Francesca | Leonor Bonilla |
Paolo | Aya Wakizono |
Lanciotto | Merto Sungu |
Guido | Antonio Di Matteo |
Isaura | Larisa Martinez |
Guelfo | Ivan Ayon Rivas |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Disegno luci | Camilla Piccioni |
Coreografie | Gheorghe Iancu |
Direttore | Fabio Luisi |
Maestro del coro | Cornel Groza |
Orchestra Internazionale d'Italia | |
Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca | |
Primo ballerino e assistente alla coreografia | Francesco Marzola |
Con la partecipazione straordinaria di | Letizia Giuliani |
Danzatori | Paolo Bruno |
Anita Caprara | |
Alessandro Colaninno | |
Antonella Colella | |
Silvia Di Pierro | |
Diletta Filippetto | |
Giovanni Fumarola | |
Cristian Leuci | |
Giovanna Pagone | |
Lara Angela Rocco | |
Raffaele Vittozzi | |
Edizione critica a cura di Elisabetta Pasquini | |
Prima rappresentazione assoluta |
Saverio Mercadante scrisse la Francesca da Rimini nel 1831 durante il secondo soggiorno madrileno ma, per ragioni ancora oggi non del tutto svelate, non andò mai in scena nonostante i tentativi di farla rappresentare, in seguito, a Milano, Parigi e Londra, finendo per incrementare il numero dei melodrammi inediti. E' molto probabile che, a influire negativamente sulle vicende dell'opera nella capitale spagnola, abbia contribuito la presenza del soprano Adelaide Tosi, in pessima forma vocale e non interessata, evidentemente, a vestire i panni dell'eroina del compositore altamurano.
Centoottantacinque anni dopo questi fatti, il Festival della Valle d'Itria ha recuperato l'opera mercadantiana facendone lo spettacolo di punta della 42^ edizione, dando un ulteriore apporto alla conoscenza di un lavoro ispirato ad un personaggio cantato dal “sommo poeta” nel V canto dell'Inferno, della Divina commedia, con versi tra i più poetici mai scritti. Il melodramma italiano recepì ampiamente la riscoperta ottocentesca di questa figura femminile ispirata ad un fatto realmente accaduto tra il 1283 e il 1285 attraverso le fonti conosciute (Dante e Boccaccio), mediate dalla tragedia che Silvio Pellico scrisse tra il 1814 e il 1815, senza dubbio, uno dei maggiori successi teatrali dell’Ottocento. Le vicende dei due cognati, Francesca e Paolo, hanno rappresentato un serbatoio infinito di dinamiche e di situazioni che ben si prestavano alle intenzioni del drammaturgo, tant’è che Pellico inserì, rispetto al testo dantesco e alla leggenda del matrimonio per procura riportata nel commento al poema da Boccaccio, un elemento nuovo ed originale: Francesca è convinta di odiare Paolo che in guerra ha ucciso suo fratello, ma quando lo rivede, dopo diversi anni di lontananza, scopre di esserne innamorata. Elemento sfruttato abilmente nella versione librettistica stilata da Felice Romani per Mercadante, il che conferma la capacità di assimilazione e trasformazione di un soggetto da parte del poeta e giornalista piemontese, tra i pochi a portare sulla scena un intero episodio della Commedia.
In questo senso, risulta estremamente significativa la scelta del librettista di distanziarsi dal modello di una passione purificata dal reato di adulterio per rendere alla protagonista l’umanità della stessa. L’amore e la colpa diventano, così, una realtà imprescindibile, la forza stessa del dramma che continua a consumarsi nei rimorsi quale logica conseguenza di un peccato reale.
Un’opera come questa, senza tradizione interpretativa né scenica né musicale, ha portato Pierluigi Pizzi, tornato a Martina Franca vent'anni dopo il memorabile successo della sua Grande-duchesse de Gérolstein di Offenbach, alla ricerca di un linguaggio figurativo adatto al nostro tempo, ad ideare uno spettacolo (regia, scene e costumi) d'inquietante e tenebrosa visionarietà che tiene ben presente Dante e la sua prima cantica, bardando l’atrio di Palazzo Ducale, privo di una scenografia propriamente detta, di velari neri (che evocano l'Inferno), all’interno del quale, con l’aiuto del vento, i protagonisti, vestendo abiti leggeri e fluttuanti segnati dal cromatismo rosso, glicine e azzurro, venivano avvolti dalle loro passioni che le azioni coreografiche di Gheorghe Iancu rendevano ancor più fluttuanti secondo gli stilemi del balletto romantico.
Spostandoci sul versante musicale, l'opera di Mercadante risente dell'influenza dello stile rossiniano e non presenta ancora quella libertà strutturale e continuità drammatica che svilupperà a partire dal Giuramento. Francesca da Rimini è un tipico “prodotto” degli anni Trenta dell''800, dalle tinte fosche, che utilizza formule musicali consolidate e ripetitive soprattutto dal punto di vista vocale dove emerge una scrittura fortemente virtuosistica (vedi la cavatina della protagonista nel primo atto e l'aria con coro del secondo) con arpa e corno inglese obbligati.
Fabio Luisi ha fornito un saggio della sua vocazione “mercadantiana” dandone un’esecuzione calibratissima e saldamente bilanciata tra parche concitazioni sonore ed ampi respiri melodici tenendo saldamente in pugno l'Orchestra Internazionale d'Italia.
Di non minore qualità la resa del Coro della Filarmonica di Stato “Transilvania” di Cluj-Napoca diretto da Cornel Groza e del corpo di ballo.
Nel ruolo del titolo il soprano Leonor Bonilla si è rivelata interprete intelligente, dotata di una voce duttile, ricca di sfumature e sicura nelle agili volute del canto fiorito. Scenicamente è apparsa del tutto persuasiva.
Il contralto Aya Wakizono ha delineato la figura en travesti di Paolo in tutte le sue sfaccettature attraverso un canto da cui è emerso il controllo della tecnica e dello stile belcantistico, offrendo momenti di grande intensità interpretativa.
Il tenore Merto Sungu, nel difficile ruolo di Lanciotto ha dimostrato di essere un cantante completo, facendo vibrare la corda dell’emozione fraseggiando da fuoriclasse e offrendo una prova vocale rimarchevole.
Più che positivo l'impegno offerto dagli altri interpreti con Antonio Di Matteo che ha dato risalto al personaggio di Guido, Larisa Martinez e Ivan Ayon Rivas rispettivamente Isaura e Guelfo.
Il pubblico numerosissimo è parso particolarmente soddisfatto e alla fine ha accomunato tutti gli artefici dello spettacolo in un lungo ed entusiastico applauso.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 30 Luglio 2016
Dino Foresio