Ci sarà tempo nei prossimi giorni per un’analisi di ciò che ha rappresentato per l’Arte del canto il magistero tecnico di Carlo Bergonzi. Ora, sull’onda dell’emozione della notizia della scomparsa del tenore parmense, preferisco lasciarmi andare a qualche considerazione forse meno rigorosa ma, spero, comunque condivisibile.
Bergonzi è stato un artista che, in un certo senso, è andato controcorrente.
Dal 1950 sino al 1965 i tenori italiani più famosi (Di Stefano, Del Monaco, Corelli) erano perfetti rappresentanti di un’Italia che usciva da una guerra spaventosa e si affacciava speranzosa al grande banchetto del boom economico. Pur così peculiari e tanto diversi tra loro, questi artisti esprimevano un’estroversione, una solarità, un vigore che descriveva bene lo stato psicologico di “ricostruzione” che caratterizzava quegli anni.
Carlo Bergonzi, invece, pur avendo i mezzi vocali (ben testimoniati in alcuni live dell’epoca) per percorrere la stessa strada, preferì un canto più sorvegliato, più intimo, più attento alle indicazioni dei compositori. Certo, in primis Verdi ma anche Puccini e Donizetti. Un tenore che, per certi versi, veniva dal passato e cantava in un’atmosfera sospesa nel tempo.
Ancora oggi, mentre continuano le rivalità di sapore goliardico tra i sostenitori di Del Monaco o Di Stefano, di Corelli, intorno al nome di Bergonzi si placano gli animi e la maggioranza degli appassionati concorda sulla sua grandezza artistica, quasi fosse un tenore capace di toccare il cuore di tutti.
Tanti anni fa, chi scrive era uno studente al primo anno di liceo scientifico. A casa si ascoltava da sempre la lirica e quel giorno mio padre aveva sul piatto la famosa edizione di Rigoletto diretta da Kubelik, con il memorabile Duca di Carlo Bergonzi.
Io e papà avevamo litigato e perciò, in contemporanea, dalla mia stanza usciva a volume esagerato l’urlo della chitarra di Jimi Hendrix che “straziava” lo Star spangled banner, a Woodstock. Una piccola, metaforica, guerra dei mondi.
All’attacco di Parmi veder le lagrime spensi il mio stereo e guardai mio padre, che mi sorrise. Ascoltammo insieme fino alla fine e sorridemmo.
Carlo Bergonzi, un tenore nato per unire e non per dividere. Che la terra ti sia lieve.
Paolo Bullo