La XII edizione del Festival “Como città della musica” è ancora in pieno svolgimento e si concluderà sabato prossimo 13 luglio con una lunga notte in cui, nell’intera zona che va dal Teatro Sociale sino al lago, risuonerà e si danzerà a ritmo di tango e milonga.
Un festival sui generis quello pensato dal principale teatro comasco, sviluppatosi prepotentemente in questi ultimi anni intorno al geniale progetto 200.Com strumento dalle potentissime e molteplici funzionalità. Uno sviluppo quello di 200.Com che forse nemmeno gli ideatori avrebbero potuto pronosticare di tale portata. Nacque nel 2013 come idea un po’ stravagante per coinvolgere attivamente la cittadinanza alla festa di compleanno per i 200 anni del Teatro Sociale, trovando immediatamente un’entusiastica risposta nei circa trecento coristi raccolti per la realizzazione dei Carmina Burana. Un’idea culturale che ha, fra i suoi innumerevoli pregi, la capacità di trasformare il teatro cittadino, spesso visto come una realtà totalmente avulsa dalla quotidianità di chi non è prettamente appassionato di musica, per così dire colta, in catalizzante centro di aggregazione. Quindi il Sociale che per tutto l’anno, da settembre a maggio, è il luogo di culto dei melomani – ma non solo, visto che la stagione comprendendo anche titoli di prosa, sinfonica, musical, musica strumentale, danza moderna, danza classica ed altro ancora, risulta quanto mai completa – offre al suo pubblico la possibilità di partecipare attivamente alla realizzazione dell’opera estiva; un’autentica grande sfida che i vertici dell’AsLiCo affrontano ormai ogni anno con grande entusiasmo.
Il Teatro Sociale dispone, dagli anni ’30 del secolo scorso, di un’anima double face che gli dà la possibilità di aprire il palcoscenico sul suo retro, verso quella che ancor oggi viene chiamata arena (in realtà un vero e proprio anfiteatro con delle gradinate era stato costruito nel 1938 per poi essere demolito nel 1970) ma che nella realtà, per 11 mesi l’anno, è solamente un ampio spazio adibito a parcheggio. Quindi un’area totalmente pianeggiante, con un’acustica naturale pressoché azzerata ma con tanto spazio utile a far sedere circa 1500 spettatori, l’orchestra posizionata in un angolo su una piattaforma rialzata, le scene e i circa 300 coristi. È evidente che in uno spazio simile sia necessario sperimentare e rischiare, uscendo dai classici schemi teatrali. Rischi corsi e superati brillantemente due anni fa con la realizzazione di un coinvolgente Nabucco di cui vi aggiornammo; andò bene lo scorso anno con Otello ma soprattutto la sfida è stata vinta brillantemente quest’anno con la realizzazione di un nuovo allestimento di Traviata.
Iniziamo col dire che già all’ingresso in arena si respirava un clima di entusiasmo e festa con alcuni coristi (ricordiamolo: cittadini di Como e dintorni che nella vita di tutti i giorni fanno spesso lavori che nulla hanno a che vedere con la musica; senza con questo svilire la loro resa musicale che è risultata tutt’altro che amatoriale.) che si divertivano ad intervistare il pubblico ponendo delle domande che contribuivano a far entrare lo spettatore nel clima da jet set e social network su cui verteva la lettura registica di questa nuova produzione.
In attesa che il sole fosse del tutto tramontato e le tenebre ingoiassero completamente l’arena (chiamiamola ancora impropriamente così) del Teatro Sociale, prendiamo posto ai bordi del red carpet e ci guardiamo intorno. Salutiamo il Presidente dell’AsLiCo Fedora Sorrentino la quale ci trasmette la sua gioia per la ciliegina sulla torta costituita da questa annuale impresa di 200.Com e si percepisce a pelle che è sincera: ci ricorda gli obbiettivi principali per cui è nato questo progetto, in primis avvicinare ed aggregare la cittadinanza al loro teatro ed ovviamente non nasconde l’entusiasmo per le tre recite tutte sold-out.
Proseguiamo salutando Francesca Zardini (responsabile ufficio stampa) la quale, proveniente da altre importanti esperienze vissute in prestigiosi teatri, è entrata a far parte recentemente della famiglia AsLiCo; infine il pensiero corre alle altre due grandi donne di questa realtà teatrale che sono Giovanna Lomazzi e Barbara Minghetti. Sostanzialmente un teatro fatto dalle donne in cui, ai vertici, vi è spazio solo per Giovanni Vegeto (direttore generale) che, come ci confida la Zardini: è un vero gentiluomo.
Ma allora è questo il segreto per far funzionare i teatri: mettere al timone donne forti, motivate e preparate. È un po’ l’uovo di Colombo sotto il naso di tutti: nient’altro che l’evidenza dei fatti. Basti riflettere su quali sono stati i teatri che negli ultimi anni in Italia sono cresciuti maggiormente in tema di offerta artistica, realizzando qualcosa di importante ma mantenendo il necessario pragmatismo onde evitare di deragliare economicamente. A tal proposito è assolutamente impressionante la macchina organizzativa messa in moto alcuni anni fa dall’AsLiCo per avvicinare i giovani da 0 a 18 anni all’opera lirica: leggere i numeri con cui il progetto Opera Education si è diffuso capillarmente sul territorio nazionale esportandolo anche all’estero, lascia letteralmente basiti.
Il Municipale di Piacenza è un altro esempio di realtà teatrale cresciuta tantissimo a livello di qualità artistica da quando a pilotarla è Cristina Ferrari, da alcuni anni vivace direttore artistico.
Nell’elenco di teatri brillantemente diretti da donne forti e capaci non possiamo tralasciare il Coccia di Novara che dallo scorso anno è nelle mani di Corinne Baroni la quale si è già distinta per chiarezza di idee e capacità manageriale.
Infine, al di là delle ataviche problematiche sindacali e gestionali che affliggono l’Arena di Verona, non possiamo ignorare le recite di Trovatore (qui la nostra recensione) tenutesi pochi giorni e di cui ha parlato pressoché tutto il mondo internazionale dell’opera, in virtù della presenza di Anna Netrebko. Erano diversi anni che all’Arena non si presentava un cast di tal richiamo ed il merito va indubbiamente a Cecilia Gasdia.
Ma anche all’estero vi sono parecchie donne ai vertici di importanti teatri d’opera; ci vengono in mente: Christina Scheppelmann al Liceo di Barcellona (prossimamente direttore generale alla Seattle Opera), Francesca Zambello al Teatro dell’Opera di Washington e la lista che sarebbe lunghissima la concludiamo ricordando la compianta Eva Kleinitz direttore generale dell'Opéra national du Rhin purtroppo scomparsa lo scorso 30 maggio.
Ma allora perché non iniziare ad allargare le quote rosa anche verso altri e magari più prestigiosi teatri italiani? Attenzione maschietti!
Nel frattempo l’opera è iniziata e dal maxi-schermo posto in fondo all’arena, durante le note del preludio, seguiamo una delle più celebri influencer – termine tecnico con cui si identificano i personaggi divenuti famosi sui social media ed il cui comportamento è in grado, appunto, di influenzare gli acquisti dei consumatori – dei nostri giorni, Violetta Valery, un’autentica star in stile hollywoodiano, seduta sul sedile della limousine che la porta al ricevimento cui ha invitato i più famosi personaggi del jet set.
L’auto giunge a destinazione e Violetta scende e percorre più volte il red carpet concedendosi agli obbiettivi di decine di paparazzi, cameramen e centinaia di fans che si accalcano tutt’intorno armati dei loro inseparabili smartphone. Una lettura registica quella di Andrea Bernard che combacia con solida efficacia alla drammaturgia pensata da Giuseppe Verdi nel lontano 1853. In qusto caso la protagonista è una star dello show business, un mondo dove tutto è immagine e dove l’unica cosa che conta è apparire. La società frivola, concentrata con interesse morboso sui reality e pronta in ogni momento a giudicare è interpretata dal coro, qui autentico coprotagonista. Una regia emozionante le cui idee a tratti colpiscono violente allo stomaco facendo riflettere su alcuni comportamenti del nostro tempo, probabilmente con la stessa brutalità presente nelle intenzioni dell’autore. Fra i momenti più intensi emotivamente la scena XIV del secondo atto in cui Violetta viene umiliata pubblicamente e che nella lettura del regista assume contorni davvero drammatici nel momento in cui Alfredo, dopo averle vomitato addosso le terribili parole: “qui testimoni vi chiamo che qui pagata io l’ho”, sulle note del concertato la prende di forza, le si accosta e scatta una serie di selfie che dal maxischermo vediamo finire in pochi istanti su tutti i social, ovviamente commentati nel peggiore dei modi. Una scena terribile perché l’umiliazione pubblica per mezzo delle moderne tecnologie è portata all’estremo ed in luoghi da cui non potrà più essere eliminata.
Gli abiti démodé indossati da Giorgio Germont lasciano intendere la non appartenenza ad un mondo, quello dello show business, a cui invece il figlio Alfredo aspira ad entrare. Un’esistenza passata sotto i riflettori quella di Violetta sino a quando, durante l’Addio del passato, deciderà di spegnerli definitivamente isolandosi sino alla morte.
Una bella Traviata al cui successo hanno contribuito tutti i giovani artisti impegnati in scena.
L’ingresso di Sarah Tisba nel ruolo di Violetta risulta catalizzante per la bellezza un po’ provocatoria e dal notevole potere seduttivo di cui risulta dotato il giovane soprano. In seguito ci affascinano di lei l’interpretazione intensa e l’attenzione alla parola scenica. Vocalmente, premesso che tutto era amplificato e quindi certi aspetti del canto non possono essere oggetto di valutazione (ad esempio volume e proiezione), abbiamo apprezzato la volenterosa ricerca di colori, le interessanti dinamiche e gli accenti appropriati. Sicuramente un'artista da risentire presto in teatro.
Molto bene ha figurato anche Michele Patti nei panni di papà Germont. Il giovane baritono genovese si è mosso molto bene scenicamente ed ha evidenziato una vocalità sicura tecnicamente, dal colore interessante e che ci ha dato l’impressione di essere di natura piuttosto importante. Nel suo caso, essendo tra i vincitori del 70° Concorso AsLiCo avremo modo di ascoltarlo senza ausili tecnologici nel ruolo del titolo del Guglielmo Tell che inaugurerà la prossima stagione del Teatro Sociale e OperaLombardia.
Tenore sufficientemente sicuro è parso Alessandro Fantoni nelle vesti del giovane e innamorato Alfredo.
Indiscutibile anche il contributo portato al buon esito finale da parte di Francesca Maria Cucuzza disinvolta Annina, Francesca Di Sauro tutt’altro che trascurabile Flora, Giacomo Leone (Gastone), Luca Vianello (Barone Douphol), Francesco Auriemma (Marchese D’Obigny), Davide Procaccini dalla vocalità adeguatamente scura nel ruolo del Dottor Grenvil, Ermes Nizzardo (Giuseppe) e Paolo Massimo Targa (un domestico/un commissionario).
Come abbiamo accennato in precedenza l’enorme coro 200.Com ha colpito per la sicurezza con cui ha partecipato ai vari movimenti scenici ma anche per la resa vocale, a conferma che la passione e l’impegno consentono il raggiungimento di risultati importanti. Positivo anche la partecipazione del Coro delle voci bianche del Teatro Sociale di Como.
Una particolare nota di merito va al direttore Alessandro Palumbo che dal suo angolino è riuscito a gestire con buona sicurezza i sincronismi tra voci soliste, coro e la buona Orchestra 1813.
E proprio con un piccolo estratto del pensiero di Palumbo tratto dal programma di sala ci fa piacere chiudere questa cronaca: “L’opera lirica è senza ombra di dubbio la forma di espressione artistica più alta che l’essere umano abbia mai creato, in quanto il risultato finale è la summa delle interazioni tra le diverse arti, e di conseguenza tra persone diverse, che concorrono ad un unico scopo. In questo senso, il progetto 200.Com costituisce un momento unico di integrazione culturale e sociale importantissimo, in cui la Musica diventa punto focale di un processo di arricchimento per le persone che vi partecipano e della società della quale fanno parte.”
Danilo Boaretto