QUARTETTO DI CREMONA |
Cristiano Gualco, violino |
Paolo Andreoli, violino |
Simone Gramaglia, viola |
Giovanni Scaglione, violoncello |
ANNA GENIUSHENE, pianoforte |
Anton Webern |
Langsamer Satz |
Dmitrj Shostakovich |
Quintetto con pianoforte in sol min. op. 57 |
Cèsar Franck |
Quintetto con pianoforte in fa min. |
I due quintetti-capolavoro di Shostakovich e Franck rischiano in questo concerto di far passare in secondo piano (posto com'è quasi a fare da "aperitivo" alla serata) lo straordinario Langsamersatz di Anton Webern, che, vista la sua relativa rarità di esecuzione, sarà stato una bella sorpresa per il pubblico fiorentino. Scritto da Webern durante l'estate del 1905 nel corso di una vacanza con Wilhelmine Mõrtl, che pochi anni dopo diventerà sua moglie, appare come uno straordinario anello di congiunzione tra il post-romanticismo ed il Novecento. Lontano dal Webern maturo e "difficile" che tutti conoscono (o dovrebbero conoscere), il brano presenta un linguaggio che nella lettura del Quartetto di Cremona sembra farsi reminiscenza dell'Ottocento affascinante di Wagner Mahler e Brahms: senza alcuna premonizione del secolo appena iniziato, anzi quasi come un ripiegamento su se stesso, nostalgico ed apparentemente senza sbocchi.
Per quanto riguarda il resto del programma va detto che il Quintetto op. 57 di Dmitri Shostakovich risale all'anno 1940 quando il musicista, dopo che le sue composizioni tra le quali la Lady Macbeth del Distretto Mzensk non erano state affatto apprezzate dal regime sovietico, aveva per così dire gettato alle ortiche ogni modernismo e sperimentalismo per cullarsi in un linguaggio di apparente normalità e quasi sereno. Ma si tratta di una normalità apparente: infatti basta ascoltare lo stupefacente Scherzo del Quintetto per capire che il fuoco covava sotto la cenere, e per riconoscere il sarcasmo dell'autore indirizzato forse verso chi gli impediva di esprimersi liberamente (sembra che Stalin assistendo al Bolshoj ad una recita della Lady Macbeth se ne sia andato durante il primo intervallo). Il Quintetto di Franck è invece degli anni 1878-79 e fu dedicato a Camille Saint-Saëns, che sedeva al pianoforte alla première anche se pare che il dedicatario non abbia apprezzato molto la composizione, considerata invece uno dei capisaldi della letteratura cameristica francese, opera di grande ispirazione, di grande sapienza compositiva e di indubbio effetto sul pubblico.
L'inserimento di un nuovo elemento in un complesso cameristico già molto "rodato" (il Quartetto di Cremona si è costituito nel 2000) è un problema delicato e complesso. Certamente l'inserimento permette ai componenti della formazione originaria di ampliare orizzonti e repertorio, ed inoltre il coinvolgere forze nuove può anche fungere da stimolo di idee. La presenza della pianista Anna Geniushene appare nel complesso abbastanza interlocutoria, con il suo apporto un po' discontinuo; infatti la giovane russa non sembra sempre capace di raccogliere gli ottimi spunti dei colleghi che invece si distinguono per comunanza di intenti e fusione del suono dei bellissimi strumenti usati (stando al programma di sala si dovrebbe trattare di quattro Stradivari, tra i quali mi è parsa di particolare pregio la viola). Le pagine liriche ricevono complessivamente un trattamento migliore, sembrano più meditate ed emozionalmente più incisive, le altre invece appaiono più d'immediata presa ma non sempre particolarmente "rifinite". In riferimento poi al Quintetto di Franck va detto che nell'interpretazione che abbiamo ascoltato solo a tratti si respira l'atmosfera "francese".
Neppure una locandina di grande interesse è valsa a smuovere da casa gli appassionati fiorentini, ma lo scarso pubblico è stato molto generoso in applausi con tutti i musicisti che hanno anche suonato fuori programma.
La recensione si riferisce al concerto del 24 novembre 2018.
Fabio Bardelli