sembrava solo un gioco un po' azzardato. Con timbro chiaro da tenore di grazia, linea di canto pulita e fresca, il tenore russo emerge bene nei numeri d'insieme e nell'attesa Aura amorosa che gli vale un applauso prolungato.
Meno incline a dubbi e incertezze, Guglielmo trova il corrispettivo musicale del suo carattere nella solida vocalità baritonale e nella varietà di inflessioni di Alessio Arduini, tanto negli accenti volitivi della prima parte quanto in quelli ugualmente determinati nella furia della delusione (Donne mie la fate a tanti).
Sappiamo bene che in Così fan tutte il Coro non ha certo un ruolo preponderante. Quel poco che canta però è di tale bellezza che si è sempre grati quando viene reso al meglio. Il Coro del San Carlo diretto da Gea Garatti Ansini pare in continua crescita qualitativa, e si è fatto apprezzare per la scrupolosa classicità delle armonie, espressività e compiuto inserimento nel disegno musicale complessivo.
La scena di Leila Fteita era composta da pareti grigie con alcune porte sui lati e chiusa sullo sfondo da pannelli che aprendosi svelavano l'argento di un mare che poteva essere il nostro Mediterraneo. Questo impianto-contenitore diventa il giardino a labirinto del secondo atto ed in altri momenti vi trovano spazio i più disparati elementi scenici in un crescendo di bizzarrie: campo di pallacorda, alcove, sedie a sdraio con ombrellini parasole, cavallini a dondolo fino a una giostra e addirittura la mongolfiera sulla quale Despina-Cupido arriva a propiziare i nuovi legami amorosi.
Chiara Muti crea uno spettacolo gradevole, leggero, che acquista carica teatrale in crescendo con l'andare avanti della vicenda, con più di uno spunto di ironia e le giuste sottolineature comiche. La prima parte dell'opera è giocata sui toni di un divertimento delicato, quasi a passo di danza che trova il corrispondente visivo nei tanti veli delle interpreti femminili, nelle partita a pallacorda o nella mosca cieca nel giardino delle fanciulle.
Alla vicenda dona due colori ben distinti assecondati dai romantici costumi di Alessandro Lai: il predominante bianco-azzurrino dell'innocenza, nella prima parte e il rosso della passione che si fa strada man mano prima con le uniformi dei due finti Cavalieri albanesi e nel secondo atto, quando anche le luci (di Vincent Longuemare) si fanno più calde e dirette, con le mantelle che le due protagoniste indossano nelle scene di seduzione, mantello che viene guardato quasi con disgusto da Fiordiligi dopo il rondò con cui crede di avere vinto il desiderio. Proprio la seconda parte, da quando l'intreccio comincia ad infittirsi, è quella in cui lo spettacolo trova una maggiore vivacità, mentre all'inizio la gradevolezza visiva resta nell'ambito di una certa freddezza scenica.
Quello che la Muti mutua dalle regie più moderne, è la volontà di affollare la scena con presenze indefinibili, ancelle, amici o servitori, impegnati in controscene che non sono disturbanti ma a volte distraggono. Molte comunque le intuizioni felici e le notazioni piacevoli come il vivace finale primo dove la Despina-dottore affida una calamita anche alle due ragazze e il nastro che le collega tutte, col movimento delle mani, simula il vero propagarsi di un'onda di energia.
San Carlo gremito ma non esaurito, applausi a scena aperta prima più rari e di circostanza, poi più calorosi fino alla convinta ovazione finale.
La recensione si riferisce alla rappresentazione del 27 novembre 2018.
Bruno Tredicine