Moïse | Alexey Birkus |
Pharaon | Luca Dall'Amico |
Aménophis | Randall Bills |
Éliézier | Patrick Kabongo |
Osiride e Voce di Dio | Baurzhan Anderzhanov |
Ophide | Xiang Xu |
Sinaïde | Silvia Dalla Benetta |
Anaï | Elisa Balbo |
Marie | Albane Carrère |
Direttore | Fabrizio Maria Carminati |
Regia e Scene | Jochen Schönleber |
Costumi | Claudia Möbius |
Orchestra Virtuosi Brunenses | |
Górecki Chamber Choir |
I grand-opéra francesi di Rossini hanno spesso alla base lo scontro tra due popoli divisi, gli oppressi e gli oppressori. Ciò succede infatti ne Le siège de Corinthe, in Moïse et Pharaon e Guillaume Tell le tre opere monstre fatte eseguire nella capitale francese. Le prime due hanno una durata di circa tre ore e l'ultima di quattro ore, seguendo le edizioni critiche nota per nota. Moïse deriva in parte dal Mosè in Egitto a cui Rossini teneva molto, tanto da procedere con due brevi revisioni negli anni napoletani riformando il finale terzo e scrivendo di suo pugno l'aria di Faraone precedentemente affidata a Michele Carafa. Questo per sottolineare l'attenzione del compositore a questa sua creatura. Per la versione francese gli atti passarono da tre a quattro di cui il primo, davvero monumentale, fu pensato quasi completamente ex-novo con una libertà compositiva e ampiezza di respiro sconvolgenti. La figura che più ne beneficia è quella di Moïse che giganteggia su tutti. Il terzo atto si apre con un coro tratto da Bianca e Falliero. Seguono tre elaborati ballabili di cui stasera si sono eseguiti solo il primo e il terzo. Anche il breve atto terzo napoletano qui diventa un quarto atto composito con la complessa aria di Anaï e a seguire l'apertura del Mar Rosso. In partitura la scena continuava con un cantique, una lode del popolo ebraico a Dio ma sembra che a Parigi il passo non sia mai stato eseguito sicuramente per problemi sceno-tecnici. Anche qui a Bad Wildbad, dopo alcune discussioni, si è deciso di tagliare il brano, a mio parere a torto, perdendo così l'apoteosi finale. Sia il secondo ballabile che il cantique verranno comunque inclusi nella registrazione audio prevista. La versione francese dell'opera ebbe molto successo e venne a sua volta tradotta in italiano con l'appellativo di Mosè Nuovo che andò a soppiantare la versione napoletana riscoperta solo nei primi anni del Rossini Opera Festival.
Molti i cantanti che agiscono nella versione francese da noi ascoltata questa sera nella Trinkhalle a Wildbad, la sala più grande a disposizione del Festival.
Il basso russo Alexey Birkus è stato notevole protagonista, grazie ad una voce potente e ben calibrata. Birkus ci ha impressionato sia nel primo atto nei corposi recitativi accompagnati, sia nel secondo nell'icredibile invocazione sostenuta da corni e tromboni che creavano un impasto timbrico perfetto per la sua voce. L'altro basso Luca Dall'Amico vestiva i panni del Faraone e ci ha positivamente sorpreso nel duetto col figlio Aménophis: il duetto è preso di peso da Mosè in Egitto ed è presente una fosforescente coloratura che sia il basso che il tenore Randall Bills eseguono brillantemente. Alla ripresa entrambi sfoggiano ardue variazioni accolte da applausi. Dall'Amico ricorda vagamente Yul Brynner nel film “I dieci comandamenti” anche se qui interpreta il padre e non il figlio. Dall'Amico ha timbro differente da Birkus a tutto vantaggio della differenziazione vocale nei numerosi ensemble tipici del grand-opéra. Randall Bills deve affrontare delle pagine scritte sia per Nozzari che per Nourit, tra i massimi tenori dell'epoca, e riesce in questa impresa grazie ad un discreto timbro e a una facile ascesa verso l'acuto. La voce non è ricca di armonici ma è ben intonata. Nei due duetti d'amore con Anaï avremmo preferito qualche morbidezza in più.
Anaï è il soprano ligure Elisa Balbo impegnata l'anno scorso sullo stesso palcoscenico nel ruolo massacrante di Anna Erisso. Qui la parte è più contenuta e la Balbo esce vincente sia nel dolce duetto con la madre Marie che nei duetti con l'amato. La voce giovane le permette particolare slancio e il colore è limpido. Forse nell'ampia aria del quarto atto avremmo gradito una voce più ricca di chiaroscuri dato il momento così drammatico. La Balbo è stata molto applaudita al termine del brano e all'uscita finale in proscenio. Ottima la Sinaïde di Silvia Dalla Benetta che ci regala una grande esecuzione dell'aria nel finale secondo, corredata di tutta l'autorità necessaria. Nobile negli accenti e agilissima nel tempo veloce, basta questo momento per descrivere in modo impeccabile la moglie del Faraone.
Patrick Kabongo è impegnato come Éliézier in un lungo recitativo dopo l'introduzione eseguito con buon accento e buona pronuncia del francese: è valido nei vari assiemi con la sua voce tenorile morbida e ben controllata.
Il sacerdote Osiride è il kazako Baurzhan Anderzhanov detentore di una voce profonda e nobile il quale impersona anche Dio che parla dal roveto ardente. Debole la Marie di Albane Carrère dalla voce un poco arida.
Buona la direzione di Fabrizio Maria Carminati che attacca con tempi sostenuti. La scena nel primo atto della circoncisione, con il coro, è caratterizzata però da tempi troppo stretti privando in questo modo la partitura di tutto il fascino. Anche i due ballabili eseguiti avrebbero avuto bisogno di una miglior concertazione nella loro raffinata orchestrazione. Bene la grande preghiera che riprende "Dal tuo stellato soglio" con i versi "Des cieux où tu résides" dove il passaggio da minore a maggiore è veramente catartico. Diretti egregiamente gli assiemi con grande attenzione alle voci e all'effetto straordinario della musica. Da segnalare alcune fastidiose imprecisioni da parte dell'orchestra che avrebbe dovuto assecondare meglio l'esperta bacchetta. Il coro, che in una opera/oratorio come questa ha grande importanza, è stato molto preciso sia nel comparto maschile che femminile.
Unico elemento scenico un libro/bibbia che si apriva in certe occasioni. Per il resto il regista Jochen Schönleber si concentra sul popolo ebraico abbigliato come i deportati della seconda guerra mondiale, con gli egizi vestiti di bianco come capi militari di una colonia africana, utilizzando varie proiezioni di Parigi tra cui la Defense e l'Opéra Garnier nel momento del balletto. Anaï compare in tutù bianco a fine balletto come se fosse stata costretta a vestirsi così dagli egizi. Le immagini sul fondo della scena risultavano di dimensione troppo ridotta e secondo noi poco intellegibili. Una messa in scena completa, salutata dal successo di pubblico per un'opera imponente, grazie ai mezzi del Festival.
Rossini trionfa anche nel bel mezzo della Foresta Nera grazie ad una équipe preparata e affiatata.
La recensione si riferisce alla recita del 19 luglio 2018.
Fabio Tranchida