Violetta Valéry | Jessica Nuccio |
Flora Bervoix | Nikoleta Kapetanidou |
Annina | Julia Costa |
Alfredo Germont | Iván Ayón Rivas |
Giorgio Germont | Simone Del Savio |
Gastone | Antonio Garés |
Barone Douphol | Francesco Samuele Venuti |
Marchese d'Obigny | Min Kim |
Dottor Grenvil | Shuxin Li |
Giuseppe | Davide Ciarrocchi |
Un domestico | Egidio Massimo Naccarato |
Commissionario | Giovanni Mazzei |
Direttore | Sebastiano Rolli |
Progetto drammaturgico e regia | Francesco Micheli |
Regia ripresa da | Valentino Villa |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Alessio Rosati |
Luci | Daniele Naldi |
Riprese da | Alessandro Tutini |
Maestro del Coro | Lorenzo Fratini |
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino |
Siamo alla terza riproposta di questa Traviata, nata nel settembre 2018 (vedi recensione di Fabrizio Moschini) in occasione della messa in scena della cosiddetta trilogia popolare verdiana secondo Francesco Micheli e ripresentata dopo nemmeno due mesi con un altro cast. Di cosa io pensi del lavoro del regista bergamasco (ripreso con cura da Valentino Villa) credo apparisse chiaro già nel mio articolo su Rigoletto. Quindi, una volta lodate le luci di Daniele Naldi (riprese da Alessandro Tutini) e i fantasiosi costumi di Alessio Rosati, non posso che ribadire quanto a mio parere Micheli pasticci con la drammaturgia dell’opera, raggiungendo risultati particolarmente imbarazzanti nel lungo duetto Violetta – Giorgio Germont; questo viene trasformato inopinatamente in un quartetto con due personaggi muti (la sorella di Alfredo e il di lei promesso sposo), che interagiscono con i protagonisti fino all’abbraccio di solidarietà (?) femminile tra le due donne al momento in cui la protagonista decide di sottostare ai desiderata dell’invadente terzetto. Ma si tratta solo dell’esempio più vistoso. Che dire del simbolismo d’accatto delle bambolone che scendono dall’alto, poi usate come partner dagli uomini nella festa del primo atto; o ancora del gesticolare a scatti, tipo marionette dei convitati nelle scene pubbliche? Ci sarebbe poi da parlare dei movimenti del coro che non vanno molto al di là dei più risaputi stilemi o di alcune belle pensate tipo quella di far eseguire a Violetta Addio del passato camminando sui cassetti aperti di un grande mobile (immagino con quale gioia del soprano, non esattamente a suo agio nell’impresa). Meno male (per il soprano intendo) che detta aria era ridotta al solito moncherino e quindi i patemi d’animo erano limitati.
E qui ci sarebbe da aprire un altro capitolo relativo ai tagli. Sebastiano Rolli, come già Carminati nell’Elisir d’amore ultimo scorso, opta per una versione che accoglie quasi tutte le sforbiciature di tradizione. Eppure sia Rolli, sia Carminati, in altre occasioni, avevano scelto la via dell’integralità. Forse che una stagione estiva deve essere popolare e non avere la dignità di uno spettacolo del Maggio? Peccato perché la lettura del direttore colornese è assai interessante, con uno spiccato senso della narrazione, sempre coerente e incalzante, senza però sacrificare colori e dinamiche, che sono anzi privilegiati. Come curato è il suono orchestrale (e l’Orchestra del Maggio risponde da par suo) e ben equilibrati sono i rapporti con il palcoscenico.
La compagnia di canto schiera due notevoli interpreti. Jessica Nuccio ha uno strumento sonoro, che nella seconda ottava diviene quasi insolente. Non viene però trascurato il canto sfumato, con una gamma dinamica molto ricca, grazie a una tecnica che le permette di emettere, a fronte di note assai ricche di suono, pianissimi impalpabili, sempre sostenuti dal fiato, che corrono per il teatro a meraviglia. L’espressività si rifà a modelli che privilegiano la componente angelo caduto (per dirla con Celletti). Quindi l’interpretazione eccelle nei toni patetici e tende a delineare una donna dolce e patetica, anche un po’ remissiva, aliena da fraseggi nervosi e incisivi. La ribellione iniziale contro Germont è blanda e si intuisce subito che soccomberà al suo volere, quasi credesse intimamente di non meritare tanta felicità. Una lettura plausibile che vanta illustri precedenti ed è condotta con coerenza e con una tenuta vocale ammirevole. Infatti, una volta superato tutto sommato onorevolmente lo scoglio del finale primo, l’artista palermitana vince tutte le insidie della lunga parte per arrivare all’ultimo atto non solo freschissima (e va tenuto conto che l’opera è rappresentata con un solo intervallo dopo il primo atto) ma capace di dipanare il gioco dinamico dell’Addio del passato con una tecnica d’alta scuola; tecnica che le permette di giungere a risultati di grande intensità emotiva (e di filare alla perfezione il la acuto conclusivo come raramente si sente dal vivo).
Altro elemento di spicco è il baritono Simone del Savio, che ripropone il suo Germont padre e risulta inteprete sensibile, sicuro ed espressivo. La voce è sonora ma capace di piegarsi alle più delicate sfumature affettive, mentre l’attore delinea un personaggio meno odioso del solito; un capo famiglia che si deve comportare come le convenienze e le leggi sociali gli impongono, ma lo fa con una certa umanità, senza il minimo di arroganza. Sembra anzi mostrare una certa comprensione, se non simpatia, per Violetta.
Iván Ayón Rivas non appare nelle migliori condizioni vocali; o per lo meno sembra meno in forma della sua precedente apparizione fiorentina in Rigoletto nel novembre dell’anno scorso. Spiana le fiorettature del Brindisi, le dinamiche sono limitate al forte e al mezzoforte (bisogna aspettare Parigi o cara per sentire qualche piano), tenerezza e accento amoroso latitano. La voce ha buona proiezione e sarebbe anche ben dotata da madre natura, solo che a forza di alzare il volume incappa in un piccolo incidente nella cabaletta del secondo atto (e il fatto che, a quanto mi dicono, il problema si sia ripresentato anche in una replica dovrebbe far riflettere, soprattutto l’interessato). La baldanza espressiva e la figura giovane, come già nella raffigurazione del Duca di Mantova, ispirano simpatia, ma credo che sarebbe necessario un ripensamento riguardo allo sperpero di tanto ben di dio.
Tra i ruoli non protagonistici spicca il Barone Douphol del giovane Francesco Samuele Venuti, dall’accento energico e dalle attitudini attoriali in notevole evidenza, e si segnala positivamente anche l’Annina affettuosa di Julia Costa. Gli altri (la Flora di Nikoleta Kapetanidou, il Gastone di Antonio Garés, il Marchese d’Obigny di Min Kim, il Dottor Grenvil di Shuxin Li) non vanno oltre una generica correttezza.
Completano il cast con professionalità Davide Ciarrocchi (Giuseppe), Egidio Massimo Naccarato (Un domestico), Giovanni Mazzei (Commissionario).
Bene il Coro del Maggio diretto da Lorenzo Fratini.
Al termine applausi convinti; particolarmente nutriti, giustamente, per Jessica Nuccio e Simone Del Savio.
La recensione si riferisce alla recita del 24 luglio 2019.
Silvano Capecchi